
- Data inizio
- Durata
- Formato
- Lingua
- 21 mag 2025
- 17 giorni
- Blended
- Italiano
Fornisce le conoscenze e gli strumenti fondamentali per un effettivo esercizio della funzione di direzione della PA.
Recentemente sono stata invitata a tenere un seminario per gli studenti EMBA, il nostro Executive MBA che si svolge in due diversi formati, a Milano e a Roma, sulle prospettive di carriera nel pubblico per chi viene dal privato. Il tema ha ricevuto, con un po’ di mia sorpresa, un grande interesse. Quindi, riporto qui la sintesi delle principali domande e risposte, per allargare il dibattito e proporre qualche riflessione.
La PA ha due tipologie di dirigenti: di ruolo (la maggioranza) e a contratto. I primi hanno passato un concorso che li consacra dirigenti per il resto della loro vita, per quanto con la possibilità di ricoprire incarichi anche molto diversi tra loro e di spostarsi in altre amministrazioni. Per questa ragione hanno sovente un profilo da generalista e arrivano in larga parte dall’interno della pubblica amministrazione (anche se non dallo stesso ente). I secondi, invece, hanno passato una selezione più agile (CV e colloquio) per ricoprire a tempo determinato una specifica posizione. In genere hanno un profilo più specializzato e l’introduzione stessa di questa tipologia di contratti fu pensata per attrarre competenze specialistiche meno diffuse nel pubblico: in passato accadde con i controller o con gli esperti di marketing territoriale; oggi con gli esperti di cyber security o digital transformation. Oltre ai “nuovi lavori”, sovente si cercano nel mercato esterno manager in grado di portare viste, esperienze e competenze nuove per accompagnare i momenti di cambiamento e trasformazione, anche nelle classiche funzioni aziendali interne. Nella pratica, non sempre la quota dei dirigenti a contratto è stata usata per reclutare nel mercato esterno, per ragioni da ricondurre prevalentemente alle storture dell’accesso alla dirigenza di ruolo (ma questa è un’altra storia). Resta che gli spazi non mancano, soprattutto ora all’interno delle unità impegnate nei progetti PNRR che si stanno costituendo in questi mesi.
Questa domanda a me suona un po’ come: è vero che in Italia i treni sono sempre in ritardo? Lo pensa solo chi non prende mai un treno. Esistono dei ruoli di diretta collaborazione con la politica che sono legittimamente ruoli fiduciari. Ma non sono manageriali. La politica ha la facoltà di confermare o no il vertice dell’amministrazione in cui arriva (e, quindi, non tutti i livelli dirigenziali), anche se ha dei vincoli in termini di tempi in cui esercitare questa prerogativa e di bacino entro cui attingere per selezionare il/la nuovo/a incaricato/a. Non mi viene in mente nessuna democrazia liberale in cui non esistano forme simili (qui una super sintesi del dibattito su spoils e merit system). Ma è diverso dal pensare che entrino a lavorare nel pubblico solo i raccomandati o solo quelli che, come unico asso nella manica, sfoderano la loro affiliazione con una parte politica. Che ci siano realtà e latitudini in cui questa promiscuità è più frequente non significa che non esistono realtà e contesti in cui le competenze sono cercate e riconosciute. Piuttosto, poiché si tratta di un mercato molto frammentato per settori ed ambiti di specializzazione e che fatica a costituirsi su scala nazionale, l’incontro tra domanda e offerta è ancora molto poco fluido e in passato si è retto più sul passa parola interno alle reti professionali. Oggi, strumenti come le piattaforme social (penso a LinkedIn) possono fare molto in tal senso. Lo sviluppo di InPA può dare un grande contributo in questa direzione. E’ forse una delle più promettenti milestone nel processo di riforma in corso.
Così come non è facile dire quanto guadagna un dirigente privato (per che ruolo? in che industry? con che seniority?) lo stesso vale per il pubblico. Ci sono differenze anche molto significative tra dirigenza degli enti locali e delle amministrazioni centrali, specialmente agenzie fiscali ed enti previdenziali, tradizionalmente più ‘ricchi’ degli altri. Ad ogni modo, la RAL di ingresso di un dirigente pubblico si aggira tra i 75 e i 95 mila euro, non molto distante da alcuni settori del privato. La più grande differenza sul quantum è più per i ruoli di vertice: nel pubblico, infatti, esiste un tetto massimo di 240 mila euro (limite recentemente reso meno rigido, in quanto passibile di adeguamenti alle dinamiche contrattuali) che prescinde dal grado di responsabilità e di rischio anche individuale esercitati. Il dibattito sulla fondatezza o meno di questo tetto (e sulle conseguenze in termini di mercato delle competenze) è aperto. La mia impressione è che non sia su questo che si gioca per un manager del privato la scelta di portare le proprie competenze nel pubblico. Né mi pare di assistere ad un’inarrestabile emorragia di top manager del pubblico verso un privato che li paga molto meglio. Per queste ragioni, il tema del tetto mi ha sempre poco appassionata.
Più del quantum, quello che spaventa i giovani talenti nella scelta del settore pubblico sono le prospettive di carriera, cui spesso sento dire: è vero che al primo impiego posso guadagnare anche molto bene, è vero che basta passare un corso-concorso per essere direttamente dirigente, ma poi, che ne è di me? L’incertezza e lo scarso dinamismo dei percorsi di carriera è un tema al cuore del programma di riforma del capitale umano nella PA targato PNRR. E alcune delle prime misure riguardano proprio la liberalizzazione del mercato della dirigenza interno alla PA, per favorire percorsi di carriera non solo verticali interni al singolo ente, ma orizzontali tra enti diversi.
Questa è forse la domanda più delicata. È vero che soprattutto la sfida del PNRR sta mostrando in tanta parte delle nostre amministrazioni pubbliche un certo deficit manageriale di base: penso alla scarsa diffusione di logiche e strumenti di program e project management, ma anche di operations management. Sovente mi è capitato di pensare che le lungaggini di alcuni appalti pubblici o procedure concorsuali siano ascrivili non già a vincoli normativi, ma a forme di analfabetismo gestionale ed organizzativo. Allo stesso tempo, il management pubblico non è solo questo. Chi pensa di arrivare per liberare la PA dai lacci e lacciuoli rischia di sbagliare a prendere la mira. Il funzionamento di queste complesse organizzazioni risponde a logiche compresenti, non di rado in contraddizione tra loro, ma ineliminabili perché connaturate all’esistenza stessa di un’amministrazione pubblica: la logica della legittimità formale non può essere contrapposta a quella dell’efficacia ed economicità, ma integrata. Quindi, il mio unico vero consiglio per chi arriva dal privato e plana nel pubblico è di sforzarsi di comprenderne i vincoli e di imparare a riconoscerne le risorse. È più capace di agire un cambiamento duraturo chi con umiltà di sforza di capire, invece di chi si limita a giudicare.