Il Meglio del Piccolo

Il lato positivo del lavoro

Riprendo la mia rubrica "Il meglio del piccolo" dopo la pausa estiva consigliandovi una lettura che mi ha colpito moltissimo e che trovo estremamente illuminante: La casa degli sguardi di Daniele Mencarelli. Vi anticipo che non si tratta di un manuale di management eppure c’entra con la gestione del personale e col tema tanto attuale del lavoro, dei lavoratori (che non si trovano) e della loro soddisfazione che pare perduta.

Provo a darvi una sintesi ma, soprattutto, a sottolineare alcuni passaggi utili poi per riflettere insieme. Il libro racconta la vicenda autobiografica dell’autore: un giovane venticinquenne completamente perso. Un ragazzo fragile, come un foglio di carta velina in balia del vento, che passa dallo sballo del sabato sera con gli amici e le droghe ad una dipendenza solitaria e ancora più inevitabile perché legale. Daniele scrive poesie, vive con i genitori in pensione e beve. Beve ogni giorno della sua vita fino allo stordimento e alla negazione (sempre provvisoria) dei suoi dolori. Non sembra in grado di reggere la vita e i suoi interrogativi esistenziali non trovano risposta se non in una infilata di bicchieri nei bar più squallidi della provincia romana che pure lo respingono in quanto cliente molesto e dunque poco gradito. Proprio quando la disperazione sembra avere il sopravvento - anche sul padre e sulla madre del ragazzo devastati perché costretti a vivere quotidianamente una sorta di graduale suicidio del figlio - accade un fatto. Un amico - anche lui poeta - ascoltando il suo grido di aiuto gli trova un lavoro. Sentite bene: lo “raccomanda”, spende buone parole per lui affinché possa essere assunto in una cooperativa di pulizia che opera all’interno di un noto ospedale pediatrico romano. L’amico gli procura un lavoro: turni di notte e “sgrossate” ovvero rimozione di ogni tipo sporco e di secrezione umana e non solo, in un ambiente dove regnano potenti la sofferenza e la morte.
Cosa si può augurare di peggio ad un giovane venticinquenne? Turni massacranti al caldo o al freddo a seconda della stagione, miasmi di ogni genere, pericolo di contagio e soprattutto dolore in ogni angolo dell’ambiente di lavoro: dolore assoluto dei genitori e dei loro piccoli ricoverati. Ma come si può definire amico uno che ti indirizza in una simile situazione? Eppure proprio da quell’inferno partirà e si compirà la rinascita di Daniele. Tralascio qui il tema centrale del libro che è quello delle risposte che il giovane troverà per salvarsi (ma vi auguro, se lo leggerete, di poterle apprezzare) per concentrarmi sul miracolo del lavoro che si può manifestare anche e sopratutto in una piccola impresa dove le persone sono tali e non sono solo degli anonimi numeri di passaggio.

La rinascita di questo ragazzo passa attraverso alcuni elementi che lo agevolano e fanno da argine al sopravanzare del suo male, elementi che meritano di essere teorizzati e ben presenti nella testa e nelle intenzioni di chi gestisce persone all’interno di una impresa.

Il primo in ordine di comparsa nella narrazione. La presenza di adulti “amici” che si prendono cura, che orientano, che creano opportunità per i più giovani. Senza l’amico poeta che lo aiuta ad entrare nella cooperativa Daniele si sarebbe perso per sempre e senza l’intervento successivo del presidente dell’ospedale forse oggi non sarebbe un autore di fama. Da questo punto di vista le piccole imprese e i loro titolari sono spesso luoghi di salvezza. Molte volte mi è capitato di cogliere illazioni negative sulle selezioni fatte dagli imprenditori all’interno della loro rete di rapporti amicali o parentali. Cosa c’è di male ad aiutare un giovane in fase di ingresso se poi si ha la capacità e la fermezza di monitorarne l’effettivo impegno con l’esempio e il rinforzo positivo? Ben venga dunque l’amicizia nei luoghi di lavoro che non deve per forza diventare favoritismo.
Secondo. Il lavoro, qualsiasi lavoro ben fatto, diventa rappresentazione esteriore ed interiore di chi lo svolge e motivo dunque per un suo miglioramento personale. Il lavoro davvero nobilita. Lo si vede benissimo nel caso di Daniele. L’ho già detto, non voglio entrare troppo nei dettagli, ma potete immaginare cosa tocca pulire in un grande ospedale pediatrico di una città caotica come Roma eppure è proprio nel restituire nitidezza agli ambienti ospedalieri che l’animo del ragazzo sembra riordinarsi e da lì si innesca un circolo virtuoso che lo porta a fare ancora meglio. Allora seconda e solo apparentemente banale considerazione: in un lavoro fatto bene, anche nel più umile dei mestieri, nella sua qualità, una persona può riconoscersi e trarre soddisfazione, una felicità che i genitori, pensando ai loro figli, associano troppo spesso solo agli studi e agli impieghi che creano status a livello sociale.
Terzo. La positività di un ambiente di lavoro fatto di relazioni tra persone. Daniele inizia la sua avventura all’interno di un gruppetto di quattro persone e sarà proprio il confronto con le loro esperienze e la loro varia umanità (che si manifesta con le loro battute in romanesco, i loro scherzi, nelle ripetute pause caffè), a fargli riprendere quota. 

Attenzione a farsi sedurre dalla chimera dei lavori fuori dai luoghi deputati. Attenzione a credere che innanzitutto si debba star bene da soli: sono i legami forti - anche quelli che si costruiscono nelle otto ore di lavoro - a creare stabilità.

Daniele non si sarebbe salvato nella solitudine di un lavoro da remoto senza l'affiatamento positivo con i suoi compagni di squadra. L’uomo si compie nelle relazioni con gli altri non nell’isolamento.
Quarto e ultimo spunto di riflessione. La costruzione di un ambiente curioso verso le persone (nel senso di prendersene cura ed essere attenti agli altri, non invadenti e pettegoli), pronto a tollerarne gli errori.
Nel team cui Daniele viene assegnato, c’è un leader, Giovanni. E’ un capo capace di accettare le "cadute" anche fisiche di Daniele, per esempio quella dalla scala su cui si è inerpicato per lavare una vetrata. Riconosce le sue mancanze, ne comprende benissimo le cause, ma lo accompagna passo dopo passo nella ripresa, valorizzando i suoi barlumi di talento che per fortuna ci sono e che sbucano improvvisi come la luce da una crepa.
C’è anche un altro leader in questa storia, il grande capo, il Presidente dell’Ospedale che, pur distante poiché collocato nella posizione apicale dell’organizzazione aziendale, si rivelerà attento anche all’ultimo dei suoi operatori facendo emergere la sua vera inclinazione alla poesia.

 

Ecco allora in conclusione: amicizia, cultura del lavoro ben fatto a prescindere dal tipo di attività svolta, relazioni e legami forti, apertura all’errore come ingredienti per far sbocciare persino i soggetti più disperati. Provare per credere!

 

Buona lettura se troverete un po' di tempo e buona ripresa dopo le vacanze!

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