Teoria in pratica

Donne, appassionati, minoranze: quando conoscere troppo bene il proprio target diventa un limite

Le donne che sviluppano prodotti rivolti alle donne, le minoranze etniche che pensano di servire i propri connazionali, gli appassionati di videogiochi che creano servizi per gamer. Sono esempi di imprenditori che circoscrivono il proprio mercato a un target ristretto e simile a loro, nella convinzione di conoscerlo meglio e di poterlo soddisfare appieno.

 

Uno studio realizzato con Elena Novelli suggerisce, però, che molto spesso questi individui sono vittime di una distorsione cognitiva che li ancora alla propria esperienza e li spinge a restringere il proprio target in modo eccessivo. Farebbero perciò meglio a pensare più in grande, esplorando la possibilità di soddisfare un pubblico più ampio e massimizzare le loro chances di successo.

Il contesto

I dati dicono che gli imprenditori appartenenti a un gruppo sottorappresentato nella popolazione di riferimento tendono a sviluppare idee rivolte a servire un mercato di nicchia, simile per caratteristiche agli stessi imprenditori. La letteratura definisce questo fenomeno “user entrepreneurship”.

 

Quando propongono le loro idee a potenziali finanziatori come i venture capitalist, gli imprenditori che appartengono a queste minoranze soffrono di un tasso di rigetto più alto e quando avviano una startup registrano performance peggiori. Queste dinamiche di user entrepreneurship contribuiscono a spiegare il perché di questa apparente discriminazione, ponendo l’accento sul processo decisionale dell’imprenditore in merito al mercato di riferimento prescelto.

 

La decisione di circoscrivere il proprio target potrebbe infatti essere dovuta a una maggiore conoscenza dello stesso e alla possibilità di servirlo meglio. In egual misura, potrebbe risultare da una distorsione cognitiva che ci spinge a focalizzarci su ciò di cui abbiamo esperienza diretta – quello che viene definito il nostro “domain.”

La ricerca

Nel testare che cosa spinge un imprenditore a targettizzare clienti simili per caratteristiche all’imprenditore stesso siamo partite da una semplice intuizione. Se la “user entrepreneurship” fosse dovuta a una maggiore conoscenza del mercato di riferimento, un intervento che spinga gli imprenditori ad analizzare più a fondo la propria value proposition dovrebbe rafforzare la scelta di circoscrivere il proprio target. Se fosse, invece, frutto di una distorsione cognitiva, l’intervento dovrebbe spingerli a cambiare idea.

 

Per il nostro studio, abbiamo condotto tre randomized control trials (RCT) tra Italia e Regno Unito con 196 imprenditrici, suddivisi in gruppi di trattamento e controllo. Abbiamo osservato, anzitutto, che le donne hanno una maggiore tendenza a sviluppare idee di business rivolte a clienti del proprio genere.

 

Le partecipanti nel gruppo di trattamento hanno ricevuto una formazione su metodi di decision-making scientifico, che le incoraggiava a formulare e testare ipotesi sulle proprie idee di business e sul fit con il mercato. Il gruppo di controllo, invece, ha appreso strumenti aziendali senza l’applicazione di un approccio scientifico strutturato. Le imprenditrici sono state intervistate mensilmente, raccogliendo dati sui loro processi decisionali e sui comportamenti di modifica radicale dell’idea imprenditoriale (pivoting).

 

Le partecipanti che hanno ricevuto una formazione ispirata al decision-making scientifico ed avevano sviluppato una value proposition rivolta alle donne hanno mostrato un tasso di riorientamento strategico più elevato rispetto a quelle del gruppo di controllo, la cui value proposition targettizzava un segmento di mercato non necessariamente gendered.

Conclusioni e implicazioni

La maggiore tendenza al riorientamento strategico tra le imprenditrici con un’idea di business rivolta alle donne conferma che le limitazioni originariamente imposte al target di riferimento erano frutto di un bias cognitivo. Analizzando la performance successiva delle startup, osserviamo inoltre che quelle che hanno ampliato il proprio target ottengono risultati migliori rispetto a chi non lo ha fatto.

 

I nostri dati consentono di validare ed estendere l’analisi anche ad altre tipologie di user entrepreneurs come imprenditori appartenenti a minoranze etniche e quelli con un’esperienza significativa alle spalle in un determinato settore e che tendono a continuare a muoversi in quel medesimo contesto, anche quando le loro idee hanno un potenziale più ampio.

 

Dallo studio discendono alcuni suggerimenti per imprenditori, policy maker e venture capitalist.

 

  • Gli imprenditori (e i manager in fase di lancio di nuove linee di prodotto) dovrebbero sempre riflettere sul ruolo dei loro domain nel processo di formazione della loro idea imprenditoriale. Se intuiscono la possibilità che il target prescelto sia artificialmente ridotto da una loro preferenza per ciò che gli è familiare, farebbero bene a considerare possibilità alternative.

 

  • I policy maker dovrebbero incorporare questa informazione nelle politiche di promozione dell’imprenditorialità, per “democratizzare” l’accesso a questa attività. All’interno degli incubatori, per esempio, quando gli imprenditori appartengono a una minoranza si dovrà fare particolare alle assunzioni di base da cui partono nella definizione delle loro idee imprenditoriali.

 

  • I venture capitalist, che prediligono idee di business scalabili, dovrebbero avvalersi di analisi supplementari quando un’idea di business poco appetibile per via di un target troppo ristretto è promossa da un’imprenditrice o da un imprenditore appartenente a una minoranza. Un piccolo sforzo di rifocalizzazione potrebbe trasformarla in un’idea vincente.

 

Luisa Gagliardi, Elena Novelli. “Female Entrepreneurs Targeting Women: Strategic Redirection Under Scientific Decision-Making.” Organization Science, Articles in Advance. DOI: https://doi.org/10.1287/orsc.2022.17235.

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