- Data inizio
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- Lingua
- 20 Feb 2025
- 12 giorni
- Class
- Italiano
Fissare chiaramente i tuoi obiettivi e affrontare le problematiche specifiche delle PMI, per un migliore coordinamento della tua realtà imprenditoriale.
Carissimi imprenditori,
credo che chi tra voi ha dovuto fermare “la macchina”, ormai oltre un mese fa, senta sempre più forte la necessità di ripartire. Immagino, sapendo bene quali responsabilità vi portate sulle spalle, quali dubbi e quali preoccupazioni possiate avere in questo momento rispetto alla ripresa. Ho pensato perciò di proporvi oggi alcuni consigli per la riapertura mettendo nero su bianco le risposte che Paolo Preti, esperto di piccole imprese che più di trent’anni fa ha avviato questo filone di ricerca e di formazione in Bocconi, ha dato agli amici imprenditori del Gruppo Giovani di Confartigianato di Como, nostri allievi nel corso Confartigianato Academy della SDA. Sono repliche molto nette, nello stile di chi le ha formulate, che possono essere utili per “riaccendere i motori” e per dare indicazioni anche ai chi lavora con voi (familiari o collaboratori) che mai come in questa fase hanno bisogno di dritte chiare da parte di capitani coraggiosi.
Questa crisi è arrivata in modo improvviso e inaspettato e con queste caratteristiche si è abbattuta sulle piccole imprese. Ma quanto durerà?
Mi sento di dare una duplice risposta a questa domanda. Credo che, per un verso, la durata di questa crisi sarà relativamente breve mentre, da un altro punto di vista, ce la porteremo avanti per parecchio tempo. Nel giro di un mese, al massimo, l’attività economica potrà ripartire. Spererei anche prima, sto facendo una previsione pessimistica. Mentre le scuole e molte attività personali resteranno chiuse fino all’estate per evitare una seconda fase di contagi, s’intuisce che la maggior parte delle attività economiche potranno vedere abbastanza a breve una ripresa, immaginando che nel frattempo gli imprenditori abbiano messo a punto nuove modalità di lavoro per rispettare le necessità igienico-sanitarie. Per un altro verso invece credo che questa crisi durerà a lungo. Temo che questa pandemia stia portando e porterà un cambiamento radicale nel modo di svolgere le attività del vivere quotidiano. Ritengo che ci possa essere un ritorno a una normalità solo molto lentamente e che la normalità non sarà quella che abbiamo lasciato circa un mese e mezzo fa.
Come si comporteranno i nostri clienti e più in generale i consumatori? Assumeranno un atteggiamento difensivo e dunque spenderanno meno soldi oppure, dopo questa emergenza, vorranno recuperare e quindi saranno più disposti agli acquisti?
Rispondo identificando una mia speranza ma credo che possa trattarsi di un comportamento abbastanza vicino alla realtà di quello che succederà. Immagino sostanzialmente un orientamento nei consumi che potrà essere una via di mezzo rispetto ai due estremi da voi ipotizzati nella domanda. Ritengo che la gente potrebbe tornare a spendere più di prima o come prima ma per cose diverse dal passato. Credo che il concetto di benessere per i consumatori potrà parzialmente cambiare. Quello che prima era, in molti casi, solo il desiderio di una soddisfazione superficiale, legato all’acquisto di prodotti di scarso valore, è destinato probabilmente a diventare più essenziale. Uscendo di casa solo per necessità basilari e facendo la spesa solo poche volte alla settimana, abbiamo capito che tutto sommato si può vivere anche in modo più essenziale. Con riferimento proprio al comparto alimentare, magari si acquistano prodotti di maggior valore aggiunto, si tende a mangiare meglio, si spende un po’ di più ma si porta a casa meno e soprattutto si spreca meno. Non credo che il vero cambiamento sarà la quantità dei soldi spesi: ognuno tornerà a spendere quello che potrà come faceva prima, in funzione delle proprie entrate, ma penso che spenderà per cose diverse. Questo cambiamento nei consumi, indirettamente, può dare un’indicazione molto importante alle imprese: esse devono concentrarsi su aspetti più possibilmente essenziali, meno “usa e getta”, meno superficiali di prima.
Vorremmo a questo punto un suggerimento da parte sua Professore: quali strategie dovremmo mettere in atto noi piccoli imprenditori italiani per far fronte a questo cambiamento così rapido, inaspettato e imprevedibile?
