#ValorePubblico

Musica e management: un binomio possibile?

Martedì 4 aprile si è tenuto presso SDA Bocconi un workshop per i presidenti, direttori e responsabili amministrativi dei Conservatori, sotto la guida di Andrea Rurale, direttore del Master of Art Management & Administration di SDA Bocconi, alla presenza della Sen. Alessandra Gallone, Consigliera Delegata del Ministero dell’Università e della Ricerca, e con gli interventi di Michele Covolan, Raffaello Vignali e Roberto Antonello e dei colleghi Monica Otto, Alex Turrini, Piergiacomo Mion Dalle Carbonare, Marco Luchetti e il mio.

Lo spunto per questo seminario viene dal momento: i conservatori stanno attraversando una fase di profonda trasformazione, anche a seguito del processo di ‘statizzazione’, ovvero della conversione in strutture pubbliche, ministeriali, equiparate all’istruzione terziaria, con la conseguente necessità di fare transitare anche il personale sotto la nuova forma giuridica.

Ma poi, non è un ossimoro ragionare di cambiamento, a proposito dei conservatori? Da questo scambio di battute, prima che i lavori della mattina comincino, Raffaello Vignali, Presidente del Conservatorio di Milano e della Conferenza dei Presidenti, racconta ad Alex Turrini e a me la storia di queste istituzioni.

Conservatorio era sinonimo di orfanotrofio, asilo: un luogo dove ad essere ‘conservati’, accolti ed educati erano i bambini orfani o figli della miseria.

Fu in questi luoghi che si cominciò ad introdurre, insieme alla scrittura e ad alcuni mestieri artigiani, l’istruzione della musica che – ricorda sempre Vignali – è stata a lungo considerata una scienza più simile alla matematica, che alle arti. Per alcuni di quei bambini, l’incontro con la musica era anche l’occasione unica di scoprire il proprio talento e di costruirsi un futuro migliore. Cosa resta di questa missione pubblica oggi?

 

Molto, a ben guardare. Oggi ai conservatori resta il compito di istruire alla musica le nuove generazioni, ma sempre più sono chiamati ad aprirsi alle città e al territorio, come soggetto di promozione culturale, artistica ed anche di inclusione sociale, riscoprendo la missione originaria.

Anche per i conservatori, come per le altre istituzioni culturali (e non solo), la sfida è quella di non perdere la propria missione, che ha una connotazione artistica e, allo stesso tempo, pubblica, assicurando la sostenibilità economica e il rispetto dei vincoli amministrativi, frutto anche del processo di statizzazione.

Una missione impossibile? No, una tipica missione di management pubblico!

 

Tre le domande chiave emerse alla fine della mattina di lavoro.

 

  1. Per chi è questo conservatorio?

Essere un soggetto vocato all’istruzione terziaria non solo è conciliabile, ma è anche complementare con la missione artistica e culturale dei conservatori, che sempre più investono nella produzione e nella proposta di stagioni degne di un teatro. Eppure, contemperare l’esigenza di lavorare per gli studenti ed anche per il pubblico resta una sfida strategica da non sottovalutare.

 

  1. Cosa fa ci fa dire che questo conservatorio è un buon conservatorio?

Il processo di statizzazione e, più in generale, di istituzionalizzazione, porta con sé la necessità di sofisticare gli strumenti di gestione. Legata alla dinamica dei finanziamenti pubblici e di fundraising, ma non solo, l’esigenza di rendere misurabile il valore immateriale generato dal proprio conservatorio si fa sempre più pressante. E per alcuni è percepita come un mero onere burocratico, se non come una minaccia alla propria libertà educativa ed artistica. Eppure, l’esigenza di condividere alcuni parametri che ci consentano di dire se siamo (o no) sulla strada giusta, resta alla base di qualunque processo di gestione. Anche nel settore dell’arte e dell’istruzione.

 

  1. Come fare dialogare meglio musicisti ed amministrativi?

No, non è come in Ragione e sentimento. Se un problema di dialogo c’è, questo è tipico di tutte le burocrazie professionali, ovvero organizzazioni dove il cuore operativo è costituito dalla comunità dei professionisti – in questo caso i professori di musica – che condividono un’identità forte distintiva ed una concezione della propria professione che trascende il confine amministrativo della propria organizzazione, come i medici negli ospedali, i giudici nei tribunali, gli insegnanti nelle scuole. Che i professionisti fatichino a capirsi con gli amministrativi è un classico del management. Per questo l’adozione di modelli organizzativi e pratiche gestionali coerenti con questo modello può favorire una più proficua collaborazione.

 

Non ci resta che augurarci di poterci rivedere presto per rispondere insieme a queste – e tante altre – domande emerse in questo incontro!

 

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