#ValorePubblico

AI e servizi pubblici: non rimaniamone fuori

Corso di formazione per docenti di business school internazionali: sessione su AI. Sarà l'ennesimo grande spiegone generico e pieno di entusiasmo. O generico e pieno di terrore, mi dico. Invece no: è un addestramento a scrivere prompt sempre più efficaci, passo dopo passo. E i risultati mi sorprendono ogni volta di più. Al punto che mi convinco che cercare di rispondere alle grandi domande esistenziali che l'AI pone sia una missione onorevole, ma che intanto occorra affrettarsi a prendere le misure con questo arnese nuovo e imparare ad usarlo al meglio. Anche nella PA.

Cominciamo col capire cosa può fare l’AI nei servizi pubblici: l’ho chiesto alla prof. Maria Cucciniello, che insegna AI, INNOVATION AND SOCIETY

– un nuovo corso opzionale per gli studenti del triennio - presso l’Università Bocconi e fa ricerca sul tema. “I campi di applicazione sono sterminati e non c’è ambito di policy, dall’ambiente alla cultura, dall’istruzione ai trasporti e, ovviamente, la sanità, in cui non vi siano spazi di innovazione”. Per quali tipologie di servizi? “Dalle cose più ovvie, come l’automazione di molti processi, alla trasformazione dell’esperienza di servizio degli utenti: le chatbox già ora consentono di ricevere rapidamente qualificate informazioni personalizzate 24h 7/7.” Al punto da sostituirsi all’umano? “Fanno cose diverse e aumentano la capacità del lavoro umano di generare valore: oggi si possono prendere decisioni più informate grazie al supporto che può offrire un bot di AI in quasi ogni campo. Dalla definizione del piano terapeutico personalizzato alla ottimizzazione dell’allocazione di risorse pubbliche, fino all’analisi dei rischi”. A proposito di rischi, dobbiamo preoccuparci dei rischi dell’AI anche nel settore pubblico? “Dobbiamo occuparci dei rischi, continuando a interrogarci e a riflettere sulle implicazioni etiche e gli aspetti legati alla sicurezza e alla trasparenza e responsabilità. E monitorando i trend delle innovazioni tecnologiche”.

Che competenze servono per implementare l’AI nei servizi pubblici?

Servono due tipologie di competenze: tecniche e strategiche. Quelle tecniche sono legate allo sviluppo di interfaccia personalizzate e addestrate a rispondere a bisogni specifici. Queste sono competenze abbastanza trasversali alle industry. Quelle strategiche, invece, sono specifiche e vengono a monte: hanno a che fare con la capacità di immaginare le cose che ancora non sono state fatte, ma che potrebbero avere un effetto dirompente in un dato contesto. A questo scopo per innovare in questo ambito serve una conoscenza dei servizi pubblici approfondita e non stereotipata: spesso le soluzioni esistono già, ma per implementarle occorre vedere il problema. Il mio corso, ad esempio, lavora principalmente su questo secondo set di competenze e sull’interconnessione tra queste ultime e le competenze più tecniche da cui non si può prescindere. L'approccio delle amministrazioni dovrebbe essere proattivo, personalizzato e incentrato sui bisogni e le preferenze individuali, soprattutto per quanto riguarda l'elaborazione e la condivisione dei dati. Le persone dovrebbero avere il diritto di decidere come i loro dati vengono trattati, come il governo li fornisce, quanto il governo può essere proattivo nella fornitura di servizi e persino quale tipo di servizi possono essere offerti. I dati e l'intelligenza artificiale sono al centro di questa trasformazione."

E ad un dirigente pubblico che volesse cominciare ad applicare l’AI nei servizi che dirige, cosa consiglieresti?

“Di familiarizzare col mezzo: è quando si cominciano a capire le potenzialità dello strumento che vengono in mente le possibili nuove applicazioni. E poi consiglierei di guardare a cosa hanno fatto gli altri. Ad esempio, l'Estonia – punta di diamante dell’innovazione tecnologica in Europa – ha utilizzato un sistema AI per sviluppare una chatbot in grado di rispondere alle domande dei cittadini sui servizi pubblici. L’assistente virtuale Bürokratt è una rete interoperabile di chatbot in grado di fornire agli utenti la possibilità di accedere ai servizi pubblici diretti e alle informazioni utilizzando assistenti virtuali.

 

Altri Paesi stanno utilizzando l'AI per migliorare la qualità dell'istruzione.  Gli insegnanti spesso citano i compiti amministrativi ingestibili come la loro maggiore fonte di esaurimento e burnout. Secondo una recente survey (McKinsev Global Teacher and Student Survev) automatizzando i compiti amministrativi di routine, l'IA potrebbe aiutare a semplificare i flussi di lavoro degli insegnanti, dando loro più tempo per costruire relazioni con gli studenti e favorire il loro apprendimento e sviluppo. La tecnologia può aiutare gli insegnanti a riassegnare dal 20 al 30 percento del loro tempo ad attività che supportano il coinvolgimento degli studenti e l'istruzione personalizzata.”

L’AI ruberà il lavoro ai dipendenti pubblici? Qualche tempo fa era scoppiata una polemica in tal senso…

“I lavoro nei servizi pubblici sono tanti e diversi. Mi pare un’affermazione un po’ generica per essere assunta come vera o falsa. Certo, un grosso impatto dell’AI sul mondo del lavoro tutto ce l’ha già ed è destinata ad averlo sempre di più, anche nel pubblico. Questo significa che mai come ora siamo chiamati a pensare alle nostre strategie HR avendo in mente quali strategie di innovazione tecnologica vogliamo realizzare: occorre integrarle, altrimenti si rischia di fallire sul piano organizzativo e tecnologico insieme. Piuttosto penso che servano più persone nelle PA capaci di parlare il linguaggio della tecnologia e dell’innovazione senza perdere di vista le specificità del contesto. Inoltre, la co-creazione diventa un elemento fondamentale in questo nuovo contesto. Coinvolgendo i dipendenti pubblici nel processo di implementazione dell'IA, è possibile sfruttare al meglio le loro conoscenze ed esperienze, assicurando che la tecnologia sia utilizzata in modo da migliorare i servizi pubblici e rispondere in modo più efficace ai bisogni dei cittadini. Questo approccio collaborativo non solo valorizza il contributo di ogni individuo, ma promuove anche un ambiente di lavoro più motivante e innovativo.”

 

Mentre rileggo l’intervista a Maria Cucciniello penso che tra il 2008 e il 2018 l’impiego pubblico si è contratto sia in termini di numero di addetti (di oltre 200.000 unità) sia di spesa (per la prima volta si è assistito ad una flessione della spesa per stipendi di circa 2 miliardi) e questo senza AI. Oggi si sta facendo una corsa disperata a riassumere, con esiti sovente controversi. 

Forse oggi si potrebbe immaginare di recuperare i due miliardi di spesa pubblica persi aumentando gli stipendi di un numero più ristretto di più qualificati dipendenti pubblici assistiti nelle loro funzioni dall’AI.

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