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- 4 mar 2025
- 40 ore
- Online
- Italiano
Gestire il prodotto in ogni fase del suo ciclo di vita, bilanciare le esigenze dei clienti e garantire la redditività aziendale.
Un bentornato a tutti noi, “sottoposti” al rientro e alla inevitabile ripresa delle attività. Pronti e speranzosi di un “nuovo inizio”. Sì, perché settembre, in fondo, è un po’ come ricominciare un nuovo anno. Speriamo bene!
Per ora iniziamo in leggerezza!
Quest’estate un amico, boomer come me, aveva acquistato il suo primo jeans! Ne decantava le lodi: colore blu indaco, leggero, elasticizzato e comodo al punto da essere indossato durante il viaggio; al contempo, nell’armadio di casa imperversavano camicie chambray (come quelle indossate da Robert Redford in tutti i suoi film!) - un parente stretto del denim, creato da fili bianchi e blu intrecciati - degli amanti del denim! Infine, ho accompagnato i mei figli (Generazione Y e Generazione Z) in giro per mercatini, alla ricerca di jeans Levis - usati e possibilmente 501 - ma anche camicie o giubbotti di jeans (sempre e solo Levis!); e ad essi si è affiancata una mia amica statunitense, appassionata di vintage e instancabile nel girare tra le bancarelle allo scopo di potersi aggiudicare, invece, jeans di marca italiana, con cinque tasche e la cimosa!
Il jeans, realizzato in cotone spesso e resistente, il denim, è nato dall’esigenza di produrre un indumento da lavoro allo stesso tempo comodo, durevole ed economico, che solo dopo la Seconda Guerra Mondiale ha dimostrato il suo potenziale stilistico, diffondendosi come abbigliamento quotidiano.
Il denim mediterraneo. Per parlare dei jeans (l’indumento) occorre far riferimento al denim (il tessuto) che, prima di diffondersi attraverso l’Atlantico sino alle coste americane per divenire il jeans, vanta origini Mediterranee. Secondo alcuni, le origini del denim sono francesi (fine del XVII secolo) e la scoperta proviene dai tessitori di Nimes, che inventarono un tessuto robusto chiamato sergé o “twill di Nimes”; altri propongono un’origine italiana, del medesimo periodo, e più precisamente genovese. Nella città portuale si produceva un tessuto fatto di lana e cotone tinti con indaco, simile al denim moderno e preferito dai marinai, non solo per i capi e gli indumenti, ma anche perché utilizzato per le vele delle navi.
I jeans ci sono da sempre, sono per tutti: donne, uomini, bambini, etc. e hanno una grande fascinazione … e non solo da parte dei boomer o delle generazioni precedenti!
Millenials, Generazioni Y, Z, Alfa etc…utilizzano i jeans: il jeans è transgenerazionale.
Bruce Springsteen (the Boss), ormai settantenne, è ancora amante dei jeans e dei giubbotti jeans, indossa due giacche (di cui una di jeans!). GQ ha definito il suo attuale look denim "Lusso Californiano del Granddad Bruce"; anche Ralph Lauren, che ha più di ottant'anni, è ancora il miglior modello del “suo” denim o meglio del suo stile “nel segno dei jeans” (https://www.ralphlauren.it/it/rlmag/icona-della-storia-del-denim-ralph-lauren/Ralph-Lauren-denim-history-icon.html ). Il jeans non necessariamente porta alla mente un passato lontano; ad esso si affiancano anche uno o più fenomeni recenti. Come suggeriscono Daniel Miller e Sophie Woodward, “i jeans sembrano connessi al ruolo che nessun altro capo d’abbigliamento potrebbe mai ottenere”.
Jeans per la ripresa. Per il back to school molti retail-brand attivano iniziative promozionali che incentivino i clienti a “ripulire i loro armadi e riciclare i loro vecchi, amati denim, dando nuova vita al denim usato": Target, Lululemon, American Eagle, Madewell e Athleta.
Jeans e sostenibilità. Alcuni anni fa Tommy Hilfiger e la stessa Levi’s Strauss avevano sviluppato iniziative di sostenibilità che portassero a nuova vita i vecchi e logori jeans, evitando l’acquisto di nuovi o scambiando i vecchi e logori jeans, evitando l’acquisto di nuovi e scambiando i vecchi con i nuovi. Recentemente sono numerose le aziende (Patagonia in testa) che stanno sviluppando processi innovativi volti al riciclo del denim, nonché ad acquistare cotone da aziende agricole che utilizzano metodi di agricoltura rigenerativa. G-Star Raw, azienda olandese, sta esplorando come rendere la produzione dei jeans e del denim, in tutto il mondo, locale per un impatto ambientale molto più ridotto.
Il jeans è ricco di infinite associazioni che accolgono dai mutevoli tempi in cui i jeans vivono ed hanno vissuto. Un po’ cult, un po’ pop (come vorrebbero essere oggi tutti i prodotti!), rock, rude, rivoluzionario e contestatore, ribelle, simbolo di giovinezza, libertario, libero, sensuale, branded – nel fashion system designer e creativi si sono dedicati alla realizzazione di modelli nuovi e diversi che impiegassero il denim per le loro creazioni.
Il jeans è in grado di esprimere uno stile personale: pensate ai numerosissimi (e meravigliosi) film in cui Robert Redford indossa camice, pantaloni e giubbotti rigorosamente denim…! E indipendentemente dal ruolo di protagonista che vive in un ranch!!!
