Mio padre ha finito la prima elementare nel 1949. Non a giugno, ma prima della fine di maggio. Anche se aveva solo 7 anni, era l'unico figlio maschio e toccava anche a lui dare una mano con la mietitura. Tutta la famiglia lasciava il paese, si trasferiva in campagna e si lavorava senza sosta dall'alba al tramonto. E come lui, la maggior parte dei bambini del paese, tranne i pochi figli di una piccola borghesia di commercianti e professionisti, che – accuditi da madri casalinghe – si godevano il bel tempo e quel poco di benessere in più.
Quella scuola, che rispettava i tempi del raccolto, era inclusiva, per davvero. Perché ha permesso a mio padre e tanti altri figli di contadini di non essere tagliati fuori per via della loro estrazione sociale. Perché i figli allora si facevano anche per quello. Per mietere il grano. E così, fino alla fine della ragioneria (che mio padre fece in 6 anni, invece che in 5, perché "andare bene a scuola" è un valore relativo quando in famiglia sei l’unico che ci è andato) a metà maggio mollava i libri, si trasferiva in campagna e si univa alle attività familiari. In paese – e quindi a scuola – si tornava a ottobre, quando il grosso della vendemmia era ormai compiuto e le mandorle raccolte. Per questo, prima della riforma del ’77, i bambini che cominciavano la prima elementare erano chiamati ‘remigini’, perché la scuola apriva nel giorno di San Remigio, il 1° ottobre.
Poi c'è stato l'abbandono delle campagne, la migrazione verso le grandi città industriali del nord, eccetera eccetera. Ma la scuola è rimasta inchiodata lì o si è spostata di poco dai tempi della mietitura e della vendemmia.
Nel 2020 la scuola perde d’improvviso il ritmo della campagna per adattarsi a quello di un virus. Ma si adatta solo a metà. Chiude in inverno. Ma non riapre d’estate. Aspetta ancora una volta i tempi di mietitura e vendemmia, perché è a quelli che sono legati i contratti, le abitudini delle persone e i mille argomenti del ‘si è sempre fatto così’. Certo, ci saranno stati anche bambini e ragazzi più fortunati che si sono goduti il post lock-down al mare o in montagna. E magari coincidono con la minoranza di chi ha avuto pieno accesso a ogni sorta di dispositivo e banda larga per la DAD. E magari sono gli stessi che hanno beneficiato della presenza costante di un adulto in grado di accompagnare il processo di apprendimento con la DAD, arrivando dove maestri e professori non potevano più arrivare. Ma gli altri, la versione 2020 dei figli dei braccianti del dopoguerra, quei ragazzi non sono andati al mare. Hanno fatto fatica con la DAD, quando l’hanno fatta. Alcuni hanno lasciato. In sostanza, sono rimasti irrimediabilmente indietro.