Branded World

Amarcord: partiamo con Heineken e il Brand “in” culture (Prima puntata)

Non fatevi trarre in inganno da Amarcord. Benché sia il titolo di uno dei film più noti della produzione felliniana e della cinematografia italiana del secondo Novecento, vincitore del premio Oscar come Miglior film straniero… non intendo da oggi e per futuri pezzi trattare specificamente del film! Vorrei, invece, rifarmi al significato della parola Amarcord – processo diacronico di fusione di due parole originariamente autonome e romagnole: “A m’arcord" – la cui traduzione letterale sta per "Io mi ricordo". Dal titolo del film – nonostante l’origine sia attribuita ad altro – si è diffuso il neologismo, adottato comunemente con il significato di "rievocazione” di qualcosa; sovente nostalgica, ma non necessariamente tale.

 

E’ proprio dall’Amarcord realizzato con alcuni alumni, miei studenti del corso di Brand Management, divenuti oggi marketing manager, global brand manager, amministratori delegati o event manager ed entusiasti di essere coinvolti sui temi del brand - con  Branded World - la cui semplice fascinazione inziale … li ha letteralmente trascianti in questo ambito, a seguito del tanto studio richiesto e di un percorso apprendimento “on field”,  sino a sfociare in amore ed esperienza verso la continua innovazione nel loro lavoro quotidiano. Ed io sono felice di potervi raccontare di loro e dei brand, con il solito (“minimo”…promesso!) contorno teorico!

Amarcord #1: Partiamo da Daniela Iebba.

Classe 1982, appena laureata entra in Heineken … senza più uscirne sino ad oggi! Prima in Italia (2007), da Assistant Media Manager cui seguono altri diversi ruoli nel marketing, poi ad Amsterdam, in Olanda (2013), all’interno dell’headquarter. Oggi Daniela è Global Heineken Brand Strategy & Communication Director e con il suo team sviluppa tutte le iniziative e le campagne di comunicazione del brand a livello globale. Per questo motivo, affascinata da una delle ultime tra le numerose iniziative del brand, realizzata sul mercato irlandese, l’ho intervistata!

”Bello il mercato della birra!”...Eppure

La birra è una delle bevande più popolari al mondo; il mercato è dominato da un numero ristretto di paesi-produttori (5 i leader del settore) della quasi metà di tutta la birra imbottigliata al mondo e con il seguente ordine: Cina , Stati Uniti, Brasile, Messico e Germania (prima in Europa). Tale produzione è dominata dalla presenza di poche grandi industrie e corporate globali (con headquarter dispersi tra Europa, Usa e Paesi Asiatici) cui fanno capo tanti e numerosi brand più o meno noti a livello globale e/o nazionale: Anheuser-Busch InBev, con sede in Belgio, possiede oltre 500 marchi (marchi globali come Budweiser - Bud in Italia- Corona e Stella Artois; i marchi multi-Paesi come Beck’s, Hoegaarden, Leffe e Castle e i numerosi marchi locali come Aguila, Antarctica, Bud Light, Brahma, Cass, Cristal, Harbin, Jupiler, Michelob Ultra, Modelo Especial, Quilmes, Victoria, Sedrin e Skol); Heineken, corporate olandese, ha un portafoglio di oltre 300 birre e sidri internazionali, regionali, locali e speciali (Adelscott, Amstel, Cruzcampo, Affligem, Calanda, Desperados, Starobrno, Tiger, Zagorka, Ochota, Murphy’s, Mc Farland, Lagunitas, Lasko & Union, Red Stripes, Sol, Star, Pelforth e le italiane Birra Moretti e Ichnusa, etc.); in Cina, il gruppo China Res. Snow Breweries, noto per la Snow Beer il brand “nazional-popolare” più venduto al mondo, è il terzo più grande produttore birraio e il primo gruppo del paese; Diageo, con sede nel Regno Unito, possiede la stout Guinness, inventata nel 1759, la birra scura più famosa nel mondo con stabilimento principale a Dublino, attrazione turistica più visitata in Irlanda. In Gran Bretagna Guinness è la birra leader nell’HoReCa e il brand viene commercializzato/esportato in oltre 50 Paesi nel mondo.

 

Potremmo andare avanti aggiungendo che, ad oggi, a tali produzioni e brand globali si sono affiancati molti birrifici di dimensioni più contenute (“birrai artigianali” quali piccole aziende produttrici di birra - meno di sei milioni di barili all’anno - indipendenti e/o posseduti/controllati per meno del 25% da un membro dell’industria).

 

Grazie alle sue numerose formule e aromi (bionda, bianca, rossa, ambrata o scura), gradazioni (all’alcoolica si è affiancata l’analcolica, con una gradazione inferiore a 1,2°, impensabile sino ad alcuni ani fa!), categorizzazioni e sotto-categorizzazioni (es. le due principali ale o lager; ma anche  bock o birre da tavola, tra 2 e 3,9°; birre "di lusso" 4,4 e i 5,5°; birre speciali, oltre i 5,5°; etc.) con più di 100 “tipologie” nel mondo, la birra detiene una quota di mercato a livello globale maggiore rispetto alle altre bevande alcoliche. Nel 2022 durante la World Beer Cup, la più grande competizione di birra al mondo, hanno partecipato 2.493 birrifici di 57 Paesi, a dimostrazione del gran numero di distillerie del mondo.

