#ValorePubblico

Lavorare per obiettivi: ma quali?

Mentre la polemica tra smart-ottimisti e smart-scettici impazza – come da copione di cui #ValorePubblico aveva già annunciato la trama mesi fa – noi vogliamo portare un contributo metodologico. La svolta dell’orientamento all’obiettivo, invece che alla procedura, sembra essere il grande apprendimento di questi mesi di lavoro senza supervisione diretta, laddove ha funzionato davvero. Come cogliere l’occasione e rilanciare il lavoro per obiettivi, dopo anni di tentativi incerti?

MBO – Management By Objective. Ovvero: non dirmi cosa devo fare, dimmi il risultato che vuoi vedere.

Una delle novità del processo di managerializzazione della PA di ispirazione New Public Management fu l’introduzione di logiche MBO anche nel contesto pubblico, riforma che in Italia arriva negli anni ‘90. L’MBO era lo strumento di gestione tipico dei modelli organizzativi di moda più o meno nello stesso periodo, ovvero la forma divisionale, caratterizzata da più grandi e più autonome strutture, guidate da manager con più ampi poteri gestionali e, pertanto, responsabilizzati sul risultato complessivo. Da allora, non si contano le volte che si è provato a mettere mano alla ‘tecnologia’ degli obiettivi, monitorati da organi esterni di validazione dei risultati conseguiti. Tutte le riforme che si sono susseguite si sono più o meno esplicitamente ispirate alla Goal Setting Theory di Locke, ovvero gli obiettivi devono essere (guarda un po’!) SMART: Specifici, Misurabili, Arrivabili, Rilevanti e Tempo-riferiti. Tutta questa SMARTNESS è intrigante, almeno sulla carta. Ma a che punto sono i sistemi di MBO nel nostro nella nostra PA?

Da misurare per gestire a valutare per retribuire?

La celebre frase di Kaplan e Norton, gli inventori della BSC, “Non puoi gestire quello che non puoi misurare” nella PA potrebbe suonare invece come “Non puoi pagare gli incentivi, se non hai certificato il raggiungimento di qualche risultato”. Spesso e volentieri, infatti, gli obiettivi sono dispositivi del sistema di valutazione della performance individuale e il loro uso “si piega” alla pressione che l’esito degli stessi deve produrre: gli incentivi. Inoltre, questo fa sì che gli obiettivi, o forse sarebbe meglio dire gli indicatori ad essi correlati e gli standard attesi, abbiano una connotazione vagamente marzulliana (“si faccia una domanda e sia dia una risposta”), in quanto autodefiniti e poi auto valutati dagli stessi destinatari processo. L’esito netto è che niente di ciò che è veramente sfidante (gli obiettivi davvero SMART), che pur ci sono nei nostri enti, viene intercettato dai documenti di programmazione e di misurazione. Da una ricerca condotta da SDA Bocconi nel 2019 su 31 Comuni meglio-grandi, 8 Città Metropolitane e Province e da 7 Regioni-Province autonome è emerso che il 100% del campione ha sistemi di assegnazione e valutazione degli obiettivi, ma nella maggioranza dei casi gli esiti della valutazione non danno luogo né a piani di sviluppo individuali del valutato (84,8%), né ad attività formative ad hoc (82, 61%), ma solo ed unicamente – in quanto previsto per legge – a definire l’ammontare degli emolumenti per la componente variabile dello stipendio. La stessa ricerca ci dice anche che in quasi 1 ente su 4 (24% del campione) non è previsto che il valutato incontri il suo valutatore per un colloquio di feedback, pertanto il sistema viaggia su canali meramente amministrativi, senza lasciare traccia sul piano dell’efficacia gestionale.

Spesso e volentieri, infatti, gli obiettivi sono dispositivi del sistema di valutazione della performance individuale e il loro uso “si piega” alla pressione che l’esito degli stessi deve produrre: gli incentivi.

