- Data inizio
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- 4 mar 2025
- 40 ore
- Online
- Italiano
Gestire il prodotto in ogni fase del suo ciclo di vita, bilanciare le esigenze dei clienti e garantire la redditività aziendale.
Sulla scia degli Indie (denominazione originaria) o Indi (all’italiana!) brand trattati qualche settimana fa, è opportuno soffermarsi su quelli che oggi vengono indicati come Brand DTC, chiarendone alcuni aspetti che notevole rilievo hanno assunto negli ultimi anni.
La precisazione sull’oggi è d’obbligo. Infatti, apparentemente, se non si riflettesse sull’esclusività del canale e-commerce e della tecnologia, sempre più abilitante, i brand DTC mi riportano a ciò che, anni or sono, succedeva per le vendite a distanza o per corrispondenza. Difficile, quindi, non pensare a Fratelli Carli (con l’Olio e tutti i prodotti ad esso correlati: olive, condimenti, ecc.) e Mediterranea, brand della stessa azienda, che in un settore complesso come quello della cosmesi, da quando la conosco, ha sempre unito innovazione, ricerca scientifica e principi naturali nella sua brand value proposition, attraverso gamma prodotti, tecniche RFM (Recency, Frequency e Monetary amount) o strumenti come il CDB (Customer Database), quali “semplici” regole di base per cercare di raggiungere il cliente nel modo più personalizzato possibile.
Il DTC sembrerebbe, attualmente, aver invaso il settore della distribuzione – sia per impatto sia quale alternativa di crescita – e parimenti anche quello produttivo, che con strategie di “go to market” hanno accelerato le scelte e le decisioni attinenti all’omnichannel, per poter raggiungere in modo, per l’appunto, diretto i propri consumatori. I modelli omnicanale, che ottemperino agli sforzi digitali, implicano, ad esempio, di acquistare online e ritirare il prodotto ove disponibile, ovvero di effettuare vendite, consegne, assistenza interamente "at-home".
Se poi si scende ad osservare, con un livello più di dettagliato, le categorie o le sub-categorie – la cui definizione è sempre più importante in termini competitivi per la brand relevance e la conseguente brand preference – e le marche, che più di altre hanno fatto ricorso o si orientano verso il DTC, se ne può cogliere la crescente complessità che richiede una maggiore puntualizzazione a ragione proprio della crescente proliferazione di ciò che oggi vengono denominati brand direct to consumer.
Ma, cosa sono i Brand DTC?
I brand DTC sono identificati come brand e-commerce-based, afferenti a startup specializzate su una singola tipologia di prodotti e/o in prodotti fortemente correlati tra loro (sistema di prodotto), cercando di bilanciare tra profondità e ampiezza della gamma offerta, attraverso proposte innovative in termini di valore offerto, ottenuto ed ottenibile (prodotto, prodotto+servizio, comunicazione, logistica, modello di business). Essi si rivolgono e vendono direttamente ai consumatori, senza l’impiego di "intermediari" (o marketplace) che allunghino il canale nel raggiungimento del cliente. Normalmente iniziano a sviluppare la propria idea di business attraverso iniziative e attività, oggi, esclusivamente online, sfruttando appieno i canali digitali sia per il marketing (prodotti e comunicazione, ad esempio, vengono pensati per essere ben visibili e “collocabili” online) sia nelle vendite (ad esempio, altrettanto di sovente, non presentano strutture di trade marketing, di key-account, oppure dirette/indirette di vendita).
Appare evidente come i brand DTC debbano partire da considerazioni attinenti al consumatore, comprendendone i value-driver che, più di altri, siano in grado di incidere su atteggiamento e comportamento - che dalla prova o dal primo acquisto conducano a riacquisto e fedeltà - non mettendo a rischio la propria esistenza.
All’uopo, una recentissima ricerca fa luce su alcuni driver, sintetizzabili in:
Il branding nel DTC si palesa attraverso lettering, colori e relativa combinazione (in trame, nuance, ecc), simboli, e tutti gli elementi di marca che si indirizzano verso scelte in grado di mostrare visivamente un’identità di brand sempre più dinamica, la cosiddetta dynamic identity.
Ad essi si aggiungono le inevitabili scelte tra usability, template da impiegare per essere responsive o adaptive attraverso il sito, l’app o entrambi. L’innovazione di Warby Parker che per primo ha utilizzato la tecnologia emergente delle prove virtuali, con foto e scatti per osservarne il rendering, hanno evidenziato le funzionalità e le prestazioni del sito stesso. Ad esse si aggiungono le dimensioni estetiche; infatti, se i siti web assumono un ruolo importante nel plasmare la percezione di marca, alcuni tra i brand DTC presentano in home page alcuni brevi clip illustranti la storia del brand, l’artigianalità o le modalità di coltura dei suoi prodotti, e così via.
La pianificazione di mezzi, canali e messaggi su piattaforme e social media integrati, content-focused, all’interno dei quali sviluppare partecipazione, scambio e, soprattutto, misurazione delle relative performance. La Fondatrice di Glossier condivide - sin dalla sua fondazione - nel suo blog "Into the Gloss" i consigli di bellezza “carpiti” dalle centinaia di conversazioni/interviste con influenti figure femminili, come modelle e imprenditrici, che hanno permesso di definire, immaginare e costruire le dialettiche di consumo, i rituali e le “cabine trucco” per la bellezza.
Ma altrettanta rilevanza per i brand DTC assumono le decisioni su modalità di pagamento o, più operative, ma fondamentali, quelle attinenti alle modalità di delivery (e al packaging), di assistenza post-acquisto o post-experience; tutto per il raggiungimento di una crescente (e tanto anelata) personalizzazione della brand value proposition.
Brand DTC?
Brand che promettono di focalizzarsi sui value-driver del consumatore, importanti da conoscere - soprattutto - per aspiranti imprenditori, startupper e rivenditori/retailer, in cerca di modalità o strumenti volti a costruire o rafforzare proposte di valore personalizzate.