 

Insomma, in un mercato globale in continua espansione (che neanche il Covid è riuscito a fermare a livello mondiale!) - valutato pari a 563,90 miliardi di dollari (2022), con una crescita annua del 10,34% (entro il 2025) che si stima raggiungerà oltre 750 miliardi di dollari nel 2027 – diviene strategico il branding considerandone: paese di produzione (molti i brand asiatici ed europei esportati!), tecnica produttiva impiegata, tipo di cereali utilizzati, categorie/sottocategorie, consumi, modalità e rituali di consumo (out-home ed at-home, come aperitivo o per pasteggiare, etc.), canali (difficile non citare l’Ho.Re.Ca., soprattutto per il “valore” generato!) rendendo la birra una bevanda sempre più popolare tra tutte le generazioni, nonché una componente importante della cultura nei consumi e dei paesi.

Strategic Brand-Culture Fit …

La globalizzazione solitamente promuove opportunità di crescita internazionale, ma intensifica anche la competitività internazionale tra paesi, corporate e brand (…chi può dimenticare la “guerra delle cole”!). Di conseguenza, al momento di entrare o rafforzare la propria presenza in un Paese, è importante scoprire come i consumatori dei diversi paesi possano rispondere alle iniziative – nuove, cross-country, o provenienti da processi già avviati altrove - considerando che i comportamenti del consumatore, e i relativi consumi, altro non sono che il risultato dell’interazione di quest’ultimo con i numerosi stimoli cui è sottoposto, con i relativi processi di consumo di natura sociale e culturale. Ciò coinvolge rituali, simbologie e “culture” tipiche di ciascun Paese, non solo connesse a clima, utilità, funzionalità e/o accessibilità, che rendono quanto mai country-specific i consumi, ma determinanti nel forgiare i comportamenti dei consumatori secondo “norme” provenienti e strettamente connesse al Paese. La cultura del Paese e la gestione della cultura, specifica di un determinato Paese, sono un supporto essenziale e assumono una rilevanza strategica per gli attori globali.

 

In specifico, proprio la strategia di branding, anche per un mercato globale come quello della birra, richiede un’analisi approfondita dell’insieme di valori, credenze e comportamenti della gente che vive e abita quel Paese e che in esso consuma!

 

Come ha illustrato Banerjee (2008: 320), “cambiare la cultura di un Paese è intrinsecamente faticoso, ma può essere affrontato in modo efficace se l'adattamento – e non la standardizzazione, sebbene più appealing ed efficiente – del brand-heritage rispetto alla cultura del Paese avvenga attraverso attività, iniziative e branding che ne rispettino diversità, radicamenti, norme, etc… garantendo così il successo anche in scenari altamente competitivi di mercati globalizzati”.

… ovvero Brand “in” culture per Heineken

Riuscire a distinguersi dal 1864, divenendo un punto di riferimento per milioni di consumatori nei diversi Paesi, attraverso un prodotto con una ricetta invariata nel tempo, è un’impresa tutt’altro che semplice. Ma branding e comunicazione di Heineken dimostrano il contrario.

 

Heineken al compimento, lo scorso anno, dei suoi 150 anni ha lanciato una campagna globale “150 years of good times”…Come dice la stessa Daniela Iebba: “…non ci importa di noi/del brand/di come la gente ci pronuncia, l’unica cosa che importa sono i momenti di socialità che vengono creati con il prodotto”. La “crociata” di Heineken è la socialità: agevolarla, facilitarla e … crearla è alla base del posizionamento del brand, perché lo stare insieme è un momentum importante e necessario per tutti. L’ho volutamente denominata “crociata” in quanto l’obiettivo si è dipanato nel tempo (come la serie di guerre combattute tra l’XI e il XIII secolo); basti pensare alla campagna “The Closer” (2022) in cui per combattere il workaholism e venisse immediatamente “ripristinata” la distinzione tra orario di lavoro e tempo libero, uno speciale apribottiglie permetteva di spegnere PC e ogni altro dispositivo di lavoro, chiudendo le app e le schede del browser sui cui si stava lavorando o, a fronte di una soluzione più drastica, staccava corrente e connessione Wi-Fi! A cui si aggiunge il lancio in edizione limitata di “The Boring Phone” durante la Milano Design Week (2024), il dumbphone realizzato con Bodega (brand curator di moda, design e controcultura americano) e HDM (produttore degli “storici” telefoni Nokia) e progettato con LePub, nonché ispirato all’estetica dei telefoni anni Duemila; lo scopo è di salvare il tempo libero da distrazioni e distruzioni della vita sociale provenienti dagli smartphone di ultima generazione, riconoscendo la priorità delle interazioni autentiche. Il video sul Boring-phone è stato diffuso originariamente attraverso i profili Instagram di Heineken, per poi essere ricondiviso e divenire virale anche su altri canali digitali apprezzandone il suo headline: “Keep good times alive”.

