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- 4 mar 2025
- 40 ore
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Gestire il prodotto in ogni fase del suo ciclo di vita, bilanciare le esigenze dei clienti e garantire la redditività aziendale.
Quando ci si riferisce al “portafoglio” per ciascuno di noi si dischiude un mondo!
Oltre a metterci le mani in tasca (!) … a seconda di professione, attività, approccio – razionale-funzionale, speculativo, creativo, emotivo-sentimentale – rischi, finalità e così via, si inizia immediatamente a riflettere sul significato che il termine rappresenta. Di fatto, a seconda della disciplina o dell’ambito economico o di business di riferimento il termine portfolio si ritrova affiancato a: d’impresa o di business, strategico, finanziario, personale, di progetto/i, di prodotto/i, di marca, delle innovazioni, cliente, paese/i, di esperienze e, non meno importante, sempre di più ci si riferisce al portafoglio di storie!
Mission impossible trattarli tutti in Branded World! Soprattutto perché accanto a tali molteplici ambiti si ritrovano tanti e diversi strumenti e metodi, soventemente molto tecnici, necessari affinché la pluralità insita nei portafogli abbia voce, prenda forma ed equilibrio!
Da un punto di vista lessicografico, Portafoglio o Portafogli ne indica uno con tanti fogli o più di uno? Questa è una delle domande interessanti a cui l'Accademia della Crusca, uno dei principali punti di riferimento - in Italia e nel mondo - per le ricerche sulla lingua italiana, ha fornito una risposta.
Portafoglio o portafogli indica una custodia sia per raccogliere documenti e carte sia per tenere le banconote. Dal punto di vista morfologico il composto “porta” e “fogli” si allinea a molti altri composti analoghi in italiano (porta-cenere, porta-ombrelli, etc..) e il plurale del secondo elemento risulta in perfetto accordo semantico con la funzione di tenere raccolta una molteplicità di oggetti (nel caso specifico fogli, documenti o carta moneta). Attualmente è molto diffuso “portfolio” - parola inglese riadattata sull’italiano negli anni Ottanta - utilizzato: per indicare una cartella in cui è raccolto il materiale scritto o illustrato destinato alla promozione di un nuovo prodotto o a una nuova linea di prodotti; al posto dell’inglese book, quale raccolta di materiale fotografico o grafico che documenti la carriera o l’esperienza di un artista, di un creativo, e così via (il mitico personal portfolio!); nella terminologia scolastica il riferimento lo si ritrova nel portfolio delle competenze quale raccolta della documentazione più significativa del percorso scolastico di ciascun alunno (Riforma dell’Istruzione, 2003); all’antico portafogli di documenti solo cartacei si inseriscono e si affiancano anche quelli digitali con il digital-portfolio.
Quindi, nella forma e sul piano dell’espressione (e nel significante): niente di nuovo; nella sostanza e sul piano del contenuto (e nel significato): il mondo!
Nel “glossario” d’impresa il termine portafoglio è ampiamente utilizzato, indicando un aggregato di elementi omogenei; si va dal portafoglio strategico e di business al portafoglio d’attività, dal portafoglio ordini al portafoglio progetti, dal portafoglio clienti al portafoglio prodotti, dal portafoglio crediti al portafoglio titoli, e così via. Per ciascuno di tali portafogli ritroviamo metodologie o strumenti che consentono l’applicazione e l’interpretazione all’oggi ovvero orientate al futuro. Basti pensare all’impiego della storica Matrice BCG, alle matrici del portafoglio clienti, al CVP – ciclo di vita del prodotto che, impiegate/i anche in chiave dinamica, offrono la possibilità di accompagnare e indirizzare le “pratiche” manageriali verso scelte strategiche indirizzate a gestione dei clienti (CRM), dei business aziendali e del prodotto che richiedono investimenti, sforzi e decisioni diverse a seconda degli orientamenti imprenditoriali.
Nel “glossario” finanziario, solitamente, riferendosi al portafoglio di investimenti (come se fosse un “grosso portadocumenti”) contenente un insieme di asset (tanti e diversi: denaro in un conto deposito o in certificati di deposito, immobili, azioni, obbligazioni, ETF, fondi comuni d’investimento, criptovalute etc.) acquistati o in cui si intende investire per generare reddito o apprezzamento del capitale. Ed ecco che oltre a considerazioni di natura temporale e/o connesse alla durata si ritrova il concetto di rischio e di tolleranza al rischio, anche a seconda dei diversi Paesi e/o della tipologia di prodotti (materie prime, energia, etc.). Un adagio molto impiegato in finanza è: “…più lungo è l’orizzonte temporale e più arditamente si può agire”. In altri termini, la composizione del portafoglio dipenderà dalla quantità di rischio che si è disposti ad assumere attraverso l’investimento nei diversi asset e dal tempo per il quale si desidera investire. Il mix delle varie tipologie di investimento (o classi di attività) permette di distribuire il rischio e massimizzare il potenziale, connesso all’opportunità di ottenere buoni rendimenti futuri, proprio perché ciascuna classe di attività ha caratteristiche e rischi diversi, e combinandole insieme si può ottenere la cosiddetta diversificazione del portafoglio reputata più efficace.
