Professione CMO

L’impatto delle tecnologie digitali sui ruoli di marketing

Le professioni cambiano: affermazione che appare talmente scontata da non spingerci a fissare punti di riflessione e dibattito, capaci di suggerire prospettive utili al miglioramento professionale. Professione CMO intende proporre tali prospettive, grazie a un dialogo tra docenti della Scuola e Chief Marketing Officer operanti in realtà aziendali diverse.

I dati utili a creare valore per il cliente non devono essere necessariamente tanti, ma devono essere di qualità. Ne è certo Flaminio Francisci, Global Director of Customer Value Management and Data Science di Nexi Group con il quale, per l’ultimo articolo della serie Professione CMO, abbiamo discusso dell’impatto delle tecnologie digitali sui ruoli di marketing.

 

Nexi è un’azienda in cui manca il ruolo formale di CMO. Allora, un buon punto di partenza è spiegare il nome del tuo ruolo - Global Director of Customer Value Management and Data Science - e perché un ruolo che “storicamente” appartiene al marketing (la creazione di valore per i clienti) in Nexi non è racchiuso nella classica etichetta del CMO. Dov’è il marketing in Nexi? E perché manca un CMO?

Il Customer Value Management (CVM) è una funzione di Gruppo e incrocia a matrice ogni business unit. Il Marketing è responsabile di disegnare e sviluppare lo scaffale dei prodotti e servizi e relativo marketing mix, mentre il CVM è responsabile del loro sviluppo sui clienti a 360°. Quindi è vero che non esiste un group CMO, ma c’è invece un group CVM. Questo perché i prodotti sono verticalizzati per business unit e per mercato, mentre l’ingaggio del cliente, e il cliente stesso, vengono gestiti a 360° in modo centralizzato. L’obiettivo del CVM è innescare un circolo virtuoso del valore che parte dai dati del cliente per comprenderlo e ingaggiarlo in modo contestuale e personalizzato, stimolando l’utilizzo di prodotti e servizi utili nel momento del reale bisogno. Questo aumenta la percezione del value-for-money da parte del cliente e lo porta a utilizzare di più e meglio nuovi prodotti e servizi, aumentando il suo ARPU (average revenue per user). Il risultato è un aumento del valore per l’azienda che potrà così ulteriormente investire per alimentare questo circolo.

Qual è la differenza oggi tra CVM e Marketing? Un tempo il CVM era, in molti casi, organizzativamente collocato “a riporto” del marketing, come se fosse una sua “specializzazione.” Volendo fare una provocazione, potremmo dire che oggi invece è esattamente il contrario: per un CVM efficace serve presidiare molteplici domini e il Marketing è uno di questi, insieme per esempio ai dati, alle tecnologie di marketing, al CRM, ai canali digitali e non solo.

 

Se però si scorre l’organigramma aziendale, “customer” è una parola che ricorre nel titolo di molti ruoli organizzativi e all’interno di molti team. Da un lato fa pensare che la customer orientation (o centricity come si tende a chiamarla oggi) abbia finalmente trovato la sua giusta rappresentazione nelle aziende. Ma questo fa pensare anche a un paradosso: che la gestione del valore per il cliente sia talmente frammentato in tanti ruoli, che si perde proprio l’unitarietà della visione customer centric. In sostanza, torniamo al punto di partenza: non è proprio il ruolo del CMO che manca?

La customer centricity deve essere pervasiva per quanto detto prima: il cliente è il punto di partenza e di arrivo. Prodotto e servizio sono condizioni necessarie, da sempre al centro della competizione che sta aumentando a causa della riduzione degli switching cost e alle facilità di comparazione. Il cliente si aspetta prodotti e servizi allineati al benchmark di mercato. Questa dinamica coinvolge la parte razionalizzante del cliente.

L’engagement e la gestione del valore del cliente sono una condizione sufficiente, perché creano appunto “ingaggio” e affiliazione, che coinvolge la parte irrazionale e istintiva del cliente, molto più resiliente nel tempo. Questo ha spinto la specializzazione del marketing, passando da un modello accentrato, sotto un unico CMO a “molti” marketing, che operano con diverse specializzazioni, tra cui il CVM. Per esempio, nel settore dell’IT, spesso coesiste uno Strategic CMO – brand e strategia, e un Field CMO – mercati e delivery. Nel fintech, questa specializzazione è ancora più spinta, a causa della complessità e varietà dei modelli di business.

Come gestire questo paradigma?

 

  • Avere pochi KPI condivisi, per esempio il Net Promoter Score, su cui tutti i team che si occupano del cliente devono essere misurati;
  • Mantenere una Single Customer View accessibile, democratica e unica, fruibile da tutti gli stakeholder;
  • Implementare il CVM per orchestrare “verso il cliente” tutte le azioni, “unendo i punti” in un’esperienza consistente.

 

Cosa significa “unire i punti”? Realizzare le 5C del CVM:

 

  • Coherence = la gestione del cliente deve essere coerente, nel tempo, tra servizi, sui canali, …
  • Channels = la gestione deve avvenire sui canali scelti dal cliente in modo consistente.
  • Context = la gestione deve considerare il contesto e la fase del ciclo di vita del cliente.
  • Continuity = la gestione deve essere completa e continua, senza silos o disconnessioni.
  • Closed-loop = la gestione deve essere iterativa per cicli di test & learn.

 

Le tecnologie digitali, i big data, l’AI stanno trasformando radicalmente il lavoro e le responsabilità di chi, in azienda, gestisce le relazioni con (e il valore per!) i clienti. Dire che i marketer del futuro devono saper combinare competenze di marketing e di data science è un mantra che ormai sta diventando scontato. Se volessimo essere più precisi ed entrare più nel dettaglio, quali competenze sono necessarie a un/a marketer in un’azienda data-driven?

E’ vero! I dati, di qualità, sono fondamentali. Anche in questa fase di cambiamento, dovuto all’AI generativa, la qualità del dato sta alla base di tutto. È ormai chiaro che sia meglio avere meno dati di alta qualità che tanti dati di bassa qualità. Alle competenze sui dati, si aggiungono quelle per usare le Marketing Technology e quelle di gestione e presidio dei canali. La sfida è costruire un modello operativo coerente con le dimensioni e la capacità di investimento dell’azienda, consapevoli che oggi servono molte competenze per fare CVM e che sia un percorso. Queste competenze si raggruppano in tre aree:

 

  • Gestione dell’esperienza : come incentivare i clienti a compiere un’azione? Quale Customer journey? Perché scelgono di sottoscrivere un servizio o acquistare un prodotto?
  • Gestione dell’utente: come i clienti vengono gestiti durante il loro ciclo di vita. Quali dati forniscono? Che cosa possono fare? Come possiamo incentivarli a fare di più?
  • Gestione della conoscenza: come ingaggiare il cliente per creare fiducia e fedeltà. Come estraiamo conoscenza dai dati disponibili? Come riusciamo a essere rilevanti?

 

 

Fortunatamente non serve avere tutto subito, ma solo quanto utile ai casi d’uso obiettivo. Questo significa:

 

  • Partire da casi d’uso use di complessità gestibile e compatibili con il livello di maturità dell’azienda, per costruire conoscenza e competenze nel tempo, con un percorso sostenibile,
  • Stabilire un modello di attribuzione per comprendere se quanto si sta facendo sta funzionando e in caso contrario, correggere, in un percorso iterativo.

 

Grazie a questa modalità iterativa, il CVM diventa un vero “asset” che “cresce e si sviluppa” nel tempo. Un “vantaggio competitivo” difendibile, e non facilmente “copiabile” da altri player.

 

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