Sotto la lente

Struzzi e giardinieri della sostenibilità: tra ritirata e rinnovamento

Il dibattito sulla missione delle imprese non è nuovo. Devono limitarsi a generare valore per gli azionisti o, al contrario, assumere un ruolo nella società? L’invito di Milton Friedman a massimizzare i profitti senza preoccuparsi d’altro è noto. Nel 1972, però, il Club di Roma già chiedeva una revisione del modello di crescita. Negli anni successivi alla firma dell’Accordo di Parigi (2015), aziende e istituzioni finanziarie hanno iniziato a pensare di avere un ruolo sociale da svolgere, non solo nella lotta al riscaldamento globale ma anche, ad esempio, in tema di diversità.

 

Ora il pendolo sta oscillando nella direzione opposta. Negli Stati Uniti, la rielezione di Donald Trump sta incoraggiando un processo al cosiddetto “wokismo”. Le misure per promuovere l’emancipazione delle donne e delle minoranze vengono screditate, così come gli sforzi per la tutela dell’ambiente. Al centro dell’attenzione ci sono ora temi come la tecnologia, l’intelligenza artificiale e la ricerca della “competitività.” Anche l’Europa non è immune a questo fenomeno. Dopo un primo mandato incentrato sul “Green Deal,” Ursula von der Leyen ha promesso che la Commissione europea si dedicherà alla “semplificazione.” Ma fino a che punto? E a quale costo? C’è il rischio di esagerare o addirittura di nascondere la testa sotto la sabbia per non vedere le complessità del mondo contemporaneo.

 

L’Europa è il continente che ha inventato l’università e ha posto la ragione al di sopra dell’oscurantismo. Per questo, sembra saggio partire da ciò che dicono gli scienziati. Lungi dal consigliarci di rallentare, ci invitano a raddoppiare gli sforzi. Osservano un “nexus” tra le diverse problematiche e ci esortano a considerare la complessità degli ecosistemi, le cui interazioni non sempre comprendiamo. I rapporti dell’IPCC sull’aumento delle temperature si accumulano e sono sempre più allarmanti. L’ultimo rapporto IPBES (l’IPCC per la natura) è altrettanto categorico (vedi Thematic assessment of the interlinkages among biodiversity, water, food, and health | IPBES secretariat): l’abbondanza e la qualità del nostro cibo e dell’acqua disponibile, il mantenimento di temperature vivibili e la salvaguardia della salute dipendono dalla regolazione del cambiamento climatico e da un rapporto con la natura che escluda la predazione.

 

Non sono gli attivisti ambientali o i sostenitori della decrescita a iniziare a preoccuparsi della natura, ma manager esperti che vogliono preservare la sostenibilità delle loro aziende. Uno studio condotto da SDA Bocconi per sei gruppi francesi riuniti sotto la piattaforma 2050Now ci ricorda che, al di là dell’ecologia, si tratta di un tema economico (Why destroying nature means destroying the economy | SDA Bocconi School of Management - Top Business School in Europe).

 

Le imprese iniziano a sentire gli effetti dell’esaurimento delle risorse sulle loro filiere: l’aumento dei prezzi del caffè o del cacao a causa di eventi climatici nel Sud del mondo, il calo delle rese agricole dovuto al degrado del suolo e alla scomparsa degli impollinatori in Europa, senza contare l’inquinamento delle falde acquifere che minaccia sorgenti millenarie. Anche l’attrazione di giovani talenti di qualità, desiderosi di dare un senso al proprio lavoro, dipende sempre più dall’immagine dell’azienda. Infine, gli eventi climatici uccidono, danneggiano le fabbriche, interrompono le catene di approvvigionamento e distruggono valore. Tutti hanno visto le inondazioni a Valencia, in Spagna, dove l’effetto delle piogge torrenziali, provocato dal riscaldamento del Mediterraneo, è stato amplificato dall’urbanizzazione in aree a rischio

alluvione. A Los Angeles, gli incendi in zone a sviluppo urbano insostenibile hanno portato alla distruzione di interi quartieri. C’è ancora molta strada da fare, perché l’intera economia dovrà essere trasformata radicalmente, ma le soluzioni iniziano a emergere. Gli esempi citati nello studio per 2050Now riguardano imprese di settori molto diversi, dal lusso alle costruzioni, dalla finanza alle telecomunicazioni, dai media all’energia. Coinvolgono l’innovazione ma anche, paradossalmente, un ritorno a pratiche del passato: sobrietà, circolarità, tecniche come la piantumazione di siepi e l’irrigazione parsimoniosa. In natura, la materia viene riciclata, non esistono rifiuti. Allo stesso modo, dobbiamo abbandonare un sistema produttivo predatorio, che esaurisce le risorse, e adottare tecniche più rispettose della vita e capaci di rigenerarla.

 

Per tenere il passo con questo cambiamento, il settore finanziario ha bisogno di dati affidabili e comparabili sulle azioni delle aziende, oltre a strumenti per monitorarne impatti e dipendenze. Ecco perché le regole di trasparenza, come la CSRD, sono fondamentali. Possiamo comprendere che si siano commessi alcuni eccessi o che certi standard non siano stati calibrati al meglio. Ma non dobbiamo combattere la battaglia sbagliata. Per essere più competitivi, gli europei devono alleggerire un po’ il proprio carico e, senza dubbio, potare qualche ramo. Come sanno bene i giardinieri, tagliare alcuni rami fa bene alle piante. Questo, però, non significa abbattere l’albero in nome di una semplificazione demagogica, che potrebbe rapidamente diventare un pretesto per non fare alcuno sforzo.

SHARE SU