Sotto la lente

Sanremo è Sanremo anche senza la RAI?

Finita una gara, a Sanremo se ne potrebbe aprire subito un’altra. A quella tra le canzoni potrebbe seguirne una tra operatori economici per aggiudicarsi lo sfruttamento del marchio e l’organizzazione del “Festival della canzone italiana.”

 

Il 5 dicembre 2024 una sentenza del TAR della Liguria ha stabilito che, dal 2026, la concessione del marchio da parte del Comune di Sanremo e l’organizzazione dell’evento non potranno seguire la via dell’affidamento diretto (come successo finora), ma dovranno essere aggiudicati attraverso una gara pubblica. La RAI dovrebbe, cioè, competere con altri operatori per organizzare e trasmettere il Festival.

 

Se così fosse, sarebbe un passo avanti per la cultura della concorrenza delle amministrazioni pubbliche italiane, che in molti casi faticano ancora a dotarsi delle competenze necessarie per analizzare i mercati e favorire la concorrenza, qualora possibile, quale stimolo a innovazione e valore.

 

L’Unione europea ci spinge con decisione sulla strada della concorrenza fino farne un principio pervasivo (anche se, come questo caso dimostra, dai confini non sempre facilmente tracciabili). I risultati, si sa, sono altalenanti. Talora, la strada del rinnovo delle concessioni in essere sembra la più facile da percorrere. Il caso delle concessioni balneari è probabilmente quello più lampante. La legge sulla concorrenza del 2024, d’altra parte, ha imposto un utilizzo più diffuso delle gare per le concessioni autostradali. In settori come la formazione del personale delle amministrazioni pubbliche, invece, permangono situazioni di esclusiva difficilmente giustificabili.

 

Quando c’è contendibilità di mercato, cioè quando non esiste un solo operatore in grado di fornire un servizio all’amministrazione pubblica, quella della gara dovrebbe essere – ci dice l’Europa – la via maestra. Ma per stabilire la contendibilità è necessaria un’analisi di mercato, per la quale le amministrazioni non sempre sono attrezzate. Servono un approccio strategico di apertura al mercato, competenze, tempo. Servono, insomma, delle PA più sofisticate. Il risultato, però, è quasi sempre la creazione di valore pubblico, ovvero di benefici per gli enti, per il sistema e per i cittadini. Con una gara pubblica adeguata, si può ottenere un prezzo più alto per il concedente pubblico e/o condizioni migliori per gli utenti. Ma soprattutto, la concorrenza stimola l’innovazione e, quindi, la crescita.

 

La sentenza, facendo riferimento al concetto di opportunità di guadagno economico da parte del concessionario, sostiene che tale opportunità vada messa a gara. In caso di gara, il livello tecnico e organizzativo del Festival potrebbe migliorare e/o il Comune potrebbe trarne un vantaggio economico maggiore, da investire per i cittadini.

 

La RAI ha annunciato di avere impugnato la sentenza del TAR di fronte al Consiglio di Stato. Se i tempi saranno quelli di provvedimenti analoghi, la decisione del Consiglio di Stato potrà arrivare tra circa un anno. Ancora prima, nel giro di un mese o due, se, almeno a un primo esame, il ricorso verrà ritenuto fondato, il Consiglio di Stato potrebbe emettere un’ordinanza cautelare che sospenda temporaneamente gli effetti della sentenza del TAR per non creare pregiudizio irreparabile alle parti. Comunque finisca l’appello, dunque, è probabile che il Festival del 2026 sarà simile a quello appena concluso.

 

Oltre che di concorrenza, la sentenza del TAR si occupa di proprietà intellettuale. L’argomento sostenuto dalla RAI, ma rigettato dal TAR, è che il marchio “Festival della canzone italiana,” di proprietà del Comune di Sanremo, sia indissolubilmente legato al format del Festival, di proprietà dell’emittente di Stato. E un format, se ha elementi di originalità, è tutelabile come opera dell’ingegno. In questo caso, per affidare il marchio, servirebbe il consenso congiunto del Comune e della RAI.

 

La casa di produzione musicale e organizzazione di eventi che ha promosso il ricorso, la Just Entertainment, ha invece espresso interesse per l’acquisizione del solo marchio, da potersi eventualmente utilizzare anche con un format diverso.

 

La sentenza, infine, non si occupa direttamente dei diritti di diffusione televisiva, la cui cessione rimarrebbe in capo all’organizzatore del Festival. Se il Consiglio di Stato dovesse confermare il giudizio del TAR, il Comune potrebbe però provare a inserire nel bando di gara una clausola che garantisca una diffusione nazionale del Festival nazionalpopolare per eccellenza, sulla RAI o su qualsiasi altro canale gestito dalla concorrenza.

 

(Articolo della redazione di SDA Bocconi Insight basato su interviste alle due professoresse)

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