Questo “sblocco-sì-ma” del turnover continua a riprodurre la stessa logica: sguardo fisso sulla spesa, nessuno vero strumento di governo su come queste risorse saranno utilizzate. D’altro canto, nessuna novità: chi ha mai letto i documenti di programmazione del personale (c.d. ‘Piano triennale dei fabbisogni’) degli enti locali, pur obbligatori per poter assumere? E’ sufficiente scriverne uno, far tornare i conti e inviarlo alla Ragioneria Generale dello Stato. Se poi dichiaro di voler assumere un monaco amanuense invece di un data analyst a nessuno importa e tutto è lecito. Tranne qualche progettualità lanciata in via sperimentale, che supporto è stato dato agli enti per imparare ad utilizzare l’opportunità di tornare ad assumere in modo da farne una leva di cambiamento organizzativo radicale, di innovazione nei servizi, di cambio culturale? La sfida delle nuove assunzioni non è solo quanto costeranno, o quanti posti in più saranno creati, ma soprattutto che valore saranno in grado di generare e per farlo occorre aiutare gli enti a prendere meglio la mira su quali sono le professionalità del futuro che servono nei nostri comuni, ad attrarre i giovani più talentuosi, a rinnovare le procedure concorsuali per smettere di selezionare solo i più studiosi, ma anche i più dinamici e motivati. Questi temi latitano nel dibattito politico e pubblico e continuiamo invece a tenere lo sguardo fisso sul costo finale. Salvo scoprire che la spesa pubblica non è mai troppo poca, quando non si capisce che valore genera.
PS: (segue a breve Parte II, col supporto di Gianmario Cinelli su come fare del Piano Triennale dei Fabbisogni una leva di sviluppo strategico)