I risultati che ci risultano

Un tema spinoso riguarda la qualità metodologica degli indicatori con cui si misurano gli obiettivi. Due diverse ricerche condotte nel 2018 da SDA Bocconi con metodi diversi e campioni di enti differenti hanno messo in luce risultati simili: di obiettivi SMART non ce ne sono molti in giro. Gli obiettivi sono in genere tutti annuali e con termine al 31/12, senza significative scadenze interne. Non c’è da stupirsi se è vero quanto detto sopra, ovvero che la valutazione è asservita al ciclo amministrativo del funzionamento della retribuzione. Inoltre, al netto delle poche eccezioni, gli indicatori impiegati sono sovente centrati sui processi e sulle dimensioni organizzative interne e sono poco orientati ai risultati da produrre in termini di outcome ed efficacia e, purtroppo, troppo spesso si settano su livelli attesi davvero poco sfidanti. In altre parole, l’obiettivo sovente riguarda non un traguardo da raggiungere – nella logica MBO sopra descritta – ma il compimento di un set di azioni / attività / tasks da compiere entro un certo tempo. Anche questo riduce la capacità di questi sistemi di orientare i comportamenti al raggiungimento di risultati rilevanti. Ma, ancora una volta, difficilmente si accetta di vedere la retribuzione ancorata agli impatti esterni, tipicamente esito di variabili non tutte direttamente dipendenti dall’azione dei singoli. Pertanto, tali dimensioni sfuggono dai sistemi di misurazione e sono fuori dai radar della gestione.

L’obiettivo sovente riguarda non un traguardo da raggiungere – nella logica MBO sopra descritta – ma il compimento di un set di azioni / attività / tasks da compiere entro un certo tempo

Lavoro SMART con obiettivi SMART: da dove ripartire?

Cosa fare per andare davvero nella direzione di un lavoro più autonomo e con meno supervisione diretta che impegni, come nell’idea del Ministro, il 30-40% dei dipendenti pubblici? Occorre al riguardo considerare la presenza di alcune condizioni che possono favorire la transizione.

  • Strategia: lo sguardo – e quindi l’obiettivo – deve stare dove serve, ovvero sulla capacità dei diversi enti di assolvere alle missioni loro affidate. In altre parole, sul valore pubblico, inteso come benefici stabili per la comunità di riferimento, dal macro al micro. In questa prospettiva, gli obiettivi non servono per controllare e tanto mento per premiare, ma – a livello di struttura – per indirizzare la gestione strategica e – a livello individuale e di team– orientare i comportamenti secondo le priorità e a dare senso e significato al lavoro delle persone affinché si sentano parte di un progetto, di una visione a cui possono contribuire fattivamente e direttamente. Questo è tanto più vero in organizzazioni come quelle pubbliche dove la motivazione intrinseca e quella pro-sociale sono largamente sottovalutate, sotto-utilizzate se non addirittura depresse.

 

  • Organizzazione: oltre a disegnare modelli organizzativi agili che rivedano i processi e i meccanismi di integrazione, prevedano l’utilizzo di piattaforme di coproduzione, il ricorso a modalità evolute di gestione dei team e l’utilizzo di modelli coerenti di public leadership, si renderà necessario valutare se una posizione (a prescindere da chi la ricopre) è associata al raggiungimento di risultati conseguibili in remoto, in autonomia e senza supervisione diretta; ma anche se il dipendente garantisce competenze, affidabilità e performance appropriate.

 

  • Competenze: non possiamo pensare a grandi strategie se poi chi le deve implementare non ha ricevuto le coordinate adeguate per muoversi in contesti differenti. È necessario accompagnare e formare dirigenti e dipendenti con strumenti innovativi e, perché no, smart! Ma l’investimento deve essere importante, reale e non residuale, guidato da visioni di ampio respiro. Non dimentichiamo che nelle regioni e negli enti territoriali si spendono in media all’anno 57,8 Euro a persona in formazione, nei ministeri 11 di Euro (Fonte: Conto annuale 2017). Forse non abbastanza per aspettarsi, nel momento del bisogno, trasformativi cambi di paradigma.

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