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- 4 mar 2025
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Pensare alla Monarchia (in particolare quella britannica) come ad un brand, dischiudendone il relativo branding, potrebbe apparire azzardato o un po’ “fuori dal seminato”, ma in Branded World lo possiamo fare!
A maggior ragione se lo stesso padre della regina, re Giorgio VI, in una dichiarazione, poi ripresa - rendendola parte della cultura pop della marca-monarchia-istituzione - all’interno del noto film: Il discorso del re (interpretato da Colin Firth), ha affermato: “Non siamo una famiglia. Siamo un'azienda". A ciò si aggiunge quanto, da un punto di vista accademico, è stato affermato da uno noto storico inglese - da sempre occupatosi delle “questioni” reali britanniche – che nel suo libro, The Firm: The Troubled Life of the House of Windsor (Junor, 2005), oltre ad evidenziare la “firm” già nel titolo ha anche riportato che “…è oltremodo difficile distinguere tra la famiglia e la macchina”. E da un punto di vista più “gossip”, quanto evidenziato durante l’intervista di Orpah Gail Winfrey al Principe Harry e alla moglie Meghan Markle.
La monarchia britannica è stata (da sempre) evocata come un'istituzione che rappresenta un quanto mai “ricco” immaginario ma che è anche tanto business. La Elizabeth Corporation è testimonianza dell'istituzione familiare, ormai millenaria, che alimenta le percezioni di marca vitali per sostenerne il successo.
La House of Windsor, descritta attraverso un organigramma, (Forbes, 2021), oltre a tre membri per la C-Suite, cinque Vice-President e tanti altri, tra nipoti e cugini, raccoglie migliaia di dipendenti in tutto il mondo. Solo Buckingham Palace dà lavoro a circa 1.200 persone; la Crown Estate, che sovrintende ai beni della monarchia, impiega altre 450 persone, incluso un consiglio di amministrazione che assume le decisioni finanziarie.
Dopo l'uscita di Harry e Meghan, la "New Firm” o “firm of eight”, tesa a consolidare e mantenere le risorse e la reputazione, oltre a Sua Maestà è composta da un gruppo d'élite di sette reali: il principe Carlo e sua moglie, Camilla, duchessa di Cornovaglia; Il principe William e Kate, duchessa di Cambridge; la principessa Anna, figlia della regina; il principe Edoardo, figlio più giovane della regina, e sua moglie, Sophie, contessa del Wessex.
La Corona britannica da sempre affascina e incuriosisce; la notorietà dei reali è stata associata a un lascito ereditato alla nascita, per pochi eletti, quale simbolo del Paese di appartenenza, proprio come se fosse un marchio, in grado, al contempo, di alimentare immagine e reputazione connesse a dignità, stabilità, sovranità e potere, che dovrebbero durare per tutta la vita (Balmer, Greyser e Urde 2004).
Il ruolo assunto dai reali è, quindi, di essere un simbolo, un segno costante, rilevante e immutabile per il loro popolo, e non solo.
Per la monarchia britannica il logo, o per meglio dire, lo stemma più rilevante - nonostante le svariate modifiche negli anni – è, e rimane, la corona di Sant’Edoardo, il più importante tra i Gioielli della Corona e il fulcro della cerimonia di incoronazione dei sovrani del Regno Unito, per sacralità e valore fin dal 1661 (Rct.uk 2018). La corona, in generale, è un simbolo visivo molto potente e lo è stato per secoli, esprimendo potere, sovranità e qualità. Non è un caso che venga impiegata da altri brand come Hotel Crowne Plaza; Triumph e Rolex, che affianca lo slogan “a crown for every achivement”, volendo esprimere il prestigio associabile alla linea dei prodotti offerti. I membri della Royal Family (character e veri brand ambassador) infondono il forte imprinting per cui la Corona non cessa di esistere quando il monarca viene a mancare, perché l’istituzione della monarchia continua con l’elezione di un nuovo monarca. Lo stesso slogan britannico: “Dio e il Mio Diritto”, non si modifica al momento della successione, ma permane, invariato, a voler dichiarare il potere spirituale conferito al monarca direttamente da Dio. Il jingle: “God Save The Queen”, inno reale e, al contempo, inno nazionale di ogni cerimonia reale, viene modificato solo in base al sesso del sovrano (prima dell’ascesa di Elisabetta II il jingle era “God Save The King”, mentre dopo è stato riadattato in “God Save The Queen”). Infine, la monarchia britannica è da sempre associata al Regno Unito, a Londra o a Buckingham Palace, essendo questo il centro dove la monarchia esercita il suo potere, così come risulta difficile non pensare alla monarchia britannica o alla Regina pensando a Londra o al Regno Unito. In qualsiasi angolo di Londra è possibile trovare un negozio di souvenir, un negozio di abbigliamento o di qualsivoglia categoria in cui non si possa trovare il merchandising “Reale”. Molte volte la vendita si verifica anche online. Per via di questa grande capillarità, il brand della monarchia britannica gode di una grande esposizione positiva, generando una crescente brand awareness.
