#ValorePubblico

Imparare la public governance dal sistema delle conferenze

Durante il modulo di Public Governance della 15esima edizione del master EMMAP che si è tenuto la scorsa settimana nel campus di Roma abbiamo avuto il piacere di ospitare per una testimonianza sul tema della governance multilivello l’Avv. Alessia Grillo, Segretario Generale della Conferenza delle Regioni e delle Provincie Autonome. Un momento caldo per parlare di regioni, a ridosso del cambio al vertice di Emilia Romagna ed Umbria e con l’annuncio di una sentenza sull’autonomia differenziata, che richiederà qualche intervento sulla norma.

Intanto una piccola premessa. Di cosa parliamo quando parliamo di Public Governance?

Che cosa si impara in un master in management a tal proposito?

Si impara che l’esercizio della funzione pubblica, piaccia o no, non passa più dalla buona amministrazione di risorse entro i confini formali delle proprie prerogative di governo, ma richiede di costruire convergenza tra attori che sono interni o esterni al perimetro pubblico. In alcuni casi esistono percorsi amministrativi che supportano il coordinamento inter-istituzionale e il partenariato con soggetti esterni. In altri, invece, mancano. E il lavoro di ricomposizione richiede una componente di informalità che può essere una minaccia alla trasparenza ed accountability dei processi, ma che forse è una parte incomprimibile del lavoro pubblico.

 

Il modulo sulla Public Governance è, prima di tutto, un’occasione per riflettere non sulle cose come dovrebbero essere idealmente (ma non solo). Quanto, piuttosto, su come le cose funzionano nella realtà e su come i manager possano collocarsi in modo più efficace e orientato al valore e ai valori pubblici.

Perché una sessione sulla governance multilivello?

La governance multilivello indica un sistema di gestione e decision-making in cui il potere è distribuito tra diversi livelli di governo: locale, regionale, nazionale e sovranazionale. Non si basa su una rigida gerarchia, ma su un approccio collaborativo, in cui le competenze si sovrappongono e le decisioni si costruiscono attraverso il dialogo e la negoziazione. Pertanto, le decisioni pubbliche sorgono e producono i loro effetti lungo la linea verticale del sistema istituzionale, grazie alla capacità di costruire progressive convergenze. Ma, per farlo, occorre un solido coordinamento orizzontale.

Il ruolo della Conferenza: parlare con una voce sola

Un esempio concreto di governance multilivello è rappresentato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome in Italia. Questo organismo funge da punto di raccordo tra il livello regionale e quello nazionale, permettendo alle Regioni di coordinarsi, confrontarsi e influenzare l’azione legislativa e amministrativa statale. “Quello italiano è un modello di governance multilivello esemplare, in quanto non c’è ambito – se non forse la difesa – che non sia soggetto a un qualche raccordo tra livello centrale e regionale”, spiega Grillo.

 

L’elemento di valore di uno strumento come quello della Conferenza è consentire alle Regioni di negoziare in una posizione di maggiore forza, perché unitaria, col livello centrale. “Sin dalla nascita delle Regioni si è presto capito che si rischiava molto a muoversi in ordine sparso. D’altra parte, gli interessi spesso possono essere diversi e i punti di partenza distanti. Per questo non c’è punto di sintesi, senza un margine di ribasso delle proprie richieste”.

 

Quanto funziona lo strumento della Conferenza?

 

 “Che funziona lo dicono i numeri: tra il 1997 e il 2023, il numero di intese (l’atto più vincolante emanato dalla conferenza) è aumentato da 17 a 163, a riprova del fatto che nel tempo lo spazio di manovra della Conferenza è aumentato”. Eppure, durante il Covid dalla stampa sembrava emergere che le regioni fossero il problema, come se con maggiore centralizzazione sarebbe stato tutto più facile. “È stata una narrazione inesatta, smentita dalla pratica e dai fatti: non c’è stato DPCM che non sia stato negoziato fino all’ultimo con le regioni (e talvolta si è anche visto che si è negoziato davvero fino all’ultimo minuto). E delle oltre 700 ordinanze di protezione civile emanate a livello regionale, solo 2 sono state impugnate dal governo, a riprova del sostanziale allineamento dei due livelli.”

Come si fa a produrre convergenze, laddove le spaccature non sono solo territoriali (nord vs. sud, regioni grandi vs piccole) ma anche politiche (regioni di destra vs. di sinistra)?

“Si lavora sui denominatori comuni, consapevoli che si lavora per le regioni e che la non convergenza è sempre peggio e più dannosa per il sistema regionale di una convergenza sub-ottimale. Certo, ci si arriva poco a poco. Fondamentali sono i lavori delle 17 commissioni tematiche, dove sono presenti i diversi assessori”. Dalla descrizione di Grillo, un ruolo cruciale è proprio quello degli sherpa della negoziazione: i tecnici che istruiscono gli incontri politici delle commissioni devono arrivare sostanzialmente all’accordo e lasciare alla politica di suggellarlo. Questo lavoro certosino ha un grande vantaggio: le direzioni regionali in giro per il paese hanno progressivamente sviluppato una classe dirigente di persone consapevoli di questa funzione e ormai allenate alla negoziazione. Si è di fatto costruita una rete di tecnici che si conosce, ha imparato nel tempo a fidarsi e a collaborare, nel rispetto delle differenze. Questo è un capitale istituzionale intangibile che genera un grande valore per il funzionamento del sistema. “Quando salta il banco tecnico e si fa salire al livello politico la negoziazione di aspetti puntuali è un problema. È un fallimento negoziale”.

 

Quindi c’è poco spazio per la politica in conferenza?

 

“Al contrario, la politica e le sue prerogative devono essere rispettate e abbiamo alcune regole a tutela di questo principio. La prima è massima trasparenza verso tutti i presidenti, che sono costantemente aggiornati anche in modo dettagliato dello stato delle discussioni nelle diverse commissioni tematiche, per consentire loro di avere massima visibilità sull’intero processo non solo dal loro interno, ma anche dal segretariato. La seconda è l’unanimità: un accordo con qualcuno che ne esce sconfitto creerebbe una frattura contraria ad ogni principio di coesione. Abbiamo bisogno che tutti i presidenti possano difendere pubblicamente le decisioni prese nell’interesse delle regioni. Per raggiungere questi risultati talvolta toccano negoziati estenuanti, oppure occorre ridurre la portata dell’accordo, ma alla fine quanto negoziato diventa la piattaforma di tutte le regioni. L’esperienza e anche gli studi sul tema ci dicono che quando la politica non è a bordo su una decisione, quella decisione dura poco. Ma portare a bordo la politica non vuol dire né tirarla per la giacchetta, né mandarla allo sbaraglio su partite di grande complessità tecnica.”

Quali competenze servono per supportare un processo decisionale di tale complessità?

“I rappresentanti delle regioni, politici e tecnici, devono sapere che hanno a che fare con una figura affidabile. E l’affidabilità è data da un mix di elementi, come la trasparenza, la leale collaborazione e la solidità tecnica. Aiuta anche avere una storia di efficace collaborazione con parti politiche diverse: meno si è etichettabili come più o meno vicini a una parte o un’altra, più ci si può muovere con la necessaria franchezza. Infine, cruciale la capacità di mediazione, che dipende dall’orientamento all’ascolto, alla negoziazione, ma anche da una buona dose di flessibilità e infinita scorta di pazienza”.

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