Sotto la lente

Scioccante, destabilizzante e plateale: lo stile negoziale di Donald Trump

Non eravamo abituati. Donald Trump, in poche settimane, ha paventato l’annessione della Groenlandia e di Panama, ha minacciato o annunciato dazi a destra e a manca (“on cars and other things,” ha detto di recente riferendosi alle merci europee), ha dichiarato che l’Unione europea è stata creata per fregare gli Stati Uniti e che Gaza dovrebbe trasformarsi in una riviera turistica. Ha umiliato Zelensky in diretta televisiva durante la conferenza stampa di venerdì 28 febbraio.

 

Non eravamo abituati perché le negoziazioni diplomatiche seguono regole diverse. Quali? E qual è lo stile negoziale di Trump? Perché può adottarlo?

 

Le negoziazioni, in genere, possono avere due obiettivi: creare un rapporto di lungo periodo con beneficio di tutte le parti (negoziazioni collaborative) o accaparrarsi un vantaggio immediato, a discapito dell’interlocutore (negoziazioni distributive). Mentre, nel business, si osservano normalmente entrambe le modalità, la diplomazia – almeno quella tra paesi amici in tempo di pace – prevede solitamente solo negoziazioni collaborative. Esiste una ricorsività relazionale, per cui ogni decisione dovrebbe essere parte di un programma più ampio e di più lungo periodo.

 

Trump rompe decisamente questo schema, adottando uno stile negoziale distributivo in un ambito che eravamo abituati a considerare collaborativo. Adotta come obiettivo della negoziazione il beneficio economico anziché il benessere dei cittadini. Privilegia il breve termine anziché il lungo termine e non sembra risentirne in termini di consenso. Se, indipendentemente dai dati, la percezione dei cittadini è quella di un periodo di instabilità e incertezza, l’orizzonte del lungo periodo diventa sfocato e l’elettorato pare accontentarsi di piccoli guadagni immediati.

 

Inoltre, la cultura americana, più informale e short-termista di quella europea, non giudica lo stile di Trump tanto alieno quanto pensano gli europei.

 

È uno stile un po’ sopra le righe anche nell’ambito delle negoziazioni distributive. Parte quasi sempre con richieste estreme, come si usava nelle negoziazioni immobiliari di qualche decennio fa: chiedo 1.000 per arrivare a 500. Nelle negoziazioni, non importa che la richiesta estrema sia chiaramente irrealistica, il suo duplice scopo è di creare un ancoraggio (una volta espressa la richiesta, la negoziazione non può che partire da lì) e uno shock, costringendo l’interlocutore a contrattazioni estenuanti, nel corso delle quali a ogni concessione si cerca di far corrispondere un costo.

 

Se, nelle negoziazioni di business, l’obiettivo è chiaro e viene normalmente espresso in termini monetari, lo stile di Trump riesce a destabilizzare l’interlocutore anche da questo punto di vista: parte da una richiesta ma il vero obiettivo può essere una concessione di tipo diverso. Se minaccia dazi del 25%, l’altra parte non può essere certa che l’obiettivo sia quello di arrivare al 10 o al 15% - potrebbe chiedere di comprare più gas, automobili o servizi americani.

 

Tutto ciò avviene sempre sotto i riflettori mediatici. Quando Trump fa una richiesta estrema o rimprovera Zelensky, lo fa in modo plateale, per mostrare la sua forza e mettere pressione all’interlocutore, come in un giudizio in una piazza medievale.

 

La letteratura negoziale insegna che uno stile di questo genere può essere contrastato solo da uno stile analogo. Contrapporsi a un negoziatore distributivo con un atteggiamento cooperativo significa (come è stato detto di recente dell’Europa in relazione a Trump) continuare a prendere schiaffoni e legittimare il suo comportamento.

 

All’Europa, insomma, servirebbe un personaggio che vestisse temporaneamente i panni del duro negoziatore distributivo. Uso la parola “personaggio” perché dovrebbe trattarsi di una recita e “temporaneamente” perché dovrebbe essere pronto a rivestire i suoi panni naturali di negoziatore collaborativo una volta chiarito che, con i modi brutali e minacciosi, “non si passa.” Contrapporgli, invece, un altro negoziatore aggressivamente distributivo per natura rischierebbe di scatenare un conflitto senza via di uscita tra ego sproporzionati.

 

L’alternativa teoricamente possibile sarebbe quella di fare fronte comune per riportare le negoziazioni su un terreno più civile. È, però, un’alternativa difficilmente praticabile. Il “divide et impera” è una delle tattiche che un negoziatore distributivo usa più di frequente. Difficilmente troveremo Trump a un vertice negoziale, circondato da 27 leader europei. Preferisce convocarli uno per volta e avviare negoziati bilaterali.

SHARE SU