Durante il G7 svoltosi a Biarritz nell’agosto del 2019, 32 aziende del settore moda hanno sottoscritto il «Fashion Pact», un importante statement per un graduale allineamento dell’intero comparto ai Sustainable Development Goals (SDGs) dell’ONU. Un accordo che si è focalizzato principalmente su tre gap legati all’ambiente, alla biodiversità e al clima. Da allora il numero di aziende firmatarie è salito a 60 e le call to action a sostegno della tracciabilità e della trasparenza per una moda più sostenibile e circolare sono sempre più numerose. L’intero settore è, da anni, in pieno fermento, e le sfide sociali e ambientali delineate rendono il suo futuro difficile da immaginare senza un ripensamento radicale delle proprie logiche di business.
Al netto della tragedia in termini umani, sociali ed economici, l’attuale pandemia è considerata da molti esperti come un acceleratore di un cambiamento che era già in corso. Durante i mesi di lockdown si è assistito a una crescita di consapevolezza nel porre un freno all’iperconsumismo e all’acquisto di capi usa e getta, anzi si è maturata la volontà di estenderne la vita riparandoli o avviando il ciclo dell’usato. In tal senso, il boom del consumo collaborativo, inclusi anche il mercato del second hand e del vintage, sta facendo riflettere le aziende del settore sul potenziale dei nuovi modelli di business circolari, soprattutto in merito alle abitudini delle nuove generazioni. Il segmento dei Millennials e della Gen Z, i consumatori più interessati alla moda sostenibile e circolare rappresenta già una fetta molto rilevante del mercato globale della moda e del lusso.
Per ripensare il futuro del settore serve dunque passare da un modello lineare «take-make-waste», che esclude il consumatore dalla catena del valore, a un modello più evoluto. Le aziende virtuose hanno predisposto dei take-back schemes, permettendo al consumatore di riportare nei negozi i capi che non utilizzano per attivare il recycling e l’upcycling. Un riflesso di quanto sta avvenendo nell’intero settore è oggetto di studio in SDA Bocconi School of Management dove un team di ricerca si sta concentrando sulle opportunità e le sfide della circolarità nella moda e sugli indicatori da monitorare per ottenere risultati concreti dai modelli circolari.
La nuova catena del valore «take-make-remake», che possiamo rinominare «renewed fashion value chain», si fonda sui principi dell’eco-design, sull’utilizzo di materiali di riciclo e su processi produttivi a ridotto utilizzo di sostanze chimiche. Gli stessi impianti produttivi sono riprogettati per garantire il zero waste, mentre i punti vendita vengono ripensati in termini di sostenibilità e circolarità, coinvolgendo attivamente il consumatore e contribuendo ad aumentarne la consapevolezza in termini di impatto ambientale e sociale.
Ma quali sono i KPI – specifici per ogni modello di business – che permettono di misurare la circolarità e fare scale-up dei progetti pilota? Quali le opportunità della circolarità per il sistema moda italiano e per le nostre PMI? Queste domande troveranno risposta solo grazie a una partnership di filiera e alla creazione di sinergie tra i diversi stakeholder interessati a rendere il settore sempre più circolare.
Per progettare un nuovo futuro della moda è fondamentale conoscere le sfide e le opportunità della circolarità, prendere ispirazione dalle buone pratiche e ripensare i processi aziendali. In questo senso, può essere utile interpretare i sei cambiamenti principali che stanno guidando il settore moda verso un futuro più sostenibile e circolare.
Ai player del settore moda spetta ora la sfida di reinventarsi e riprogettare una nuova vita.