La celebre frase di Kaplan e Norton, gli inventori della BSC, “Non puoi gestire quello che non puoi misurare” nella PA potrebbe suonare invece come “Non puoi pagare gli incentivi, se non hai certificato il raggiungimento di qualche risultato”. Spesso e volentieri, infatti, gli obiettivi sono dispositivi del sistema di valutazione della performance individuale e il loro uso “si piega” alla pressione che l’esito degli stessi deve produrre: gli incentivi. Inoltre, questo fa sì che gli obiettivi, o forse sarebbe meglio dire gli indicatori ad essi correlati e gli standard attesi, abbiano una connotazione vagamente marzulliana (“si faccia una domanda e sia dia una risposta”), in quanto autodefiniti e poi auto valutati dagli stessi destinatari processo. L’esito netto è che niente di ciò che è veramente sfidante (gli obiettivi davvero SMART), che pur ci sono nei nostri enti, viene intercettato dai documenti di programmazione e di misurazione. Da una ricerca condotta da SDA Bocconi nel 2019 su 31 Comuni meglio-grandi, 8 Città Metropolitane e Province e da 7 Regioni-Province autonome è emerso che il 100% del campione ha sistemi di assegnazione e valutazione degli obiettivi, ma nella maggioranza dei casi gli esiti della valutazione non danno luogo né a piani di sviluppo individuali del valutato (84,8%), né ad attività formative ad hoc (82, 61%), ma solo ed unicamente – in quanto previsto per legge – a definire l’ammontare degli emolumenti per la componente variabile dello stipendio. La stessa ricerca ci dice anche che in quasi 1 ente su 4 (24% del campione) non è previsto che il valutato incontri il suo valutatore per un colloquio di feedback, pertanto il sistema viaggia su canali meramente amministrativi, senza lasciare traccia sul piano dell’efficacia gestionale.