Non posso che rispondere a questa terza domanda in coerenza con quanto vi ho appena detto. Parto da un esempio di strettissima attualità. Salvo alcuni casi che sembrano più eccezioni che tendenze, il virus ha colpito soprattutto persone anziane o persone affette da una o più patologie gravi. L’età media dei deceduti come si sa è in effetti molto alta e superiore agli ottant’anni. Nella vita di queste persone, purtroppo, il Coronavirus sembra essere stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Questo ci fa capire che quando non c’è nessun virus in giro tutti, per fortuna, riusciamo a condurre la nostra vita più o meno bene. Se invece, sfortunatamente, scoppia un’epidemia, i primi a patirne le conseguenze, anche in maniera molto grave, sono le persone anziane, che hanno delle debolezze strutturali o quelle con malattie già in corso. Che indicazione possiamo trarre da questa tragica evidenza, uscendo dall’esempio e tornando alle aziende? Le imprese che avranno maggiori possibilità di farcela alla ripresa delle attività saranno le imprese più forti. La strategia da seguire dovrebbe essere allora quella di stare nei mercati in cui si riesce a dare il proprio meglio. E’ chiaro che quando l’economia va bene, come nel parallelo fatto prima, c’è spazio per tutti. Ci sono opportunità anche per le imprese più deboli, per gli imprenditori che hanno risorse finanziarie da investire anche senza avere idee eccezionali o viceversa per chi ha buoni spunti ma non dispone di ingenti risorse economiche per realizzarli. Nel momento in cui l’economia va male, in cui la crisi colpisce duro, c’è spazio solo per i più forti e per i migliori. Il consiglio, facile da darsi ma difficile, molto più difficile per voi imprenditori da mettere in pratica, ma non per questo meno valido, è quello di collocarsi nei segmenti di ogni mercato più forti, nei settori con clienti che hanno capacità di spesa. Per fare un esempio possiamo riferirci al settore edile. E’ ovvio che in questo comparto è molto più facile operare nelle nuove costruzioni piuttosto che nelle ristrutturazioni dove occorrono competenze e abilità maggiori che non possono essere ottenute improvvisando. Ma la strada più facile, in questo come in molti altri mercati, non coincide necessariamente con il posizionamento più solido. Chi prima di questa crisi, con grande fatica e determinazione, si era specializzato nelle via difficile delle ristrutturazioni edili, costruendosi una ottima reputazione, potrebbe trovarsi domani in un mercato più facile.
Se capiamo bene il suo messaggio è quello di scegliere la via della specializzazione, della differenziazione qualitativa e di spronarci a fare sempre meglio quello che abbiamo sempre fatto.
Si, esatto. Quello che valeva prima dell’emergenza, a maggior ragione, è vero oggi quando le cose non funzionano. La strada facile è percorribile da tutti: tutti si buttano nel percorso più semplice. La concorrenza aumenta ma se tutto funziona regolarmente lo spazio non manca per nessuno. Se appena succede qualcosa e la strada viene inondata, i primi a pagarne le conseguenze e a doversi arrestare sono proprio quelli più deboli.
Usciti da questa crisi, come vede il modello delle piccole imprese tra dieci anni? Cosa dovrebbero fare non solo per sopravvivere ma per continuare ad essere delle eccellenze?
