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- 4 mar 2025
- 40 ore
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- Italiano
Gestire il prodotto in ogni fase del suo ciclo di vita, bilanciare le esigenze dei clienti e garantire la redditività aziendale.
In questo periodo sembra tutto così complesso che la voglia di semplicità regna sovrana.
Ricerchiamo la semplicità nei piccoli gesti della quotidianità, nell’uso delle tecnologie (sempre più complesse) e delle piattaforme, nell’impiego di beni, prodotti e servizi nonché nelle esperienze sempre più avvolgenti e, sovente, complesse e complicate nel farsi “effettivamente” esperire!
In realtà non è un problema esclusivamente dei brand e, quindi, inevitabilmente di branded world! - ma proprio considerando il blog e gli innumerevoli argomenti che si sono succeduti nel tempo al suo interno, abbiamo pensato che il pezzo di oggi potesse essere dedicato a questo tema.
Recentemente ho letto un libro molto interessante dal titolo: The Semplicity Principle: Six Steps Towards Clarity in a Complex World (Hobsbawm, 2020) e un articolo appena pubblicato all’interno della rubrica carriera della rivista Nature dal titolo “Why your scientific presentation should not be adapted from journal article”. Apparentemente nessuna connessione, in realtà il libro possiede un titolo estremamente esplicito (e semplice) e l’articolo è una richiesta di semplicità, connessa all’esigenza – soprattutto per gli scienziati che scrivono all’interno della rivista – di rendere più comprensibile (semplice e meno frustrante) il contenuto di quanto scritto rispetto all’audience che lo legge o potrebbe potenzialmente leggerlo, non disobbedendo al principio spesso impiegato del: "Meglio troppo che troppo poco, perché più dettagli dimostrano rigore e affidabilità."
Chissà quante marche e quanti di noi, anche senza rifarci direttamente a personal brand, ma riflettendo come persone, professori, economisti, manager, genitori ecc. ecc. abbiamo sposato - vuoi per necessità vuoi per scelta consapevole - il principio poc’anzi evidenziato. Contravvenendo a una citazione tramandata dal famoso scienziato Albert Einstein: “The definition of genius is taking the complex and making it simple.” (La definizione di genio è prendere il complesso e renderlo semplice). Come dire che per essere “geniali” nel fare qualcosa è bene renderlo semplice!
Mi aggancio a quest’ultimo punto per trattare di quanto dichiarato nel titolo, strizzando l’occhio a ciò cui ambiscono un po’ da tutte le marche: la genialità , intesa in questa sede come l’unicità che possono e devono esprimere.
Con l’inizio del nuovo millennio, Gerard Kleisterlee - divenuto CEO di Royal Philips Electronics, una delle più grandi societàdi apparecchiature elettroniche ed elettriche al mondo, headquarter olandese e presenza globale - opta di “sfidare la complessità” (Zeiro, 2007; Tonfi Argante, 2010). Tale sfida rispondeva alla crescente richiesta di milioni di consumatori e dipendenti che esprimevano sentimenti di frustrazione e chiari segnali di insoddisfazione dinanzi a prodotti, procedure, divisioni e servizi troppo complessi per essere adeguatamente utilizzati. Il fulcro della nuova strategia di riposizionamento del brand Philips (dal 2003), passava attraverso “sense and simplicity” (che non era uno statement vuoto, fatto solo di parole!) che accoglieva al suo interno nuove visione, mission e un'importante ristrutturazione dell'organizzazione indirizzata alla trasformazione continua e instancabile nella ricerca di innovazione, principi di progettazione e produzione nonché di brand value proposition. Driver necessari nel definire lo sviluppo e il passaggio di Philips, da produttore di commodity di elettronica, a creatore di prodotti, servizi e prodotti+servizi cool, smarter, easier- to-use, in grado di proiettare il brand verso un nuovo tipo di intimità (make sense) con i consumatori. Il Simplicity Advisory Board (dal 2004) ha avuto lo scopo di infondere nell'organizzazione nuove idee e prospettive perché composto da cinque visionari, provenienti da diversi Paesi e con focus in differenti discipline (medicina/radiologia, design/arte, tecnologia, lifestyle, economia, ecc) fornivano un orientamento globale, multidisciplinare e multiculturale.
Difficile parlare di semplicità e non pensare ad un brand come Apple. Basta osservare la sua gamma prodotti sempre innovativi, di design, cult (che creano attesa), accompagnati da servizi e prodotti+servizi anch’essi cool, smarter, easier- to-use. I MacBook (Pro, Air…), gli iPhone sottilissimi, gli iPod, gli iPad, gli Apple Watch, le custodia AirPods e così via, sono semplici persino nel nome! Se si guardano prodotti, servizi off-line e on-line, store, nonché il modo in cui si può interagire con la marca se ne percepisce semplicità e innovazione, sebbene mai dichiarate apertamente ma agite di continuo. Il “make sense” per la vita e per arricchire la vita di tutti coloro che ne impiegano prodotti o servizi, oppure che entrino in un Apple Store, sono alla base di qualsiasi forma espressiva e progettata per la marca, essendo incentrata sulle esigenze degli utenti. Steve Jobs, sin dal suo rientro nel 1997, ha fornito all’azienda “quell’imprinting” dichiarato nella mission: "fornire soluzioni pertinenti e convincenti che i clienti possano ottenere solo da Apple". In quella pertinenza - quale relazione di reciprocità, di spettanza e di appropriatezza - e convinzione circa il ruolo centrale del brand per i clienti, ci sono gli elementi visionari che hanno spinto lo stesso innovatore e sospingono tuttora il brand.
Sono molte le marche che oggigiorno esaltano la semplicità, non solo Philips e Apple, la lista sarebbe lunga, ma non infinita! Amazon, ad esempio, ha reso facile l'e-commerce con un “semplice click”, Zoom permette facilmente e velocemente la “semplice connessione” o il collegamento tra tante, diverse e distanti persone, si potrebbe andare avanti citandone molte altre. Solo poche ore fa ho eseguito il collegamento, in diretta streaming, con una nuova piattaforma: “semplicissima da usare” (e non frustrante).
Le persone, noi tutti, preferiamo istintivamente la semplicità alla complessità; inutile ripeterlo, però si è molto più attratti dalla semplicità rispetto alla complessità. E, quindi, la semplicità può aiutare, può determinare affezione, amore da parte dei clienti per un determinato brand. Quando quest’ultimo offre semplicità riuscirà ad ottenere “sostenitori” pronti ad impegnarsi a dedicarsi per e con esso al fine di semplificare la vita di altre persone (lo scambio informativo e di conoscenza, le chat, le community, il volontariato ne sono un parziale esempio). Ma la vera semplicità non è semplice o facile, richiede tempo, lavoro, commitment. E qualunque sia il prodotto, il servizio, l’esperienza, ciò che conta di più è coinvolgere il mercato, il segmento di mercato, le persone, l’audience giuste, ben sapendo che quanto più aumenta la dimensione o la numerosità di queste ultime, tanto più semplice e unificatrice deve divenire la “portata del brand”.
La marca, può essere in grado di unificare e semplificare all’esterno o all’interno di un’organizzazione - con prodotti, servizi, esperienze diverse sovente in modo pratico e intuitivo - perchè la semplicità ispira amore e lealtà verso il brand e l'azienda, da parte di tutti gli stakeholder, determinandone il valore.