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- 18 mar 2025
- 1,5 giorni
- Blended
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Approfondire logiche e strumenti di service management utili per coloro che hanno l’ambizione di ri-progettare e ri-orientare i servizi pubblici.
Nel 2007, con il programma “Delivering as One,” le Nazioni Unite hanno introdotto un approccio innovativo alla cooperazione allo sviluppo: mentre le agenzie ONU, fino ad allora, avevano agito singolarmente e indipendentemente una dall’altra, da allora hanno iniziato a lavorare come team, condividendo strategie e risorse per massimizzare l’impatto e ridurre le duplicazioni.
Quando si tratta di affrontare sfide globali come la povertà estrema o il cambiamento climatico, la collaborazione tra agenzie è ormai considerata uno standard e l’efficacia dell’approccio è generalmente riconosciuta. Eppure, Giulia Cappellaro e Valentina Mele, in uno studio rivolto ai manager della cooperazione scritto con Shaz Ansari (Cambridge University), fanno notare che alcune collaborazioni ottengono risultati migliori di altre e le prime sono caratterizzate dall’attivazione di quattro meccanismi capaci, da una parte, di creare un’identità coesa all’interno del gruppo (cluster) di agenzie coinvolte e, dall’altra, a comprendere e adattarsi alla realtà locale, creando rapporti positivi con gli stakeholder.
La ricerca si colloca nell’ambito dello studio delle strategie di governance transnazionale per lo sviluppo sostenibile, che Cappellaro e Mele studiano da anni, a partire da un finanziamento di SDA Bocconi School of Management.
In un paper precedente, le due autrici hanno analizzato i meccanismi di coordinamento tra headquarters e sedi operative locali delle agenzie, nel caso in cui le agenzie operino in maniera indipendente.
Poiché la collaborazione tra agenzie è sempre più diffusa, la domanda che si sono poste ora è: come possono questi cluster di agenzie armonizzare le loro operazioni e adattarsi alle necessità specifiche dei contesti locali?
Attraverso un disegno di ricerca di case-study comparativi, basati su 115 interviste, l’analisi di oltre 700 documenti, e una osservazione diretta, il team ha studiato otto cluster pilota delle Nazioni Unite, attivi dal 2007 al 2015 in Albania, Capo Verde, Mozambico. Pakistan, Ruanda, Tanzania, Uruguay e Vietnam.
L’analisi documentale e le interviste agli stakeholder principali, soprattutto quelli all’interno delle agenzie ONU, hanno permesso di identificare i cluster la cui esperienza di collaborazione ha avuto maggiore successo.
I risultati hanno dimostrato come i cluster di maggiore successo si distinguano per l’adozione di pratiche innovative, come una pianificazione congiunta che ha sostituito i tradizionali piani individuali delle agenzie o una forte coesione tra le agenzie, che ha consentito di ridurre i costi di transazione per il governo locale, trasferendo il peso del coordinamento al sistema ONU. Inoltre, i cluster più efficaci hanno coinvolto attivamente i governi locali nei processi decisionali, favorendo una maggiore ownership delle iniziative.
I risultati evidenziano che, nelle iniziative con risultati migliori, i cluster hanno migliorato l’allineamento con le priorità nazionali e ridotto le duplicazioni, contribuendo anche a una maggiore sostenibilità. In alcuni casi, il cluster ha incrementato i propri sforzi di intrattenere relazioni politiche con i rappresentanti delle istituzioni locali e di collaborazione con stakeholder diversi, ottenendo l’allocazione di risorse extra dai paesi donatori e riuscendo anche a promuovere politiche su temi sensibili come i diritti umani.
Nei casi in cui l’implementazione della riforma si è dimostrata più problematica, è mancata invece una coesione interna sufficiente, che ha limitato la capacità di creare strategie congiunte efficaci e di coinvolgere pienamente i governi locali.
I meccanismi suggeriti ai manager per creare un’identità coesa all’interno del cluster sono:
Quelli legati al contesto locale:
Poiché la cooperazione internazionale si trova a lavorare anche in paesi governati in modo autoritario o non pienamente efficiente, il contatto con questo tipo di autorità locali è stato spesso sottovalutato, alla stregua di un male necessario e quindi da minimizzare. Lo studio mostra chiaramente che investire in meccanismi di collaborazione strutturata non solo migliora i risultati ma rafforza anche la fiducia tra partner internazionali e locali. Condividendo l’autorità con i soggetti locali e adattando le strategie ai contesti specifici, le collaborazioni più efficaci riducono i costi di transazione, almeno per le istituzioni dei paesi dove si opera, e aumentano l’impatto delle politiche.
Giulia Cappellaro, Valentina Mele, Shaz Ansari. “Bridging Global Mandates and Local Realities: Intermediary clusters and interorganizational collaboration for international development.” Organization Studies, 0(0). DOI: https://doi.org/10.1177/01708406241298398.