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L'economia dell'attenzione

È arrivato il momento della ripresa, in cui torniamo a rimmergerci nella vita di tutti i giorni fatta di casa, lavoro e…milioni di altre cose. E forse più che la singola cosa in sé e per sé, è l’insieme che potrebbe a tratti sembrare sfidante e far, per qualche istante, rimpiangere il suono delle onde o il verso di qualche animale solitario di montagna.

 

Nel 2013 Daniel Goleman pubblica il suo libro intitolato Focus. Lo scrive “per il benessere delle generazioni a venire”. Come altri (ancora troppo pochi ahimè), Goleman si è reso conto che nell’era delle infinite soluzioni, degli innumerevoli stimoli e del sapere alla portata di tutti, una delle risorse che maggiormente scarseggiano è quella della nostra attenzione.

 

L’American Psychological Association definisce l’attenzione come “uno stato in cui le risorse cognitive sono focalizzate su alcuni aspetti dell’ambiente piuttosto che su altri”. Si tratta di una risorsa mentale spesso invisibile e sfuggente e per questo spesso poco considerata. Difficile da misurare nella quotidianità, se non attraverso la quantità di tempo che dedichiamo a una specifica attività, mentre ignoriamo il resto. Già nel 1977 il premio Nobel per l’economia Herbert Simon ci aveva avvertito: una ricchezza di informazioni produce una povertà di attenzione.

 

Cosa ci perdiamo ad essere poveri di attenzione? Qual è il reale valore di questa risorsa?

Basta osservare in primis la nostra tipica reazione di fronte all’assedio (a volte riesce davvero difficile trovare un’altra definizione) continuo di dati, informazioni e richieste: ricorriamo a scorciatoie che spesso ci fanno guadagnare nel breve (e.g. rapidità di esecuzione di un compito) ma poco nel lungo periodo (e.g. costruzione di una relazione).  Tipico esempio: velocizzare l’ascolto dei messaggi vocali. Il più delle volte questo ci priva della possibilità di ascoltare parte integrante del messaggio come il tono della voce, le pause utilizzate, etc. – tutti elementi essenziali per comprendere a fondo il detto e il non detto all’interno di una comunicazione.

 

Così facendo, abbiamo sviluppato e consolidato una serie di abitudini che ci rendono meno efficaci – nonostante superficialmente crediamo il contrario – e questo perché nella gestione del volume delle informazioni che riceviamo non ci siamo ancora soffermati sulla necessità di trovare il tempo per comprendere e riflettere sul loro reale significato.

 

Il nostro cervello immagazzina i diversi tipi di informazioni in vasti circuiti e solo quando gli viene lasciato il tempo e lo spazio di riposare in una concentrazione aperta e rilassata, può vagare in libertà e imbattersi in fortunate associazioni di pensieri. Le cosiddette intuizioni, meccanismi fondamentali alla base del progresso umano e scientifico. Nel susseguirsi di email, messaggi, notifiche, urgenze, lo spazio libero per innovare non si crea in automatico. A tal proposito occorre ricordarsi, come diceva Einstein, che “la mente intuitiva è un dono sacro e la mente razionale è un fedele servo. Abbiamo creato una società che onora il servo e ha dimenticato il dono”.

 

È necessario ricreare intenzionalmente quello che Goleman definisce bozzolo creativo. Uno spazio (e un tempo) protetto, capace di preservare il valore della nostra attenzione e di creare le giuste condizioni per generare nuove idee.

 

Cosa dite, può essere un buon proposito per questa ripresa?

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