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The Joy of Old

Nel 2017 ho iniziato a occuparmi di gestione di differenze generazionali. Nelle aule (le mie prime) si avvertivano infatti i primi mal di pancia relativi all’approdo delle nuove generazioni nel contesto organizzativo. La frase che ho sentito ripetere più volte?

 

Come si fa a gestirli? Sono così diversi da noi.

 

Il tono con cui era posta questa domanda lasciava intendere un fastidio e una richiesta di aiuto per “sopravvivere” da parte delle generazioni più senior. Solo qualche anno dopo, si è iniziato a diffondere l’idea che dietro a questa diversità si potesse riscontrare un valore. Forse le nuove generazioni non andavano semplicemente gestite ma valorizzate. Vari studiosi e consulenti hanno contribuito a questo dibattito, generando idee e pratiche diffuse per facilitare il dialogo e la collaborazione con i più giovani. Spesso e volentieri, in questi scambi, si è dato però per scontata la posizione dei più senior. Di fronte a questi cambiamenti generazionali e alle sfide che questi rappresentano, che valore possono offrire le generazioni che precedono Millennials e Gen Z? Come valorizzare i più senior? Qual è la loro unicità?

Nel loro libro "The Joy of Old", John S. Murphy e Frederic M. Hudson ipotizzano tre picchi nella vita: fisico, che si verifica nei primi vent’anni; economico, che può verificarsi intorno ai quaranta o cinquant’anni; e umano, che si verifica più avanti nella vita. Durante il nostro apice fisico, siamo i nostri corpi; durante il nostro apice economico, siamo il nostro lavoro; e durante il nostro apice umano, siamo noi stessi – dicono. La società spesso giudica le persone che si trovano nella seconda metà della loro vita in base a uno standard che venera corpi giovani e carriere ad alto guadagno. Ma il vero valore dei più senior è nella loro umanità; e come arricchiscono l'umanità di coloro che li circondano.

Il CEO di Apple, Tim Cook, durante la cerimonia di laurea al MIT nel 2017, ha condiviso questa sua preoccupazione:

"Non mi preoccupo che l'intelligenza artificiale dia ai computer la capacità di pensare come gli esseri umani. Sono più preoccupato che le persone pensino come i computer: senza valori o compassione, senza preoccuparsi delle conseguenze delle proprie azioni.

"I più senior possono portare umanità in un mondo sempre più dominato dalla tecnologia. Murphy e Hudson ipotizzano: "Nella giovinezza cerchiamo la perfezione. Nell'anzianità, la completezza." Marshall Goldsmith, uno degli executive coach più conosciuti al mondo e autore di numerosi bestseller, a sessantotto anni, dopo una vita spesa come mentore, ha iniziato a farsi alcune domande rispetto al proprio lascito. Riflettendo su persone che ammirava e che riteneva eroiche, ha pensato a persone come Peter Drucker e Frances Hesselbein, entrambi così generosi in tutto ciò che gli avevano insegnato, senza chiedere alcun tipo di ricompensa. Goldsmith ha così deciso di "adottare" cento coach, accademici e leader ad alto potenziale ai quali impartire la sua saggezza, completamente gratuitamente, con un’unica condizione: che loro facessero altrettanto quando sarebbero diventati anziani. Ha chiamato questo piano ereditario "The Marshall Goldsmith 100 Coaches", alias MG100, ed è stato selezionato da Thinkers50 come una delle idee più innovative dell'anno nel mondo degli affari. Nel presentare questa sua idea ha dichiarato: "Non ho una grande fortuna da poter donare come Bill Gates o Warren Buffett. Ma posso donare la mia conoscenza".

 

Seguendo l’esempio di Marshall Goldsmith, come possono i più senior tradurre la propria esperienza in modo da renderla accessibile ai più giovani? E come possono i più giovani aprirsi all’ascolto per imparare ciò che col mutare dei tempi non muta?

 

Queste domande – insieme a quella relativa al come valorizzare i giovani - rappresentano nobili e meritevoli preoccupazioni, certamente cariche di responsabilità, ma altrettanto necessarie per una sana evoluzione dell’essere umano.

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