Non vedo un futuro di successo economico di lungo periodo che, nel nostro Paese, non sia fondato su imprese di piccola dimensione. Proprio non riesco a immaginare l’economia italiana sganciata da una quota preponderante di esportazioni, di occupazione, di prodotto interno lordo, di innovazione, di numero di brevetti sviluppati che non sia generato dall’insieme delle nostre piccole e medie imprese. Non vedo un futuro senza le PMI perché l’alternativa, in loro assenza, sarebbe una realtà economica nazionale posizionata non più tra le prime dieci al mondo ma relegata in quote veramente secondarie. Perché questo si concretizzi, più che le imprese, la propria parte la deve fare la politica: il governo, a livello nazionale e regionale, e in questa fase soprattutto l’Europa. In tutta Europa le PMI hanno una grande rilevanza, non così forte come in Italia ma sono comunque importanti. L’Europa deve capire che questa dimensione aziendale è quella che più è consona al proprio fare economia, soprattutto nella zona continentale e meridionale. Questa componente politica europea, nazionale e regionale è quella che più deve muoversi: nell’ordine che ho elencato, a partire dall’Europa che proprio in queste settimane è invece apparsa più riottosa a prendere posizione. Da parte delle aziende, non ci sarà alcun arretramento se i nostri piccoli imprenditori continueranno a fare eccellenza in qualsiasi settore e non si collocheranno sulle commodities. Bisognerà riflettere e capire quello che è veramente strategico e, una volta individuati i settori cruciali, qualunque sia il comparto scelto, avere la capacità di operarci a livello di qualità medio-alta perché questo posizionamento, come ho spiegato prima, garantirà futuro. Mi rendo conto che si tratta di ricette molto semplici da comunicare e assai più difficili da concretizzare però la strada è questa. Nel nostro passato ci sono stati Leonardo da Vinci e Galileo Galilei, che hanno saputo esprimere genialità in settori diversi, e questo tipo di approccio dovrà caratterizzare anche il nostro domani. Il nostro futuro non potrà essere quello dell’artista che per hobby esce la domenica, pianta il suo cavalletto davanti ad un bel panorama e realizza il suo quadro perché quel pittore non avrà mai grande mercato. Noi abbiamo bisogno, nei diversi settori, dei vari Leonardo da Vinci. E questo pone una domanda cruciale a ciascuno di voi. E’ chiaro: chi ha la passione, lo spirito, la capacità e la volontà di un Leonardo da Vinci avrà sempre spazio. Uso Leonardo, esagerando ovviamente perché sappiamo benissimo che di Leonardo c’è n'é uno solo, per farvi capire che non ci si può porre come obiettivo quello di fare qualcosa tanto per avere un attività ma che è indispensabile darsi l’obiettivo di migliorarsi continuamente.
Vorremmo concludere restando ancora sul criticato mondo delle piccole imprese. Maurizio Landini, segretario generale della CGIL in una recente intervista parla di fare un cambiamento culturale e suggerisce di non parlare più “di piccolo è bello”. Come ci possiamo rapportare noi piccoli artigiani con i sindacati ma anche con Confindustria?
Vi rispondo con una domanda. Landini oggi secondo voi rappresenta un sindacato forte? Landini è sicuramente una personalità carismatica (anche se spesso con punti di vista radicalmente diversi dai miei e credo anche dai vostri) ma rappresenta una istituzione in crisi. Confindustria oggi rappresenta una istituzione forte? Assolutamente no. Vincenzo Boccia, ho avuto modo di conoscerlo quando era rappresentante della Piccola Industria anni fa, è certamente persona valida, come immagino il suo successore, ma è a capo di una organizzazione con mille problemi. Questo invito a negare che piccolo sia bello ci arriva da persone che hanno di che riflettere all’interno delle loro istituzioni. Landini rappresenta un sindacato la cui componente più forte è quella dei pensionati e non a caso è stato eletto lui come segretario poiché arrivava dai metalmeccanici ed era testimonianza di una realtà operaia forte che però nella realtà incide relativamente poco. Confartigianato, l’associazione delle imprese a valore artigiano, che a mio avviso appare magari meno ma è molto più forte di prima, ha un compito importante: quello di rinunciare allo slogan. Neanch’io penso che “piccolo è bello” ma sicuramente ritengo che grande non sempre è necessario. Perché “piccolo non è bello”? Perché se si è piccoli ma fragili si muore - come detto prima per i poveri anziani con il Coronavirus - ma non è che l’alternativa migliore sia a priori la grande dimensione. Si può diventare grandi facendo accordi ovvero si può restare piccoli ma comportarsi da grandi per esempio muovendosi attivamente in ambito associativo. Quello che voi sollevate è un problema enorme: culturale non economico! Proprio a livello culturale bisogna contrastare l’impostazione di chi sostiene che la grande dimensione sia sempre la migliore. Per farlo occorre essere convinti di partire da una posizione di forza, anche quando non è riconosciuta. Nessuno riconosce però al proprio avversario forza, occorre esserne convinti e muoversi con la sicurezza delle proprie idee: piccolo non è sempre bello ma grande non è sempre utile, indispensabile o necessario. Leggo però nella vostra domanda un senso di inferiorità rispetto a CGIL e a Confindustria che non dovete avere: “à la guerre comme à la guerre”.