EMF: Renato Dorrucci, le coordinate del leader di domani

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Solida esperienza costruita sul campo e tensione al cambiamento. Attenzione alla dimensione locale e alla relazione personale con una prospettiva globale e strategica. Visione orizzontale e “a rete” compatibile con strutture organizzative verticali e specialistiche. È la fotografia che Renato Dorrucci, Responsabile Formazione, Sviluppo Manageriale e Scuola dei Capi, Gruppo Intesa Sanpaolo, fa del grande gruppo bancario italiano. Ma è anche la rappresentazione perfetta – quasi la parabola – del leader di oggi e di domani. Che si parli di una persona o di una grande realtà aziendale, è proprio su questa capacità di tenere insieme le istanze del presente e le sfide del futuro che si gioca la leadership autentica.

È stato questo il tema portante dell’incontro con Dorrucci che si è tenuto in SDA Bocconi nell’ambito delle HR series di EMF - Executive Master in Finance. Un’occasione per tratteggiare le principali linee di evoluzione del mercato bancario italiano e internazionale e per capire, più in generale, come si può agire con successo in un mondo che sta cambiando vorticosamente. Tali linee evolutive sono tra l’altro quelle che hanno ispirato la progettazione del nuovo track in “Banking Trasformation” di EMF il cui obiettivo è la presentazione delle conoscenze più progredite e trasversali del banking, necessarie per trasfomare le nuove sfide in grandi opportunità.

Nessuna grande azienda può sopravvivere, oggi, se rimane circoscritta a un solo business e a un solo contesto geografico. Tanto più nel settore bancario, ha ricordato Dorrucci. Le condizioni ambientali, in una lunga stagione di tassi negativi, non sono favorevoli e la redditività del settore si è drasticamente ridotta nell’ultimo decennio. «La banca che dice “resistiamo perché le condizioni torneranno favorevoli e noi riprenderemo quota” – ha ammonito l’HR di Intesa Sanpaolo – non è la banca leader di domani». La situazione potrà migliorare, ma nulla tornerà più come prima. La banca dovrà muoversi in un mondo diverso, fatto non solo di nuovi competitor ma anche di nuovi modelli di credito (si pensi al crowdfunding). Attendere tempi migliori o regole protezionistiche che salvino il mercato è una strategia destinata a fallire. La restaurazione non paga, conclude Dorrucci, perché «dopo il Congresso di Vienna arriva sempre il ’48».

E in questo settore il ’48 è cominciato da un pezzo. Non ha più molto senso per la banca parlare di core business: il credito retail sta diventando una commodity al pari di altri servizi come le tariffe telefoniche ed è impensabile fondare una strategia di crescita sulla sua redditività o sull’aumento dei volumi. Oggi la parola d’ordine per le banche è «servizi». Se si mette il cliente al centro si capisce che le sue esigenze sono molto più ampie del solo conto corrente o del mutuo. La casa, per esempio: prima di acquistarla occorre trovarla e poi magari proteggerla. E la banca può farsi carico di tutti questi bisogni spaziando dai servizi di real estate alle assicurazioni. Oppure si pensi alle esigenze di protezione di una popolazione che invecchia con un welfare sempre più in crisi. Richieste complesse a cui si può rispondere con strategie di bundling, con pacchetti di servizi completi. Richieste che aumentano esponenzialmente se si considera anche il mercato corporate e la platea internazionale aperta dalle tecnologie digitali.

Un cambio di prospettiva

Stiamo parlando quindi di uno sguardo orizzontale sul cliente, che contempla trasversalmente tutti i suoi bisogni. Ma come si può sviluppare questo nuovo punto di vista in un settore tradizionalmente organizzato a comparti verticali e specialistici? Come si avvia un cambiamento di mentalità così radicale in un mondo “conservatore” come quello bancario, dove la prioritaria esigenza di affidabilità ha spesso sacrificato sul nascere ogni sperimentazione? Con la fantasia, potremmo dire. «In Intesa Sanpaolo – racconta Dorrucci – è stata creata la factory, un nuovo modo di lavorare basato sulla collaborazione orizzontale. Come funziona? Persone provenienti da mondi specialistici diversi si siedono allo stesso tavolo con un obiettivo concreto e condiviso. Una tavola rotonda: tutti uguali ma tutti con provenienze e competenze eterogenee e sguardi diversi sulla stessa questione operativa. Un gruppo piccolo e agile (8-10 persone) e fully empowered: quello che viene deciso al tavolo non dev’essere convalidato altrove, la delega operativa è totale. Tempi decisionali rapidi per giungere a risultati pratici anche non definitivi (proxy), da verificare immediatamente (sprint) e rifinire con correzioni successive. Si lavora come lo scultore: estraendo la forma definitiva dal blocco di marmo con sgrossature ripetute». Un esperimento che ricorda la «Fantasy Factory» di Andy Warhol, fucina negli anni ’70 di grandi talenti artistici. E che ha funzionato anche in banca: le factory si sono moltiplicate per gemmazione, le persone hanno ritrovato motivazioni che credevano perdute, l’azienda sta affrontando la sfida del cambiamento in modo sempre più efficace e creativo.

È una rivoluzione copernicana nel mindset e nell’organizzazione aziendale. E richiede nuovi leader capaci di gestire il cambiamento, di ispirare le persone spingendole a superare la resistenza al nuovo, a sfidare l’incertezza di un risultato sperimentale fidandosi della competenza condivisa. Manager che sappiano «to connect the dots»: qualcosa che va oltre la mentalità sistemica perché significa creare una rete di competenze e di soluzioni ancora prima che si consolidi la struttura per sorreggerla. Il leader di domani sa vivere la factory, la trasversalità organizzativa, senza perdere di vista la legacy, la competenza specialistica. Ma soprattutto dovrà aggiungere alle capacità consolidate nuovi skill set: dovrà sviluppare acume sociale e politico (coraggio visionario, pensiero connettivo, sense making), avere prospettive di rete (cura delle connessioni, sinergia ed empatia), estendersi sui confini del suo ruolo (pensiero globale, negoziazione) e saper agire sul lavoro (agilità mentale, pensiero che si trasforma in rapida azione sperimentale). E, non ultimo, dovrà nutrirsi di formazione, perché il cambiamento non si ferma ed è molto meglio guidarlo che inseguirlo.

SDA Bocconi School of Management

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