Boeri: vincere la battaglia del welfare cominciando a smontare i luoghi comuni

Un ciclo di lezioni per il Full-Time MBA: Populism and the Economy

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Milano, 30 settembre 2019
Un legame stretto ma poco esplorato. È quello che c’è tra la nascita del populismo come presenza politica determinante in molte democrazie occidentali e la crisi del modello di welfare come lo abbiamo conosciuto dalla metà del Novecento in avanti. Tito Boeri, economista ed ex presidente dell’INPS, torna sull’argomento con il ciclo di lezioni Populism and the Economy nell’ambito del Full-Time MBA di SDA Bocconi. E nel primo incontro della serie, dal titolo “The Making of Policy Making”, lo fa dalla posizione privilegiata di chi ha conosciuto la macchina “da dentro”, evidenziando aspetti del sistema pensionistico e del welfare pubblico che dimostrano con la semplice forza dei numeri la debolezza di molto postulati (e promesse) su cui si fonda una certa narrazione politica.

 

Dalla nascita della social security in Italia nel lontano 1898 alla Grande Inps del terzo millennio, che ingloba quasi tutto il panorama degli enti previdenziali: la lezione di Boeri è una meticolosa carrellata su 120 anni di welfare italiano, utile a molti studenti stranieri dell’MBA per capire le differenze strutturali rispetto, ad esempio, ai sistemi previdenziali di stampo anglosassone. Ma è anche un viaggio costellato di sorprese che sgretolano alcuni dei più consolidati luoghi comuni nazionali in tema di pensioni.

 

“Nel 1952 il sistema pensionistico italiano diventa un sistema interamente ‘pay-as-you-go’. È la nascita del patto intergenerazionale. Significa una cosa fondamentale: le pensioni di oggi sono pagate dai lavoratori di oggi, con l’aspettativa che un giorno, quando loro saranno in pensione, altri lavoratori pagheranno le loro pensioni. Il nostro sistema previdenziale non funziona cioè come un deposito bancario dove uno mette del denaro e lo ritira a una scadenza. È molto importante sottolinearlo perché la gran parte dell’opinione pubblica non ha questa percezione”.

 

È un’impostazione che ha diversi corollari. Innanzitutto, ricorda Boeri, chi si occupa di previdenza deve – dovrebbe – avere un orizzonte temporale lungo e, appunto, intergenerazionale: attitudine più comune per un tecnico che per un politico, il cui “campo visivo” si limita spesso alla legislatura. E ciò significa anche ammettere che la legislazione previdenziale, grande motore di consenso politico, è diventata negli ultimi decenni del secolo scorso “insostenibilmente generosa”.

 

Infatti la demografia c’entra ma non basta da sola a spiegare la crisi del welfare. O meglio le politiche previdenziali fino alla fine degli anni ‘90 hanno “finto” di ignorare una piramide demografica che si sta lentamente ribaltando e un rapporto tra popolazione attiva e pensionata sempre più sbilanciato che può far saltare il patto intergenerazionale. Qui invece la spietatezza di un grafico fa saltare un altro robusto luogo comune: più pensioni significa meno welfare complessivo. Nel 1954 la spesa per le pensioni incideva per il 33% sulla spesa sociale complessiva, nel 2016 è arrivata al 59%, quasi il doppio. Il che significa, ad esempio, che nello stesso arco di tempo la spesa per l’assistenza sociale è scesa dal 25 al 7% e quella per le prestazioni famigliari dal 29 al 6%. L’Italia è cambiata e la coperta è sempre più corta.

 

Altro grafico, altra “scoperta”: l’implicit pension debt. “È un dato abbastanza sconosciuto, non appare nei bilanci correnti perché è un costo futuro, eppure è la misura della sostenibilità del debito pubblico. Indica la quota di debito in capo agli under-30 : nel 1950 era di 4.342 euro (ai prezzi del 2017), oggi supera i 130mila euro”.

 

La situazione è allarmante ma si può ancora fare qualcosa. Si è già cominciato a invertire la tendenza, ad esempio con il passaggio al sistema contributivo e con la – impopolare ma necessaria – riforma Monti-Fornero, ricorda Boeri. E non possiamo discostarci di molto da questa rotta: le politiche previdenziali devono tenerlo presente, superando le miopie elettorali. E anche l’Inps nel suo ‘piccolo’ – conclude l’ex presidente – può muovere leve importanti, a cominciare dai margini di discrezionalità, a volte ampi, nell’esecuzione delle leggi, alle scelte di allocazione del suo budget, all’uso intelligente e trasparente dell’enorme mole di informazioni che gestisce. Usare meglio le risorse oggi è fondamentale perché ne rimangano anche per domani.

 

SDA Bocconi School of Management

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