Cantieri di ricerca

Fisco e contribuenti corporate: come costruire un rapporto vantaggioso per entrambi

Le domande

Già da qualche anno, anche in Italia, è stato avviato, per via legislativa, un processo di trasformazione progressiva del paradigma del rapporto Fisco-contribuenti corporate.  L’evento che ha marcato il primo, significativo, passo in tale direzione è stata l’introduzione, attraverso il D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128 (cd. “Decreto certezza”), del programma di cd. Adempimento Collaborativo (comunemente chiamato “Cooperative Compliance”).  

 

Tale programma, mutuato da esperienze estere, ein particolare, Paesi Bassi e Australia, si basa su un capovolgimento del tradizionale paradigma di compliance fiscale. Infatti, mentre il tradizionale rapporto Fisco-contribuenti prevede un confronto (ma sarebbe forse piú appropriato definirlo “scontro”) eventuale ex post (successivamente all’esecuzione delle operazioni fiscalmente rilevanti e alla presentazione della dichiarazione dei redditi e in seguito all’attivazione di verifiche tributarie da parte dell’Amministrazione finanziaria), il meccanismo della Cooperative Compliance prevede una cooperazione continuativa ex ante (prima di porre in essere transazioni e operazioni di particolare rilievo) tra le due controparti del rapporto tributario.  

 

La ratio giustificativa della Cooperative Compliance è data dalla garanzia di certezza giuridica che tale interazione preventiva e costante fornisce ai contribuenti, che, in tal modo, tendono a evitare audit e accertamenti fiscali negli anni a venire, oltre alle relative sanzioni amministrative ed eventualmente penali e ai danni reputazionali, e dal risparmio di risorse amministrative per l’Amministrazione finanziaria, che potrà concentrare le proprie attività di verifica e accertamento sui contribuenti che non abbiano intenzione o la possibilità di cooperare.  

 

Questo processo di trasformazione del paradigma della compliance tributaria, tuttora in corso di evoluzione, implica un cambio culturale e organizzativo sia da parte dei contribuenti corporate che da parte dell’Amministrazione finanziaria.  

 

La nostra attività di ricerca si è focalizzata, in primo luogo, sull’esplorazione dei modelli di Cooperative compliance fiscale implementati in altri Paesi - per una valutazione dei loro benefici potenziali, delle criticità e dell’adattabilità al contesto italiano. 

 

In secondo luogo, ci siamo chiesti come sia possibile migliorare la gestione del rischio fiscale all’interno delle imprese, individuando le pratiche più efficaci e sostenibili per affrontare e vincere tale sfida.  

 

L’ultima questione su cui ci siamo interrogati riguarda la promozione di maggiore trasparenza, responsabilità e collaborazione tra fisco e contribuenti, con l’obiettivo di garantire una gestione del rischio fiscale più efficace e sostenibile nel lungo termine. 

 

A partire da un’analisi di contesto, questa ricerca tenta dunque di rispondere ad alcune domande cruciali. 

  • Quali sono i modelli di cooperazione fiscale implementati in altri Paesi e quali sono i benefici attesi? 
  • Come possiamo trasformare il confronto tra Fisco e contribuenti in una cooperazione vantaggiosa per entrambe le parti?  
  • Come possiamo migliorare la gestione del rischio fiscale all’interno delle imprese? 

Lavoro sul campo

Un sistema di compliance fiscale tradizionale, basato sulla cd. “ex-post confrontation” tende a generare uno scenario “lose-lose” in cui i contribuenti corporate sono esposti a incertezza circa il trattamento fiscale delle proprie operazioni e dunque al rischio di riprese a tassazione e applicazione di sanzioni, amministrative, penali e reputazioni e l’Amministrazione finanziaria soffre gap informativi che comportano perdita di gettito fiscale e un significativo dispendio delle proprie limitate risorse, in quanto costretta ad attivare verifiche e accertamenti verso una platea ampia e non ben selezionabile di contribuenti. 

 

Invece, uno scenario di “ex ante cooperation,” tipico dei programmi di Cooperative Compliance tende a tradursi, per i contribuenti, in una maggiore probabilità di conformità fiscale, che a sua volta porta a una diminuzione dei rischi e, di conseguenza, dei costi finanziari e reputazionali e dei rischi di carattere penale. Per il Fisco, la promozione di una collaborazione con contribuenti selezionati, in quanto trasparenti e disposti a dialogare ex ante, dovrebbe consentire di ridurre l’area grigia di contribuenti che, pur desiderandolo, non riescono a essere totalmente compliant e, dunque, concentrare le attività di verifica e accertamento più onerose e aggressive su un’area più ristretta di contribuenti che non desiderano o non sono in grado di collaborare ex ante.    

