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Diritti nelle sentenze vs diritti nei bilanci pubblici

La Corte di Cassazione ha recentemente emesso una sentenza con effetto dirompente: si sancisce, infatti, che le rette delle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) per pazienti affetti da morbo di Alzheimer debbano essere interamente a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), sollevando così le famiglie da oneri economici spesso gravosi. Una buona notizia per i malati, ma un grande interrogativo sulla sostenibilità economica del sistema di assistenza. È, inoltre, un caso interessante per discutere del confine tra diritti sulla carta e diritti nei bilanci pubblici. Come sta succedendo al Comune di Birmingham.

Tre miliardi da risarcire alle famiglie?

La questione nasce dal ricorso di un cittadino milanese, il quale contestava la decisione della Corte d’Appello di Milano che lo obbligava al pagamento della retta per il ricovero di un familiare affetto da Alzheimer in una RSA. La Cassazione ha ribaltato la sentenza d’appello, riconoscendo che le prestazioni erogate dalle RSA per pazienti con patologie come l’Alzheimer rientrano tra quelle ad alta integrazione sanitaria e, pertanto, devono essere completamente coperte dal SSN. Ma con quali risorse? Quali sono le stime del costo di questa sentenza per il SSN? Ci risponde a queste domande Elisabetta Notarnicola, ricercatrice CERGAS e studiosa di sistemi di Long Term Care.

 

“Oggi sono circa 1,2 milioni i cittadini italiani con diagnosi di demenza e le proiezioni parlano di una crescita esponenziale nel prossimo futuro. Rispetto alle RSA, l’Istituto Superiore di Sanità ha stimato che già oggi il 36% dei posti sia occupato da anziani con diagnosi di demenza (circa 150mila ospiti). Stime basate su dati regionali parlano di oltre il 50% degli ospiti (Dati Rapporto OASI CERGAS SDA Bocconi, a questo link). La banale moltiplicazione del risarcimento previsto dalla sentenza citata per il numero di casi stimati porta alla cifra di 3 miliardi di euro di spesa aggiuntiva. È una cifra certamente non sostenibile e si pone quindi un tema di tenuta ed equità del sistema.” Questo il commento della collega Notarnicola, che inoltre precisa: “Le cose si complicano ulteriormente se pensiamo che le persone anziane non autosufficienti ospiti di RSA (inclusi quanti con diagnosi di demenza) sono una piccola minoranza del totale (l’8%, Rapporto Osservatorio Long Term Care, link qui). Una famiglia che si occupa di un anziano non autosufficiente a casa propria, senza attivazione di servizi formali e quindi con un carico di cura completamente auto-sostenuto, spende in un anno circa 15.000 euro (stima dalla ricerca Meglio a casa? Del CERGAS SDA Bocconi, consultabile qui), senza considerare la valorizzazione economica della cura prestata dai famigliari. Queste famiglie non ricevono alcuno (o molto limitato) supporto economico pubblico. Non dovremmo quindi considerare anche queste situazioni come meritevoli di accesso a servizi e prestazioni a carico del sistema di welfare?” O solo perché non sono in regime di “prestazione sanitaria” le famiglie non meritano aiuto?

 

Il “paradosso di Birmingham”

Il caso della sentenza citata, ne ricorda un altro, che ha riguardato una situazione paradossale del Comune di Birmingham, seconda città più grande di Inghilterra, dopo Londra: a seguito di una sentenza che riconosceva una storica discriminazione salariale di genere, nel 2012 l’amministrazione locale è stata condannata a risarcire le lavoratrici per una cifra di oltre 1 miliardo di sterline. L’arrivo di questa maxi multa nel pieno delle politiche di austerity e di tagli agli enti locali (che hanno caratterizzato gli anni ’10 anche in UK) ha travolto il bilancio della città: non è bastata la riduzione della spesa comunale ad evitare la bancarotta, arrivata nel giro di 10 anni. Nel 2023, il Consiglio aveva passività stimate tra 650 e 760 milioni di sterline. Per far fronte a queste obbligazioni, oltre a rinegoziare il rimborso alle danneggiate, il piano di rientro ha previsto un aumento delle imposte comunali del 17,5%, ridimensionamento radicale di servizi sociali ed educativi, la vendita di terreni pubblici e un taglio del 50% dei fondi per le organizzazioni artistiche nel 2023, con una previsione di azzeramento entro il 2026. Il crack non è certo stato causato solo dalla sentenza, ma questa ha avuto innegabilmente un impatto che si è tradotto in riduzione dei diritti per altri.

 

Da sentenze di principio al principio di realtà

Ovviamente, sentenze come quella che ristabilisce il diritto delle lavoratrici alla parità di salario, o che riconosce il diritto dei malati di Alzheimer ad accedere gratuitamente al ricovero in RSA in quanto prestazione sanitaria, non possono che essere accolte con cori di giubilo. Almeno finché qualcuno non si mette a fare i conti. A Birmingham, dopo anni di tagli alle politiche comunali e un default, le donne si sono viste arrivare risarcimenti ben inferiori a quelli stabiliti dalla sentenza. E per le RSA? Chi pagherà?

 

Estendere il perimetro della natura sanitaria di una prestazione in regime di accreditamento (e quindi paragonata ad una erogazione pubblica) significa sancire che questa debba essere a carico della fiscalità generale. Ora, ci sono solo tre opzioni per trovare copertura a questi tre miliardi ad oggi sostenuti dalle famiglie, consapevoli che verosimilmente sono stime al ribasso:

  1. Aumentare la pressione fiscale per assicurare nuove risorse a tutela di questo diritto.
  2. Trovare queste risorse sottraendole ad altri capitoli di spesa.
  3. Ridimensionare nei fatti questo servizio pubblico.

Infatti, la sentenza stabilisce la gratuità per un servizio che c’è. Ma non può farlo per un servizio che non c’è. Il rischio che l’effetto di una sentenza del genere, se non trova presto una nuova cornice finanziaria in sua risposta, incentivi una parte del sistema di offerta (per lo più privati o terzo settore) ad uscire dal regime di accreditamento per collocarsi nel mercato privato puro non è così remoto quanto piacerebbe pensare. Con la conseguenza di vedere aumentare i costi e ridurre il perimetro dei diritti per le famiglie con persone affette da morbo di Alzheimer.

Il contrario esatto delle intenzioni della sentenza.

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