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La verità, vi prego, sul SSN: quattro mosse per un’universalità meno altisonante, ma più sostenibile

Dichiarandosi universalistico, il Servizio sanitario nazionale (SSN) promette tutto a tutti, ma in realtà finisce per dare di tutto solo ad alcuni, creando malcontento e disuguaglianza.

 

Con un finanziamento pubblico pari al 6,3% del PIL, l’Italia non è in grado di rispondere a tutte le aspettative (elevate) dei cittadini italiani. Non ci riescono neppure gli altri grandi paesi europei, che pure allocano alla sanità una quota tra il 9% e l’11% del PIL. I servizi sanitari pubblici dei grandi Paesi occidentali sono vittima del loro successo: hanno contribuito notevolmente, negli ultimi decenni, all’allungamento della vita media in salute. Questo grande risultato, unito alla ridotta natalità, è alla base dell’invecchiamento della popolazione e della conseguente crescita dei bisogni.

 

Nella narrazione più diffusa, il tema del finanziamento ridotto si accompagna, inoltre, a due fake news che allontanano i cittadini, e spesso anche gli addetti ai lavori, da una piena comprensione della situazione.

 

La prima è che tale finanziamento è sempre stato basso, ma in passato la copertura dei bisogni era maggiore. Se è sostanzialmente vero che il finanziamento si attesta da tempo intorno al 6-6,5% del PIL, è la demografia ad essere cambiata, e con essa l’epidemiologia. Nel 2004 la quota di over 65 non raggiungeva il 19%, nel 2024 era balzata al 24%. In termini assoluti, il loro numero è aumentato del 30% in vent’anni. Per comprendere appieno l’aggravio di costi comportati dall’invecchiamento, basti pensare che a 65 anni otto italiani su dieci soffrono di almeno una patologia cronica.

 

La seconda fake news è che la spesa sanitaria sia facilmente aumentabile. L’invecchiamento della popolazione non rende solo più critica la situazione epidemiologica, ma dirotta risorse verso le pensioni. La spesa pensionistica spiazza quella per scuola, trasporti e sanità. Per allineare la spesa sanitaria a quella dei maggiori partner europei, servirebbero 40 miliardi l’anno, una cifra pari alla metà dell’attuale spesa annua per l’istruzione. E intanto, tra il 2023 e il 2027, la previsione di aumento della spesa pensionistica è di quasi 50 miliardi…

 

Se il sistema non è in grado di offrire una copertura compiutamente universale, dovrebbe porsi delle priorità, per utilizzare le risorse in modo efficiente. E invece, l’edizione 2024 del Rapporto OASI evidenzia una mancanza di priorità che crea disuguaglianze. Chi è in grado di navigare meglio il sistema riesce a ottenere prestazioni e rimborsi, chi è socialmente più debole non ce la fa. Il risultato è che, tra i cronici over 65, il 43% di chi ha una formazione universitaria può comunque definirsi in buona salute, mentre la percentuale cala al 22% tra chi ha la sola licenza elementare.

 

Gli anziani non autosufficienti sono tra quelli a cui il SSN non riesce garantire copertura universale. Oggi i non autosufficienti, in Italia, sono 4 milioni – se ipotizziamo una media di due caregiver familiari per ciascuno di loro, il problema coinvolge 12 milioni di italiani – e i posti nelle RSA 300.000. Dal momento che le famiglie, per far ospitare un loro caro, devono integrare la copertura pubblica con una cifra che, mediamente, è intorno ai 24.000 euro l’anno, è chiaro quale sia il criterio che decide chi potrà usufruire del servizio e chi no.

 

Oltre all’assenza di consapevolezza e di priorità, un terzo problema è l’estrema variabilità dei consumi sanitari e delle prescrizioni a parità di epidemiologia. A Brescia le prestazioni di laboratorio erogate, rapportate agli abitanti, sono il doppio rispetto a Bergamo. In Emilia-Romagna si eroga il doppio di esami diagnostici rispetto alla Lombardia.

 

In ogni caso, il sistema prescrive molto più di quello che è in grado di erogare. In alcuni ambiti locali e per certe prestazioni, il prescritto raggiunge il doppio dell’erogato.

 

Nel Rapporto OASI, proponiamo quattro linee d’azione che potrebbero contribuire a raggiungere uno stato di universalismo sostenibile, cioè una situazione in cui sia chiaro che cosa il SSN è davvero in grado di erogare e lo eroghi effettivamente, secondo priorità prestabilite.

 

  • Governare le aspettative: esplicitare i limiti del SSN e ridefinire i criteri di priorità per le prestazioni esigibili è il primo passo fondamentale per allineare le aspettative dei cittadini alle risorse effettivamente disponibili. Prioritizzare i pazienti cronici o a bassa autosufficienza, e comunicare chiaramente le prestazioni garantite, semplificherebbe il sistema e il relativo accesso. In questo modo, si arriverebbe progressivamente ad una maggiore convergenza tra il prescritto e l’erogabile dal SSN.
  • Efficienza impopolare: trasformare le piccole strutture ospedaliere in servizi territoriali più efficaci, accorpare ambulatori e laboratori sovrabbondanti e riorganizzare gli ospedali con volumi di prestazioni troppo ridotti, che non raggiungono livelli adeguati di qualità e sostenibilità. È un genere di efficienza che può sembrare impopolare, ma necessaria a migliorare il sistema.
  • Aumentare le risorse per il SSN: introdurre misure già sperimentate altrove, come aumentare il contributo economico per alcune prestazioni, introdurre assicurazioni integrative obbligatorie o riallocare la spesa pubblica per dare più fondi alla sanità. Anche se politicamente complesse, queste azioni sono indispensabili se si vuole aumentare il finanziamento del SSN.
  • Innovare radicalmente: accelerare la digitalizzazione dei servizi sanitari con strumenti per l’autogestione dei pazienti cronici e telemedicina per le visite specialistiche. Riprogettare i ruoli professionali per favorire una maggiore collaborazione tra nuove competenze e figure tradizionali, creando professionisti come il case manager amministrativo per la gestione integrata dei pazienti cronici.

 

Solo una più realistica narrazione del SSN, per quanto dura come quella contenuta nel Rapporto OASI, sarà in grado di promuovere il cambiamento culturale necessario a garantire un sistema più equo, efficiente e sostenibile. Senza un confronto aperto tra istituzioni, operatori e cittadini sulle reali possibilità del SSN e sulle priorità da perseguire, il rischio è quello di perpetuare un sistema che promette troppo e non riesce a mantenere, aumentando le disuguaglianze e la sfiducia.

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