Sotto la lente

Unicredit-Commerzbank, un matrimonio che farebbe bene all’Europa

Unicredit è diventato un attore europeo nel 2005, acquisendo una banca tedesca, Hypovereinsbank (HVB), con importanti consociate in Austria e nell’Europa dell’Est.

 

Quando le intenzioni di Unicredit furono chiare, un portavoce del Ministero delle Finanze tedesco dichiarò che “la prospettiva di un consolidamento del settore bancario è benvenuta. In linea di principio posso dire che certamente non è negativo per il consolidamento del settore bancario europeo se ci sono fusioni cross border e movimenti di consolidamento corrispondenti sui mercati domestici.”

 

La banca italiana dimostrò di non avere intenti predatori, l’operazione si realizzò e fino al 2010 il Presidente del gruppo Unicredit fu un tedesco, Dieter Rampl.

 

Ora che Unicredit ha portato la sua partecipazione in Commerzbank al 21% e sta cercando le autorizzazioni per salire al 29,9%, appena al di sotto della soglia che farebbe scattare l’OPA, l’amministratore delegato, Andrea Orcel, ha dichiarato che l’acquisizione di HVB potrebbe essere il modello per l’operazione Commerzbank. Questa volta, però, i presupposti sembrano diversi. Il cancelliere, Olaf Scholz, ha messo in guardia contro “scalate” ostili e Stefan Wittmann, che siede nel consiglio di sorveglianza della banca tedesca in rappresentanza dei lavoratori, ha paventato una riduzione di due terzi del personale.

 

La fusione Unicredit-Commerzbank, tuttavia, è di grande importanza per tutta l’Unione europea. Molto di più rispetto a quella del 2005. Ne risulterebbe infatti un operatore non più solo europeo, ma compiutamente paneuropeo, che avvicinerebbe il sistema – per così dire, dal basso – a quell’ideale di mercato unico bancario e del capitale che la politica stenta a finalizzare. L’operatore avrebbe le sue radici tanto in Italia, quanto in Germania. Di fronte a questa prospettiva, le resistenze tedesche dovrebbero cadere e le dichiarazioni recenti potrebbero essere interpretate come una presa di posizione negoziale.

 

Le esitazioni sono riconducibili a due motivazioni, una delle quali confutabile e l’altra superabile attraverso le trattative.

 

La prima paura è dovuta al fatto che Unicredit ha in pancia una grande quantità di debito pubblico italiano (la stima è di circa 40 miliardi di euro) e che, perciò, i risparmiatori tedeschi finirebbero per addossarsi il rischio paese Italia. Questo appare un pregiudizio per così dire atavico presente nel dibattito in Germania, contraria ad ogni eccesso di debito. Ma suona come un pregiudizio ingiustificato. Unicredit è una banca straordinariamente solida, con un management di standing assoluto e con un patrimonio di vigilanza tra i più alti in Europa, inserita in un contesto di vigilanza e regolamentazione europea improntata alla stabilità. L’immagine di Unicredit che possa diventare insolvente o che i titoli di Stato italiano possano non essere pagati e che i depositanti tedeschi “paghino” a loro volta il debito pubblico italiano che Unicredit ha nel suo bilancio è fuori contesto e, per così dire, poco rispettosa o figlia di una narrativa sbrigativa (populista?).

 

Sicuramente l’Italia ha il dovere di governare il proprio debito pubblico, soprattutto per non spendere in interessi quello che potrebbe essere speso in istruzione, sanità e ambiente, ma non va confuso con un tema di insolvenza di una banca.

 

La seconda paura è relativa al rischio di trasferimento del know-how di Commerzbank dalla Germania all’Italia. È un timore simile a quello della perdita di posti di lavoro, ma non trova conferma nel comportamento di Unicredit in Germania in quasi vent’anni di presenza sul territorio.

 

È chiaro che, se l’operazione dovesse andare a buon fine, qualcosa cambierebbe, a partire dalla governance di Commerzbank e di Unicredit. Il baricentro del gruppo italiano si sposterà ancora di più verso la Germania, ma il resto dipenderà soprattutto dalla trattativa tra le parti e dalla capacità di creare qualcosa di nuovo. Di profondamente europeo. L’apertura negoziale di Scholz e dei sindacati è piuttosto dura, ma potrebbe davvero essere un’apertura, un preludio a trattative complesse, ma che hanno una probabilità di concludersi positivamente. Per le due banche, ma soprattutto per l’Europa. Ragionando in positivo, con questa operazione l’Europa iniziamo a farla sul serio. Per cui, dubbi, paure e resistenze, emergono tutte.

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