Una breve sintesi aiuta a capire la valenza culturale del jeans!
Il jeans: oltre Levi Strauss & Co. A…Nel 1853, Levi Strauss, immigrato tedesco, attraverso la filiale di San Francisco, riforniva i suoi clienti anche con un robusto tessuto di cotone importato dall’Europa: il denim. Tra essi Jacob Davis, sarto, già avvezzo all’impiego del denim per articoli durevoli e robusti (tende, coperture, etc.) realizzò dei pantaloni in denim, rinforzato con rivetti di rame, richiesti da una società mineraria d’oro per lo svolgimento del duro lavoro dei lavoranti nelle miniere! Da ciò trae origine la partnership tra Strauss e Davis, con il brevetto registrato per i pantaloni rivettati e la creazione di Levi Strauss & Co. Nel 1870 si iniziò la produzione di tute di jeans e nel 1890 si lanciò il primo paio di jeans. A quel punto il denim si era evoluto nei jeans, divenuti il capo-base dell’abbigliamento agricolo e industriale americano. Per i primi anni del 1900 i jeans erano un abbigliamento da lavoro indispensabile; ricercati nel West da minatori e ferrovieri, vennero scelti dai cowboy che barattarono i tradizionali pantaloni di lana con l’alternativa più fresca, conveniente e resistente in denim. I jeans divennero il simbolo degli allevatori di bestiame.
Ma col tempo Lee, Wrangler, Carhartt, Dickies e tanti altri brand si dedicano ai jeans. Levi Strauss non ha inventato il jeans, ma lo ha reso popolare!
Nel 1976 Calvin Klein, primo nella storia, presenta i suoi jeans in passerella; introduce una linea di jeans “firmati”, di stile “europeo”, dominante nel mercato del denim all'epoca. I jeans erano a vita alta, estremamente attillati ed avevano una cucitura distintiva sulle tasche posteriori e l’'etichetta "Calvin Klein" che marchiava i jeans come status symbol. I jeans vennero lanciati con campagne pubblicitarie apertamente sensuali (uno degli spot è stato considerato così scandaloso da essere bandito da diverse reti televisive negli Stati Uniti), tra cui la campagna che ritrae una quindicenne Brooke Shields.
Così nasce il denim firmato e branded, che alla fine del XX secolo diviene un vero e proprio oggetto di lusso. Per la collezione primavera 1999 di Gucci Tom Ford realizzò un paio di jeans piumati (venduti per oltre $ 3.000); Roberto Cavalli, Jean Paul Gaultier, Fendi e Giorgio Armani hanno contribuito a rendere il denim un prodotto di alta moda.
Cultura mainstream e capo femminile. Fin dagli anni '30, la popolarità dei film western aiutò i jeans a fare il balzo dall'abbigliamento da lavoro al guardaroba delle star di Hollywood. I film western, interpretati da grandi icone come John Wayne e Gary Cooper, mostravano uomini belli e robusti che indossavano jeans denim; la pubblicità raffigurava attrici come Ginger Rogers con jeans di tendenza. E negli anni ’30 Vogue diede il suo OK a tale capo d’abbigliamento, definendo i jeans “western chic”!
Cool, ribelle, contro-cultura, sexy. I Jeans, resi glamour in film come "Il selvaggio" (1953) e "Il gigante" (1956) interpretati da Marlon Brando e James Dean, divennero l'uniforme della spensieratezza svampita della nuova generazione e, quindi, capo essenziale. I jeans divengono cool e i “bad boys” (Dean e Brando) della cultura pop esibivano jeans risvoltati e squadrati, sfidando le norme sociali, divenendo idoli e facendosi seguire dagli adolescenti ribelli. Negli anni ’60 affianco all’ascesa di pace e amore si affermano i jeans a zampa d’elefante; durante le dimostrazioni per i diritti civili, gli attivisti indossavano spesso jeans, tute e giacche da lavoro in denim. Quest’ultimo diviene simbolo di solidarietà. Negli anni ’70 il denim viene impiegato per esprimere il passaggio verso una cultura più libera e sensuale; i jeans divengono aderenti ed attillati per silhouette più snelle e audaci e divengono l’indumento casual per eccellenza, in quanto forma di espressione creativa e per uno stile di vita libero e liberato.
E la storia prosegue!
I jeans dei ribelli di oggi sono rotti, rattoppati, scuciti.
I jeans vivono di Pop, musica e influencer. Dal 2000 le regine del pop (es. Britney Spears, Christina Aguilera, etc.) performano con jeans a vita bassa che divengono subito cult; al contempo, durante festival musicali si assiste al ritorno dei jeans a zampa, ovvero si affermano anche i denim elasticizzati con la conseguente diffusione dei jeans skinny che acquistano crescente popolarità. Di pochi mesi fa è l’effetto Beyoncè sul brand Levi’s dopo l’uscita del brano “Levii’s Jeans” in collaborazione con Post Malone, contenuto nell’album “Cowboy Carter” della cantante.
Accanto a jeans d’alta moda, stone-wash, acid wash, strappati e con tagli affusolati si ritrovano anche quelli skinny, a gamba larga e dritta, oppure oversize, quelli da carpentiere con tasche multiple e così via, proprio ad incarnare la grande varietà di stili personali, sempre nel rispetto del pianeta e delle persone che lo popolano.
Quindi, lunga vita ai jeans!
Cosa dire nel nostro caso: Viva i jeans della ripresa!