Tutti i volti della sostenibilità

Stefano Pogutz, Direttore FT MBA, Professor of Practice SDA Bocconi

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Tre domande a Stefano Pogutz, di recente nominato Professor of Practice presso SDA Bocconi, dove è anche Direttore dell’MBA Full Time, programma che è sul podio dei ranking internazionali. Ricercatore riconosciuto anche all’estero, ha vinto diversi premi per l’insegnamento, mostrando nel suo stesso percorso quanto la sostenibilità, al centro dei suoi interessi, incroci e integri diversi piani di attività.

Business sostenibili e circolari, sistemi socio-ecologici e strategia aziendale: come questi temi hanno impattato sui programmi di formazione, incluso l’MBA che dirigi?

Ormai da molti anni i dati scientifici ci dicono che il nostro modello di sviluppo economico e sociale non è più in equilibrio con il pianeta. Non si tratta solo della sfida climatica o di quella energetica, ma di ricomporre una profonda frattura tra il modo con cui opera il nostro sistema di produzione e consumo e la capacità dei sistemi ecologici di produrre i servizi ecosistemici e le risorse da cui dipende il nostro benessere. Anche l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, con i 17 Obiettivi per lo sviluppo sostenibile, e il Green Deal Europeo non possono prescindere dal riconoscimento di limiti planetari. Prendere coscienza di questa condizione e delle sfide che ne derivano significa ripensare la formazione economico-manageriale a partire dai paradigmi e dalle teorie che si insegnano, fino ad arrivare alle competenze, alle abilità specifiche e alla costruzione di modelli di leadership coerenti. Negli anni ho sempre cercato di portare avanti un approccio in cui la sostenibilità fosse parte delle responsabilità manageriali e delle strategie e dei processi aziendali, e non delegata solo alle responsabilità del decisore pubblico o in mano al terzo settore. A livello pratico, questo significa lavorare sui programmi di formazione lungo tre direttrici: provare ad affiancare un nuovo paradigma, basato sull’idea dei sistemi complessi, a quello riduzionista e produttivista, oggi ancora ampiamente prevalente; introdurre le sfide della sostenibilità mediante corsi o seminari specifici che affrontano contenuti quali la decarbonizzazione, l’economia circolare, la diversity & inclusion, i diritti umani; integrare questi aspetti nelle discipline tradizionali quali la finanza (i temi ESG), la strategia (la visione per stakeholder, le nuove opportunità competitive, le partnership), il marketing (l’analisi dei nuovi comportamenti di consumo), o le risorse umane (il tema della diversità, delle pari opportunità e quello dell’inclusione).

La responsabilità sociale d’impresa ha vissuto in un certo senso diverse stagioni: qual è quella che sta vivendo attualmente, alla luce delle diverse prospettive da cui guardare alla sostenibilità?

Oggi siamo entrati in una nuova epoca; sono cambiate diverse condizioni. Il quadro normativo è mutato rapidamente e un numero crescente di regole tende a favorire le imprese più sostenibili e trasparenti (per esempio, l’accesso a strumenti economico-finanziari diretti a promuovere la transizione ecologica) e a penalizzare quelle meno responsabili. La finanza ha cambiato atteggiamento e ha superato una visione scettica rispetto alla sostenibilità. Oggi, per quanto il mondo dei rating ESG debba ancora fare molta strada e consolidare le proprie metodologie, agli investitori appare più chiaro che un’azienda responsabile genera opportunità di crescita maggiori e ha un migliore rapporto tra rischio e rendimento. Anche i consumatori hanno cambiato approccio: tutte le ricerche comportamentali evidenziano che i Millennials e la Generazione Z sono più sensibili ai temi ambientali e sociali, sono propensi ad acquisti sostenibili e certificati, puntano a stili di vita più responsabili e sono disposti a spendere di più per prodotti e servizi in linea con queste aspettative. L’effetto di queste trasformazioni si riflette sulle imprese e sulle regole con cui competono, in quanto da un lato la sostenibilità si fonde con l’innovazione, aprendo nuove opportunità di sviluppo e di efficienza; dall’altro se non viene affrontata e integrata in modo coerente diventa un fattore di progressiva esclusione dal mercato, con effetto sul rischio e sulla redditività di chi investe, sia come equity, sia come debito. Nel nuovo quadro, le imprese guidate dai leader più attenti abbracciano nuovi approcci come il concetto di purpose, di brand activism o di net positive, a indicare la necessità di costruire una sostenibilità trasformativa, in grado di creare valore per la collettività, e non solo per gli azionisti, a scapito dell’ambiente, dei lavoratori, della società.

Sei particolarmente impegnato nel settore della blue economy e dal 2018 sei a capo del comitato scientifico della One Ocean Foundation: che posto occupa o deve occupare questo segmento in termini di ricerca e policy?

Il tema della protezione dell’oceano è una delle grandi sfide di questo secolo. Anche in questo caso, come per il cambio climatico e per la perdita di biodiversità, la scienza da decenni ci dice che abbiamo un problema, un’emergenza che ci deve portare a un cambio di rotta rapido se vogliamo preservare l’integrità di questo ecosistema (o insieme di ecosistemi) così importante per il nostro benessere. L’oceano interagisce con gli altri sistemi ed è minacciato dall’acidificazione risultante dalle emissioni di gas serra, dall’aumento della temperatura, dalla pesca, dall’enorme quantità di plastica che deriva dai nostri consumi, dall’uso intensivo di sostanze chimiche e di fertilizzanti in agricoltura, dalle micro-polveri che residuano dall’abrasione degli pneumatici. Più del 90% delle pressioni è effetto di attività che avvengono su terra, non in mare, ogni giorno, ogni ora. Con il Sustainability Lab di SDA Bocconi e grazie alla One Ocean Foundation e a McKinsey & Co., da circa cinque anni abbiamo iniziato a studiare le interazioni tra business e oceano, per capire il livello di attenzione del mondo delle imprese rispetto a questa sfida, e per esaminare le risposte che le aziende stanno mettendo in atto a livello di innovazione di processo, di prodotto, di nuovi modelli di business, di pratiche organizzative. Da questo studi, presentati in alcuni report di ricerca e in un paio di pubblicazioni scientifiche sottoposte a riviste di prestigio, ora in fase di revisione, emerge che per la maggior parte delle imprese e dei settori industriali la protezione dei mari non è ancora considerata una questione critica, su cui investire attenzione e risorse. C’è ancora scarsa capacità di percepire il legame tra l’inquinamento dell’oceano e i prodotti e i servizi realizzati. Proprio per questo motivo il lavoro di ricerca che stiamo svolgendo è fondamentale e con un nuovo ambizioso progetto, chiamato Ocean Disclosure Initiative, vogliamo spronare tutte le aziende (non solo quelle della blue economy) a ragionare sugli impatti delle proprie attività sul mare, richiedendo una rendicontazione trasparente e facendo da ponte tra mondo delle imprese, della scienza e della finanza.

SDA Bocconi School of Management

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