Gli anni dell’austerità che sono seguiti alla grave crisi finanziaria globale del 2008, nel nostro paese si sono tinti di tratti più foschi che altrove: il taglio alla spesa qualche volta ha portato anche maggiore efficienza, più sovente si è prodotto in una sostanziale riduzione del perimetro dell’intervento pubblico in ogni ambito dell’azione pubblica. A partire dalla riduzione del numero degli addetti, come già raccontato qualche anno fa qui.
Il fenomeno ha riguardato anche la dirigenza pubblica e negli enti ce ne siamo accorti perché l’età media è aumentata, rovesciando completamente la piramide anagrafica: i pochi innesti di giovani manager pubblici arrivano dentro strutture dove la classe dirigente è in larga misura a fine carriera, affatica e disillusa.
Negli enti locali la classe dirigente si è assottigliata (al punto da sparire, soprattutto nei comuni sotto i 30.000 abitanti): i comuni hanno fronteggiato la contrazione della spesa riducendo le posizioni dirigenziali, a vantaggio di una accresciuta responsabilità amministrativa sulle PO (oggi EQ), soggette ad una disciplina di incarichi a tempo.
Ma oltre ad un impatto sul numero delle teste, l’austerità ha dominato la cultura manageriale pubblica: il grande tema di questi anni è stato quello di “limare”, “contenere”, “ridimensionare”. Da un lato sono stati gli anni di sperimentazioni generative: le innovazioni sociali in collaborazione col terzo settore, lo sviluppo di nuove configurazioni finanziarie in partnership col privato, sono iniziative sorte per fare fronte ad una crisi di finanza pubblica che non lasciava scampo.
Dall’altro, a forza di tenere lo sguardo su come fronteggiare il quotidiano, cercando di tirare una coperta sempre troppo corta (e via via sempre più lisa), abbiamo disimparato a pensare a come investire sul futuro.
Ma a una fase di austerità severa, ne è seguita una di espansione senza precedenti della spesa per le assunzioni e gli investimenti, con l’avvento del PNRR. E questo cambio improvviso di direzione ci ha trovati impreparati. Quando ci hanno dato in mano 200 miliardi di spesa abbiamo avuto – come classe dirigente tutta: politica, amministrativa, intellettuale – un misto di vertigine, smarrimento e bulimia. Oltre a tante opere necessarie e trasformative, abbiamo anche aperto cantieri senza progetto, come asili nido, case della salute o musei, senza sapere se e come potremo assumere educatori, infermieri o curatori per farli funzionare. Anche perché è già chiara l’inversione della congiuntura economica e il ritorno di politiche di contrazione della spesa…