Sotto la lente

Tre strategie per l’agricoltura europea

Il settore agricolo italiano soffre la dipendenza da decisioni politiche di breve termine e ritiene di essere poco preparato alle sfide future. Le criticità principali - come anche rilevato dal costante confronto con gli stakeholder dell’Invernizzi AGRI Lab di SDA Bocconi - riguardano la ridotta dimensione delle aziende, la carenza di competenze manageriali e l’invecchiamento degli imprenditori, che vedono nell’innovazione tecnologica incrementale l’unica strada per il miglioramento.

 

Tuttavia, strade alternative esistono e gli agricoltori italiani non sono soli. Il recente Censimento delle Aziende Agricole Europee evidenzia che queste problematiche sono continentali, suggerendo che le strategie individuate dal Laboratorio possano avere un impatto più ampio a livello europeo.

 

Se le aziende agricole italiane soffrono di una dimensione media molto contenuta (circa 14 ettari secondo il 7° censimento ISTAT), a livello europeo la situazione è ancora più sconcertante: il 64% delle aziende agricole ha una superficie media sotto i 5 ettari. Tolte le produzioni di nicchia ad alto valore aggiunto, ma che fondamentalmente sono più tipiche del nostro Paese, per il resto stiamo parlando di qualcosa vicino all’agricoltura di sussistenza, soprattutto nell’Europa dell’est. Non a caso, il censimento rileva che il 38% delle aziende agricole produce per autoconsumo. Certo, in realtà queste aziende occupano solo una porzione ridotta della superficie agricola, laddove quelle più grandi ne occupano la maggior parte.

 

Quelle che raggiungono una dimensione ragionevole mirano ai vantaggi di efficienza dati dalle economie di scala e dall’iperspecializzazione. Di fatto, le aziende grandi sono per lo più “mono-prodotto”, un’impostazione produttiva che può portare benefici in mercati stabili, ma che costituisce un rischio enorme nel mercato delle commodities agricole, sempre più esposto a fluttuazioni di prezzo dovute da fattori esogeni e fenomeni speculativi. Poiché poi, tradizionalmente e per condizioni climatiche, le aziende con la medesima vocazione produttiva tendono a concentrarsi in determinati areali, il rischio mercato viene moltiplicato dal rischio climatico. Quindi se il rischio di perdere le piccole aziende è rappresentato dalla perdita di know-how, il rischio delle grandi è la perdita di produzione a livello europeo e una sempre minor quota di autosufficienza.

 

Oltre alle caratteristiche delle aziende e delle produzioni si aggiunge poi il profilo dell’agricoltore. Gli agricoltori sono uomini (62%), con più di 65 anni nel 33% dei casi, più di 55 nel 57% dei casi, più di 45 nel 79% dei casi.

 

Solo il 6% ha meno di 35 anni e anche in questo caso di tratta di uomini nei tre quarti dei casi. In altre parole, non abbiamo ricambio.

 

Abbiamo vie d’uscita? Sì, molte, ma per prima cosa occorre prendere consapevolezza di quello che potrebbe succedere e vogliamo evitare. A guardare i dati, l’unica cosa che sembra non mancare all’agricoltura europea è la produttività. Certo, non è l’agricoltura degli Stati Uniti o delle mega-farms del Sud America, ma da un certo punto di vista, per fortuna! Le grandi monocolture hanno già dimostrato i loro limiti in più occasioni nella storia dell’agricoltura moderna e sono un cataclisma per gli ecosistemi. Le opportunità di rinnovamento e sviluppo per l’agricoltura europea ci sono, la tecnologia però è solo un tassello, pressoché inutile senza gli altri. La tecnologia non rende gli agricoltori più giovani, non li rende più imprenditori, non trasforma un agricoltore in un manager, che invece è proprio ciò di cui abbiamo bisogno ora.

 

Tre sono le direttrici che abbiamo intravisto grazie al lavoro dell’Invernizzi AGRI Lab dal 2019 ad oggi:

 

  • Alle aziende agricole servono strategia, flessibilità e competenze manageriali, oltre a quelle tecniche e all’intuito. L’imprenditore agricolo è tale se comincia a incorporare una visione strategica in cui nuove competenze possono aprire nuove opportunità di sviluppo al di là delle produzioni che tradizionalmente hanno caratterizzato l’azienda. Dobbiamo essere riconoscenti ai padri e ai nonni che hanno costruito il settore negli ultimi 70 anni, ma ciò che andava bene ieri non per forza è adatto al domani.

 

  • Dobbiamo rendere l’agricoltura attrattiva per i giovani. Sono i giovani che hanno le competenze che ci servono, proprio quei e quelle giovani che i padri agricoltori hanno mandato a studiare nelle più blasonate università. Le storie di giovani che sono rientrati in azienda dopo una laurea in management sono ancora troppo poche, ma tutte di successo. E non servono solo i manager, serve una forza lavoro motivata che veda di fronte a sé un percorso di crescita e carriera strutturato. I livelli gestionali devono stratificarsi nelle aziende agricole, oggi fondamentalmente strutture orizzontali con un uomo (nel senso più stretto del termine) solo al comando.

 

  • Serve differenziare le produzioni e le zone di produzione. Un fenomeno di concentrazione è già in atto in alcuni Paesi, anche in Italia, ma non è più tempo di acquistare la terra del vicino per espandersi e continuare a fare ciò che si faceva prima. La fallacia di questa dinamica in termini di redditività è stata anche dimostrata nella ricerca che abbiamo condotto con Crédit Agricole: già a 150 ettari, la redditività per ettaro decresce per ogni ettaro in più acquistato. Per superare le criticità del mercato, del clima, dell’iperspecializzazione e della dimensione, occorre diversificare le produzioni anche andando ad acquistare terreni in altre zone. Si può pensare a grandi gruppi agricoli con aziende di dimensioni sostenibili e profittevoli distribuiti lungo la Penisola e nel continente. Per farlo però serve aprirsi ai capitali privati che vedono nell’agricoltura un’ottima opportunità di investimento, ma non trovano apertura, manager e visione realmente imprenditoriale.

 

Solo unendo la tecnologia a questi elementi potremo dire di aver rinnovato il settore agricolo europeo e su questo si concentreranno gli sforzi dell’Invernizzi AGRI Lab per supportare la transizione (anche verso la sostenibilità) fornendo gli strumenti adeguati.

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