Branded World

Cool Brand e Brand Coolness

Chissà quante volte, ascoltando o parlando con qualcuno abbiamo sentito o detto: “Wow, ma è proprio cool!” e, ancora più interessante, ci siamo riferiti all’abilità di essere cool, ossia alla coolness. Cool, termine anglosassone, ha molti sinonimi (ad es. hip, awesome, sweet, chill, badass, dope) e indica – per approssimazione, perché intraducibile! - fresco, bello, figo, forte e “hip”, come si potrebbe dire: interessante. Coolness indica, dal canto suo, lo stato di chi o cosa è cool, ossia la freschezza, la “figaggine” e ne identifica l’abilità e la capacità di essere cool.

 

Come spesso accade, essere cool o esprimere la propria coolness fa ormai parte del linguaggio del branding, benché sulla definizione di cosa davvero significhino cool e coolness esista ancora scarsa chiarezza. E mentre l’attenzione accademica sulla coolness si è sviluppata nell’ultimo decennio, nella business community il termine è in voga da oltre un trentennio, proprio perché in alcuni settori – moda, design e lusso su tutti – differenziare prodotti e brand in virtù della loro coolness è, da sempre, un obiettivo strategico prioritario.

Allora, la domanda da porci è: cosa rende cool un brand?

Nonostante l'importanza pratica e teorica della domanda, la risposta non è ancora chiara. Sebbene la ricerca abbia iniziato a indagare i tratti della personalità associati alle persone cool (Jay-Z, Beyonce ́, David Bowie, Bruce Springsteen: The boss ecc), le tecnologie cool (le app) e come fattori specifici cquali l'autonomia (intesa come indipendenza, libertà) e la novità (e quindi tutto ciò che concerne l’innovazione) e la loro relativa influenza sulla percezione di coolness, la letteratura non aveva, sino ad oggi, identificato sistematicamente le caratteristiche che differenziano le marche cool da quelle non cool. E non aveva neppure identificato come queste caratteristiche si possano modificare nel passaggio da marche cool all'interno di una piccola sottocultura, il “cool di nicchia”, a marche "cool di massa" (Warren 2010). In quest’ultimo caso riporto quanto osservato sui miei figli, amanti del brand Supreme anni or sono, che recentemente hanno letteralmente “strorto il naso” quando ho proposto loro una maglietta di tale brand.

Gli esperti di branding si sforzano continuamente di creare marchi interessanti e, quindi, ricercano coolness, freschezza, “figaggine” nonostante, ad oggi, non sono propriamente chiare quali siano, e fino a che punto possano essere generalizzabili, le  caratteristiche dei cool brand. Questo proprio perché cool e coolness sono concetti sfuggenti, come giustamente chiarisce il collega e amico, Professor Michele Costabile, cui ho posto la seguente domanda: “cosa si intende per cool e coolness associate ai brand?”. La sua risposta ne chiarisce immediatamente la difficoltà e l’inafferrabilità, da cui forse dipende l’intraducibilità! “Cool e coolness sono concetti liquidi per definizione; cambiano in funzione di tempo, geografie, canoni estetici, culture e sub-culture transnazionali o globali. Tutti elementi che tendono a dare alla percezione di ciò che è cool un dinamismo apparentemente imprevedibile, e per questo ormai da decenni oggetto di analisi specialistiche volte a spiegare quali siano le componenti fondamentali delle scelte di acquisto e di successo di prodotti e brand”.



Le caratteristiche che appartengono ai marchi cool sono state rilevate in una recentissima ricerca scientifica statunitense (Warren et al., 2019) che, attraverso  tre studi qualitativi e ben nove di natura quantitativa, ha evidenziato come i cool brand sono straordinari, esteticamente attraenti, energici, originali, autentici, ribelli, di alto livello, appartenenti a sub-culture, iconici e popolari. Naturalmente, non tutte queste caratteristiche sono necessarie per ogni brand e ogni segmento di consumatori, ma spesso aumentando una di tali caratteristiche, sfruttando il c.d. leverage percettivo (Busacca et al., 2017) - come ha rivelato un esperimento proposto dagli studiosi - si è in grado di agire sul customer mindset e far percepire  un brand più cool o, comunque, designare il passaggio da non-cool a cool. Ad esempio, il brand Nike è ampiamente considerato cool: le sue scarpe sono fortemente ambite/desiderabili, hanno un bell'aspetto e quindi esteticamente attraenti, sempre innovative, segnalano energia e sono di ottima qualità. Apple mostra un'autonomia positiva essendo originale e autentica, benché ultimamente sia divenuto molto (o troppo?) popolare. Harley-Davidson è diventato cool quando la “sottocultura di motociclisti quasi-fuorilegge” (e ribelli), che ha prestato al brand l'immagine ribelle e iconica, ha adottato proprio questa marca (Holt, 2004). Queste dieci caratteristiche sono correlate alla percezione che un brand sia cool, distinguono i brand cool da quelli non cool e comprendono componenti distinti ma correlati in un modello, costruito attraverso le equazioni strutturali, che giunge anche a chiarire il significato e le componenti di un brand coolness di ordine superiore.





Infine, sempre attraverso suddetto studio, considerando la natura fortemente dinamica della coolness e dei brand cool, si sono evidenziate come le caratteristiche afferenti ai brand cambiano quando un brand passa da cool di nicchia a cool di massa. Per alcuni brand, infatti, sembrerebbe evidente l’aver intrapreso tale percorso. Inizialmente i brand diventano cool all'interno di una particolare sottocultura (ad esempio, Quicksilver con i surfisti, Rocawear con gli appassionati di hip-hop, Supreme con gli skater) con persone che percepiscono la marca come ribelle, autonoma, desiderabile e di alto livello e pertanto la adottano per distinguersi dalla massa. Alcuni marchi cool di nicchia si “allontanano dall'oscurità sottoculturale” per diventare cool di massa. Man mano che brand come Quicksilver, Rocawear e Supreme si espandono da un gruppo marginale di outsider a gruppi più ampi e più massivi, iniziano ad apparire meno ribelli, originali, autentici e straordinari e, di conseguenza, meno cool per quei consumatori originali, appartenenti in questo caso alla sotto-cultura di surfisti, rapper e skater. Ma, nonostante abbiano perso parte della loro autonomia - e apparentemente della coolness per la loro nicchia - i marchi cool di massa diventano più noti e familiari, impongono premium-price e raggiungono una quota di mercato molto più elevata. I “puristi” – appartenenti o fautori delle nicchie e delle sotto-culture - possono anche deriderli, ma i brand percepiti come cool di massa (ad esempio, Nike, Beyonce ́ ecc) sono più popolari e redditizi delle loro controparti cool di nicchia. Fermo restando, però, che i brand cool di massa non perdano alcune caratteristiche che li contraddistinguono e li hanno resi cool: ad esempio, desiderabilità, autonomia. Tale perdita condurrebbe ad una minore freschezza e coolness!

 

In conclusione, per essere un cool brand e per la brand coolness, mai stancarsi di capire, ricercare, seguire e gestire il ciclo dinamico della brand coolness, decidendo coraggiosamente se il brand vuole continuare ad essere cool per pochi o per la massa, con le conseguenti caratteristiche su cui dover far leva nonché segmenti di mercato e di consumatori cui indirizzarsi. Certo che ci vorrà sistematicità e minore volatilità nel comprendere e misurare componenti e percorso per essere un brand cool o ambire alla brand coolness.

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