Una terra promessa fiscale per avviare il controesodo dei cervelli

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Roma val bene una tassa (in meno). O anche Milano, Napoli e qualsiasi altra città che possa dare asilo e lavoro ai “cervelli” che ritornano a casa. La parafrasi del famoso detto storico sintetizza bene quello che, nelle intenzioni del nostro legislatore, è l’incentivo che potrebbe spingere al rientro molti cittadini italiani che svolgono all’estero la loro attività «di elevata qualificazione o specializzazione». E non solo italiani: il richiamo fiscale è esteso a talenti di qualunque nazionalità. Per tutti, infatti, è previsto un dimezzamento del carico fiscale per 5 anni in cambio della scelta dell’imprenditore, professionista, tecnico o ricercatore di venire a investire nel Belpaese le proprie conoscenze e competenze.

L’argomento è stato dibattuto nel convegno «Le misure per attrarre capitale umano in Italia. Come far decollare il “controesodo”?» tenutosi in SDA Bocconi lo scorso febbraio, al quale hanno preso parte personalità di spicco quali Maurizio Bernardo, Presidente della Commissione Finanze della Camera, Antonio Longo di DLA Piper, Francesco Rossi del Gruppo Controesodo e Giorgio Santini, membro della Commissione Bilancio del Senato, nonché Mauro Meazza, Caporedattore centrale del Sole 24 Ore, in qualità di moderatore.

Un’occasione per fare il punto della situazione a più di due anni dall’entrata in vigore del decreto «per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese» (D.lgs. 147/2015) che dedica il suo art. 16 al «Regime speciale per lavoratori impatriati».

Talenti da tutto il mondo
Convinti dell’importanza che può avere il capitale umano di qualità per la crescita economica – secondo la Confindustria la “fuga dei cervelli” fa perdere circa 14 miliardi all’anno, un punto percentuale di PIL, senza considerare la perdita di valore sociale e culturale –, si è puntato sulla leva fiscale per aprire la caccia ai lavoratori top-quality internazionali. La norma stabilisce infatti un abbattimento del 50% del reddito imponibile per 5 anni per i lavoratori dipendenti e autonomi di alto profilo. È sufficiente non avere avuto la residenza in Italia negli ultimi 5 anni e impegnarsi a restarci per almeno 2 anni.
La norma, come dicevamo, non si limita a richiamare gli “expat” ma mira a fare del nostro paese un polo di attrazione per talenti di tutto il mondo. Il benefit fiscale infatti è esteso anche a tutti i cittadini europei ed extra-Ue in possesso degli stessi requisiti professionali. Si tratta di una campagna di recruiting internazionale in cui l’Italia non è sola ma deve competere con altri paesi come la Francia, la Spagna, il Portogallo e i Paesi Bassi, dove sono in vigore normative analoghe.

Un grande vantaggio fiscale
Tra i diversi aspetti della normativa che sono stati oggetto del dibattito ha avuto particolare spazio la reale situazione di molti italiani all’estero che non sono iscritti all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero), requisito attualmente necessario per beneficiare dell’agevolazione fiscale. Infatti, ben pochi cittadini spostano la residenza in un altro paese se non prevedono di restarci per lungo tempo (o definitivamente) e ciò rende di fatto inapplicabile la disposizione a molti potenziali “impatriati”. È un aspetto di particolare rilievo su cui quale l’AIRE sta lavorando.
Per altri versi è stata sottolineata la grande convenienza fiscale di questa norma. Pochi numeri bastano a dare la misura dell’ottimo affare che potrebbe fare col fisco un “figliol prodigo” della nazione: per un reddito lordo annuo di 65mila euro il risparmio d’imposta si aggira sui 13mila euro all’anno, più di mille euro al mese per un quinquennio. Basterà ad avviare un controesodo di proporzioni, se non bibliche, almeno apprezzabili per il mondo del lavoro, l’economia e la cultura italiana?

SDA Bocconi School of Management

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