 

Si introduce, così, il concetto di gestione del rischio fiscale, che per i contribuenti, significa sviluppare un sistema interno di controllo, noto come Tax Control Framework (TCF), e per il Fisco nella distinzione dei contribuenti sulla base del loro profilo di rischio tributario. 

 

I programmi di Cooperative Compliance sono diffusi in oltre 25 Paesi. Abbiamo dedicato un focus particolare sulle esperienze maturate in Australia, Paesi Bassi e Sud Africa (pionieri della Cooperative Compliance) - ma anche Regno Unito e Stati Uniti - ed esaminato dettagliatamente le caratteristiche e i benefici di tali programmi, evidenziando le best practice e le sfide affrontate nella gestione del rischio fiscale. 

 

L’introduzione di tali programmi è solitamente preceduta da progetti-pilota inizialmente riservati a contribuenti corporate di grandi dimensioni e successivamente estesa ad altri, incluse persone fisiche. Come già evidenziato, l’aspetto tipico di questi programmi è l’instaurazione di un dialogo costante tra contribuente e Amministrazione finanziaria, utile a raggiungere una risoluzione ex ante di problematiche di qualificazione e di trattamento fiscale. Tra i principali benefici dei programmi di Cooperative Compliance troviamo: una maggiore celerità di risposta a quesiti concreti; il raggiungimento della certezza fiscale; la riduzione del carico sanzionatorio in caso di non compliance da parte dei contribuenti; l’accrescimento della reputazione attraverso la pubblicazione dell’elenco dei contribuenti ammessi al regime. 

 

Tra gli elementi più significativi di tali programmi troviamo la selezione qualitativa dei partecipanti, l’implementazione di un TCF e la risoluzione preventiva delle questioni fiscali. Il TCF, in particolare, emerge come risultato di un percorso condiviso con l’Amministrazione e si fonda su tre pilastri: 

 

  1. Accountability: chiara attribuzione intra-aziendale delle responsabilità di tax compliance; 
  2. Risk assessment: efficiente rilevazione e misurazione del rischio fiscale; 
  3. Internal communication & information circulation: efficiente trasmissione delle informazioni fiscalmente rilevanti. 

 

Gli esempi concreti di cui parliamo nella ricerca permettono di osservare come i programmi di Cooperative Compliance funzionino nel contesto reale. Il programma italiano di Cooperative Compliance, preceduto da un programma pilota condotto con 14 contribuenti, è oggi rivolto a contribuenti che soddisfino requisiti quantitativi (in particolare, un volume di affari di almeno 750 milioni di  euro) e qualitativi (principalmente, l’adozione di un TCF) ed è gestito da un ufficio dell’Agenzia delle entrate composto da un nucleo di funzionari selezionati. Attualmente, oltre 100 società sono state ammesse al regime, che garantisce anche il dimezzamento o l’azzeramento delle sanzioni amministrative  in caso di non compliance e l’immunità da attività di riscossione prima della definitività degli accertamenti fiscali.  

 

Il legislatore ha proceduto anche recentemente a estendere le maglie e i benefici della Cooperative Compliance, prevedendo, fra gli altri: 

 

  • un’ulteriore progressiva riduzione del requisito quantitativo di accesso (sino a giungere, nel 2028, a un fatturato di “soli” 100.000 di euro); 
  • l’azzeramento delle sanzioni amministrative per i contribuenti che comunichino i rischi fiscali prima delle dichiarazioni fiscali e delle relative scadenze; 
  • la riduzione di due anni dei termini di decadenza per l’attività di accertamento verso i contrinuenti aderenti al regime che abbiano posto in essere un sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale certificato da un professionista indipendente qualificato. 

 

Tali sviluppi sono tendenzialmente in linea con le esperienze dei Paesi pionieri della Cooperative Compliance e con le raccomandazioni OCSE. 

Guardando avanti

Esaminando le sfide e le opportunità che si presentano nel campo della gestione del rischio fiscale, la ricerca: 

 

  • incoraggia l’esplorazione delle prospettive di evoluzione dei programmi di Cooperative Compliance, inclusi l’abbassamento delle soglie di accesso, il potenziamento degli incentivi e l’introduzione di nuove pratiche e standard; 
  • conferma l’importanza di continuare a promuovere una maggiore trasparenza, responsabilità e cooperazione tra Fisco e contribuenti per garantire una gestione efficace e sostenibile del rischio fiscale;  
  • evidenzia infine il ruolo cruciale della corporate governance e del coinvolgimento del top management nella definizione della strategia fiscale aziendale.  

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