Nel “glossario” del brand, il brand portfolio definisce "un insieme di brand di proprietà di un'azienda" e un portafoglio composto da "tutti i brand e le relative estensioni, offerte da una data azienda in una data categoria di prodotto". Le imprese vengono così a comporre il portafoglio di marche verso cui - ad esempio, considerando ruolo, sinergia, relazioni e interrelazioni tra i brand – indirizzare cinque possibili strategie di portafoglio (es. branded house, sub-branding, endorsed branding, house of brands e una strategia ibrida che include una combinazione di queste) per giungere a valutare la brand equity d’impresa in termini di valore creato per gli azionisti (Hsu, Fournier, Srinivasan, 2010), al di là delle performance di mercato, in base a due parametri fondamentali in finanza: i livelli di rendimento delle azioni (la variazione percentuale del prezzo delle azioni) e la volatilità o il rischio associato a tali rendimenti (Srinivasan, Hanssens 2009) quali rischio sistematico (derivante da situazioni ambientali che influenzano il mercato azionario complessivo, in cui risulta difficoltosa anche una diversificazione dei rischi tramite un qualsivoglia portafoglio, seppure bilanciato ed equilibrato!) e rischio idiosincratico (associato a circostanze o caratteristiche specifiche dell'azienda e connesse alle strategie adottate di marketing, branding, ricerca e sviluppo per il portfolio). Del resto, nel brand portfolio e nelle sue relative strategie, molte sono le decisioni attinenti agli investimenti volti a sostenere il valore dei brand (e necessari per: raggiungere i molteplici segmenti di domanda, attrarre i variety-seeker, per aumentare la presenza negli assortimenti e incrementare il potere di mercato nei confronti del trade, per creare barriere e scoraggiare l’ingresso di marche concorrenti), nonché riguardo alla necessità di gestire i potenziali rischi di diversa natura che si ripercuotono su risultati economico-finanziari, profitto, quota, copertura, penetrazione e, in generale, sull’equity o la perdita di equity del brand (es. il rischio di diluizione del valore, la duplicazione di attività, il conseguimento di economie di scala a livello produttivo, distributivo e comunicativo, con conseguenti risparmi in termini di costi e l’applicazione delle relative politiche di prezzo).
Pertanto, applicando al brand portfolio un concetto di derivazione finanziaria, le diverse strategie devono essere in grado di: 1) distribuire differentemente il rischio atteso tra i diversi brand; 2) ridurre/accrescere i rischi attesi; 3) massimizzare il potenziale per ottenere buoni livelli di rendimenti futuri. E osservando il brand portfolio in tale modo, si riescono a “conciliare” approcci strategici e aziendali con approcci tipicamente finanziari, considerando la brand equity di ciascun brand ed anche quella complessiva d’impresa!
Nel “glossario” del brand storytelling è necessario accogliere un nuovo modo di immaginarne la sua “vera” natura, ossia all’innato e già conosciuto potere delle storie va collegata la potenzialità insita nel portafoglio di storie, altrimenti denominabile brand-story-portfolio. Sì, perché benché gli sviluppi tecnologici offrano allo storytelling nuove opzioni di distribuzione, connessione e condivisione, l'ampia gamma di nuove tecnologie accresce al contempo le aspettative del pubblico lasciando ai brand la scelta nel ricercare le storie migliori nel fare ciò. E…proprio grazie a transmedialità, contenuti, punti di contatto, momenti differenti di vita del brand, strategie diverse nel brand portfolio, ma anche fasi, attività, progetti, prodotti …”branded” (basti pensare a CVP, BCG, approcci al branding overtime!) lo storytelling diviene un investimento che la marca deve essere in grado di affrontare, con livelli di rendimento, volatilità, rischi e tolleranza al rischio diversi perché ogni scelta solleva un numero crescente di considerazioni - entusiasmanti e gravose – in termini di mix, ma anche di natura finanziaria, progettuale, branded o product based, rispetto ad aspettative e richieste del pubblico che cambiano di continuo ed evidenziano una crescente complessità.
In quest’ottica, lo story-brand portfolio è fondamentale perché:
1) le storie plasmano il modo in cui gli altri, il pubblico, il target vedono il brand o l’impresa purché ci sia un obiettivo comune - espresso da una strategia di marca, un brand porfolio - cui si affianchino ulteriori storie sul/i brand da raccontarsi o condividere in quanto memorabili e facili da raccontare ad altri (per il suo rendimento futuro e per azzerare il rischio).
La brand sory di Bertha Benz (Mercedes nel 2019) e il coinvolgimento delle manager di Mercedes è esemplificativa di quanto evidenziato.
2) le storie sono strumenti di potere, devono trascinare l'ascoltatore nella storia con verità sorprendenti, effetti visivi, approcci insoliti. Esse vanno costruite e realizzate con investimenti importanti…quando si raccontano le storie il pubblico dovrebbe rallentare per ascoltare e la condivisione dovrebbe consentire alle persone di percepire più efficacemente cosa ciascuna storia di marca nel portafoglio ha da raccontare (è un modo per “gestire” la volatilità finanziaria nel corso del tempo). E’ il caso di Matthew McConaughey a partire dal suo libro Greenlights ma anche…attraverso altri strumenti/mezzi che ci portano al prossimo punto…
3) le storie convincono, spingendo all'azione, perché il portfolio di storie è in grado di persuadere conducendo in un viaggio avvincente e coinvolgente, con protagonisti diversi in funzione della storia, della sfida e dell’arco narrativo adottato per ciascuna storia nel portfolio.
Hsu L., Fournier S., Srinivasan S. (2010), “Brand portfolio strategy effects on firm value and risks”, Boston University, School of Management, Working Paper, 1-10
Srinivasan S., Hanssens D. M. (2009), “Marketing and Firm Value: Metrics, Methods, Findings and Future Directions,” Journal of Marketing Research, 46 (3), 293-312.
Vediamo cosa si riesce a fare dopo aver letto Grennlights!!!
Alla prossima.