 

Ho lavorato per diversi anni con il e/o i brand del gruppo a livello nazionale, ma ho particolarmente apprezzato ciò che è stato realizzato non più tardi di un mese fa da Heineken sul mercato irlandese, con il contributo dell’agenzia creativa LePub e Publicis di Dublino. ⁠⁠Anche “Pubmuseums” si integra perfettamente nella bigger e global brand strategy: i pub sono il luogo per eccellenza dove inizia la socializzazione e Heineken li difende e continuerà a supportarli, per continuare a ricordarci che la “social life” è fondamentale.

 

Va da sé che mi rifaccio a quanto dianzi evidenziato!

 

Partiamo dai pub. I pub irlandesi sono icone culturali riconosciute a livello mondiale e, al contempo, sono “pezzi significativi” della storia locale, molti dei quali custodiscono storie inestimabili e cimeli di valore. Per chi ha visitato i pub irlandesi sa che quotidianamente divengono un “micro-cosmo familiare” in cui le stesse persone si incontrano, si raccontano la giornata, bevono e vengono amabilmente accolti dalla parte della famiglia che risiede lì! Poi, durante gli altri giorni e, in particolare nei week-end o durante le vacanze, divengono mete turistiche e di degustazione importanti per la cultura del paese. Gerry Farrell, uno storico di Dublino, proprio in merito ai pub ha affermato: “Pochi edifici o attività commerciali mantengono la stessa funzione nel corso dei secoli. Una visita ad un pub storico è un collegamento con il nostro passato. È importante proteggere e preservare i nostri pub storici in modo che possano continuare ad essere apprezzati per le generazioni a venire”.

 

L’Unesco. La Federazione dei Vintners d'Irlanda ha richiesto che l'UNESCO - Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (e che protegge alcuni beni del Pianeta, inserendoli nella lista dei “siti patrimonio mondiale”) - riconosca formalmente i pub tradizionali quale patrimonio culturale, ossia parte di una memoria storica unica, la cui bellezza è certamente inseribile tra i valori irrinunciabili dell'esistenza umana!

 

Heineken. L’azienda ha deciso di integrarsi in tale iniziativa, non pensando alla celebrazione nostalgica del passato ma rammentando il ruolo dei pub irlandesi - soprattutto quelli “più ricchi di storia” (come Heineken, brand con grande tradizione birraia) e che più “hanno contributo alla storia” – nella cultura e nel tessuto sociale del Paese, oltre a rappresentare un canale Ho.Re.Ca. importante e rilevante nelle comunità per la ripresa di momenti e rituali di socialità e…di consumo di birra.

 

Pub Museum. Per contribuire a mostrare il valore e l’importanza di questi pub, Heineken ha aperto musei virtuali dei pub in tutta l’Irlanda. La campagna che ritengo fortemente innovativa e in linea con le numerose e diverse iniziative svolte dal brand, mi ha particolarmente colpito perché mette insieme heritage, storia, consumi, cultura, patrimonio, autenticità e … tecnologia! Ogni pub che ha aderito all'iniziativa è stato trasformato in un museo virtuale, comprendente reperti storici, audioguide e persino souvenir. Una targa all'ingresso di ogni pub recita "Questo pub è un museo", dando il benvenuto ai visitatori. Scansionando un codice QR posto sulla targa, i clienti del pub vengono trasportati in un'esperienza virtuale, alla scoperta della storia di ogni pub. Una sovrapposizione di realtà aumentata racconta storie e leggende locali su ogni pub, ricreando esattamente l'esperienza di trovarsi in un museo tradizionale…senza soluzione di continuità per tutti coloro che, curiosi o appassionati al tema, con il cellulare e muovendosi tra oggetti virtuali, possono vivere un'esperienza immersiva in cui la complessità tecnologica si traduce in facilità d'uso per scoprire la storia dei pub.

 

L’esperienza è iniziata il 4 aprile nell’iconico Toners Pub di Dublino con un evento di lancio con celebrità e influencer locali e si è estesa al Sean’s Bar di Athlone e alla Mother Macs Public House di Limerick. Ad esempio, proprio il Sean's Bar è ritenuto il pub più antico d'Irlanda…e forse del mondo, con una storia leggendaria, avvolta nel mistero e supportata da elementi di pura “archeologia”. Quando l’avevo visitato ero rimasta affascinata da questo luogo e, quando i miei figli lo hanno visitato, di recente, ne hanno subito la medesima fascinazione. Quindi, salvaguardare i pub significa trasferirne il valore anche per le generazioni a venire, proteggendoli come "case della socializzazione” e punti di riferimento culturali.

 

Quanto si dovrebbe e si potrebbe fare per i brand “in” culture …

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