Negli ultimi anni, poi, l’interesse nei confronti della Monarchia, e alle modalità attraverso cui essa comunica e partecipa alla vita dei suoi “sudditi”, è aumentato, rendendola sempre più simile a un brand o a un celebrity-brand. Le royal family si sono manifestate in qualcosa molto più di consumo, invadente e social. Esse non vengono più viste solo sul grande schermo, ma anche tramite i social media. I sontuosi matrimoni, compleanni, battesimi e persino funerali vengono trasmessi in diretta in tutto il mondo affinché chiunque possa assistere; i tour nei paesi del Commonwealth e le manifestazioni pubbliche generano un enorme interesse e alimentano un immaginario collettivo “da favola” - perché ripresi dalle televisioni, riportati dalle numerose piattaforme e presenti all’interno di numerosissimi piani editoriali di tabloid, giornali e mezzi diversi nel mondo.
Così come attestato dal “Celebrity Index – European Royal Family” (Statista, 2021), tra i follower dei social media e i volumi di articoli di notizie online, la famiglia reale britannica mostra un enorme divario rispetto gli altri reali europei. Sui social network si assiste a un fenomeno per cui sempre più persone partecipano attivamente alle vicende della famiglia Reale, commentando o condividendo determinati contenuti.
Sono numerosissimi gli articoli scritti sui quotidiani e molteplici copertine delle riviste che riportano notizie e fatti sulla famiglia Reale britannica. Tra il 2017 e il 2020, quest'ultima ha avuto oltre 1,2 milioni di articoli di notizie online scritti su di loro a livello globale. Su Facebook, Instagram, Twitter e YouTube, i reali britannici hanno più follower di tutte le altre monarchie europee messe insieme.
In aggiunta, sempre riferendoci al mondo dei social network, vi sono vere e proprie community online dedicate ai membri di queste famiglie, dove vi è anche una partecipazione attiva ma mediata dai “portavoce ufficiali” di questi ultimi. Ad eccezione del Principe Harry e della moglie che gestiscono direttamente i propri social.
Il valore della monarchia britannica nel 2017 è stato stimato di circa 70 miliardi di sterline (Brand Finance); di cui 25,5 miliardi di sterline di beni materiali, non alienabili e/o dismettibili, rispettivamente: la Crown Estate (19,5 miliardi), Buckingham Palace (circa 4,9 miliardi), il ducato di Cornovaglia (1,3 miliardi), il ducato di Lancaster (748 milioni), Kensington Palace (stima 630 milioni) e la Crown Estate Scotland (592 milioni). Forbes (2020) stima anche che la regina Elisabetta abbia altri 500 milioni di dollari di patrimonio personale (connessi a investimenti, arte, gioielli e proprietà immobiliari, tra cui due castelli: Sandringham House e Balmoral Castle), che passerà al principe Carlo quando salirà al trono. Il valore intangibile, inteso come il valore attuale dei benefici che la monarchia dovrebbe portare all'economia britannica nel corso degli anni, costituisce i restanti oltre 40 miliardi di sterline. Parte della tenuta della principessa Diana, andata ai principi il giorno del loro venticinquesimo compleanno, hanno consentito a Harry e alla sua famiglia (stima Forbes: 10 milioni di dollari) di stabilirsi in California. Con maggiori flussi di entrate provenienti da: podcast con Spotify (chiamato Archewell Audio), una serie Apple TV + sulla salute mentale che Harry produrrà esecutivamente con Winfrey per una somma non rivelata e un accordo Netflix di 100 milioni di dollari per cinque anni (con documentari, docuserie, lungometraggi, spettacoli con sceneggiatura e programmi per bambini per il servizio di streaming, ecc). "Harry e Meghan potrebbero diventare un celebrity-brand da 1 miliardo di dollari" (Haigh, Brand Finance, 2020).
La Corona oltre ad avere impatto social e raggiungere una notevole equity, fornisce un ambiente favorevole agli investimenti stranieri (Balmer, Greyser e Urde 2004), genera significativo valore economico al turismo e un notevole ammontare di ricavi per tutti quei prodotti detentori della Royal Warrant (Brand Finance 2017), ovvero un riconoscimento ufficiale da parte della Corona che li fa associare direttamente alla Monarchia, conferendo ad essi un valore aggiunto. Quando il brand Royal Family “presta” il suo prestigio attraverso il Royal Warrant (nel 2018 le aziende detentrici di queste onorificenze erano 728, appartenenti a 18 categorie diverse) e il Royal Endorsement (per cui i reali solitamente non vengono retribuiti delle aziende per utilizzare i loro prodotti/servizi), nel primo caso alcune aziende ottengono fino al 5% dei loro ricavi per merito del Royal Warrant e, nel secondo, l’effetto sull’economia è stato calcolato pari a 200 milioni di sterline nel 2016 (Brand Finance 2017); inoltre, il Royal Endorsement produce effetti anche nel turismo (es. le prenotazioni negli hotel aumentarono del 30% anno dopo anno (Brand Finance 2017)), dopo che il Duca e la Duchessa di Cambridge pernottarono nell’Isola di Anglesey dove il Principe William stava svolgendo il servizio militare). In più, l'impatto della famiglia reale sul turismo, grazie alla copertura mediatica gratuita della Gran Bretagna, è stato stimato in 400 milioni di dollari nel 2017 (Brand Finance).
God save the Queen...