Teoria in pratica

Un altro mattone nel muro del successo dell’estrema destra: il ridotto accesso ai servizi pubblici

Un recente studio condotto nell’ambito del progetto LOSS (Narratives of Loss: Unravelling the Origins of Support for Socially Conservative Political Agendas), finanziato dall’European Research Council (ERC), evidenzia un legame diretto tra la riduzione della possibilità di accesso ai servizi pubblici e l’aumento del sostegno ai partiti di estrema destra in Italia.

Il contesto

Lo studio mette in luce come la riduzione dell’accesso ai servizi in alcuni piccoli comuni italiani abbia alimentato sentimenti di disuguaglianza e preoccupazioni legate all’immigrazione, amplificate da un utilizzo strategico della retorica politica. Questa dinamica ha contribuito a rafforzare la narrativa dell’estrema destra, portando a un significativo aumento dei voti nelle elezioni nazionali.

 

Globalizzazione e difficoltà economiche dovute alle crisi finanziarie sono da tempo considerate fattori che favoriscono il sostegno ai partiti di estrema destra e alle agende politiche socialmente conservatrici.

 

Una nuova ricerca di Simone Cremaschi, Paula Rettl, Marco Cappelluti e Catherine De Vries si concentra su un altro possibile precursore del successo elettorale dell’estrema destra: la riduzione nell’accesso a servizi essenziali come sicurezza, istruzione e sanità.

 

L’offerta di servizi pubblici è sotto pressione da anni a causa di tagli, crescita economica stagnante o pressioni sul debito pubblico. I cittadini considerano fondamentale l’accesso a tali servizi per la qualità della propria vita. Gli autori sostengono che l’esposizione alla riduzione dell’accesso ai servizi pubblici, definita “privazione di servizi pubblici,” può generare malcontento e rendere le persone più inclini a sostenere l’estrema destra. La privazione dei servizi pubblici genera infatti frustrazione per la percezione che la propria comunità non riceva una quota “equa” di risorse pubbliche e aumenta i timori che “altri” ne ricevano di più.

 

L’Italia rappresenta un caso di studio ideale: i piccoli comuni hanno subito trasformazioni amministrative significative, tra cui una riforma del 2010 che obbligava i comuni con meno di 5.000 abitanti a gestire congiuntamente i servizi di base. Questa riforma, progettata per migliorare l’efficienza, è stata criticata per aver ridotto l’autonomia locale e, di fatto, l’accesso ai servizi.

La ricerca

Le controversie attorno a questa misura riflettono le sfide intrinseche nel bilanciare la razionalizzazione con il mantenimento della qualità dei servizi e della percezione di equità dei cittadini.

 

I ricercatori osservano che molte comunità colpite dalla riforma hanno manifestato una crescente insoddisfazione verso lo Stato centrale, percepito come distante e inefficace. Questa insoddisfazione si è tradotta in un maggiore sostegno per partiti che promettevano soluzioni rapide e radicali, spesso sfruttando narrazioni che collegavano la privazione dei servizi a problemi come l’immigrazione incontrollata.

 

Utilizzando un disegno di ricerca “difference-in-differences,” i ricercatori confrontano i comuni interessati dalla riforma con quelli, altrimenti comparabili, non coinvolti, analizzando dati elettorali dal 2000 al 2020. Lo studio utilizza anche dati geo-referenziati rlativi ad alcuni sondaggi e analisi della retorica politica per esplorare i meccanismi sottostanti.

 

Un’analisi dettagliata della retorica politica rivela un crescente utilizzo di messaggi mirati da parte dei partiti di estrema destra, che collegano la privazione dei servizi all’immigrazione e alla necessità di politiche più rigorose.

 

Il campione comprende 7.964 comuni, oltre il 65% dei quali colpiti dalla riforma. Gli indicatori analizzati includono l’accesso a servizi come polizia locale, gestione dei rifiuti e uffici anagrafe, mostrando una significativa riduzione della qualità e della disponibilità di questi servizi nelle aree coinvolte. Questa riduzione, spesso accompagnata da difficoltà organizzative e operative, ha generato frustrazione nelle comunità interessate.

 

Parallelamente, lo studio osserva una crescente preoccupazione per l’immigrazione tra i residenti di queste aree e un uso crescente di messaggi da parte dei partiti di estrema destra che collegano la privazione dei servizi all’immigrazione. Questi messaggi non solo amplificano la percezione di insicurezza economica e sociale, ma creano terreno fertile per consolidare il supporto elettorale.

Conclusioni e implicazioni

Lo studio conclude che la privazione dei servizi pubblici ha contribuito ad aumentare il sostegno ai partiti di estrema destra nei comuni colpiti dalla riforma del 2010. Questo risultato è stato determinato da due principali dinamiche: da un lato, l’insoddisfazione derivante dalla percezione di una distribuzione iniqua delle risorse pubbliche (domanda); dall’altro, la capacità dell’estrema destra di sfruttare strategicamente queste preoccupazioni, collegandole all’immigrazione (offerta).

 

Nelle democrazie industriali avanzate come l’Italia, i cittadini si aspettano accesso garantito ai servizi pubblici e una risposta efficace dello Stato alle proprie esigenze. Quando queste aspettative non vengono soddisfatte, le persone provano frustrazione e possono rivolgersi a soluzioni politiche di estrema destra, come evidenziato dallo studio.

 

I ricercatori, tuttavia, non suggeriscono che tale privazione sia l’unica o principale causa del successo elettorale dei partiti di estrema destra.

 

Futuri studi dovranno esplorare in che misura questi risultati siano applicabili al di fuori dell’Italia.

 

Simone Cremaschi, Paula Rettl, Marco Cappelluti, Catherine De Vries. “Geographies of discontent: Public service deprivation and the rise of the far right in Italy.”  American Journal of Political Science. 2024;1–19. DOI: https://dx.doi.org/10.1111/ajps.12936.

 

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