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- 20 Feb 2025
- 12 giorni
- Class
- Italiano
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Il ricorso dei cittadini alla carta stampata è diminuita a tal punto negli ultimi 20-30 anni che, a livello globale, solo una persona su cinque legge frequentemente giornali e riviste. La fonte primaria di informazione rimane la televisione, seguita dai social network, le piattaforme che, dall’avvento di internet a oggi, più di ogni altre hanno destabilizzato il mondo dei media tradizionali.
Questi dati, tratti dal recente report dell’Ipsos Trust misplaced? A report on the future of trust in media, possono in parte non sorprendere: il declino decennale di giornali e riviste è stato aggravato dalle nuove modalità di consumo dell’informazione, con una predominanza dei canali digitali e delle notizie fruibili gratuitamente, e dalla pandemia, che ha ulteriormente favorito i social network sia sul fronte della raccolta pubblicitaria sia su quello dell’accesso ai contenuti giornalistici.
Il report dell’Ipsos allarga però il suo sguardo a un problema ben più radicale, contenuto fin nel titolo, cioè quello della fiducia (smarrita?) dei cittadini di 29 Paesi del mondo verso i propri media. Una domanda che chiama in causa direttamente i valori fondamentali del mondo dell’informazione quali la veridicità, la qualità e il valore, anche economico, delle notizie prodotte, l’indipendenza dai centri di potere, l’affidabilità delle fonti.
In tal senso, due sono i grandi temi a cui il report dedicata particolare attenzione: quello delle fake news e quello della disponibilità o meno a pagare per accedere a un’informazione di qualità.
Una parte importante dell’alfabetizzazione mediatica in questi tempi richiede di essere in grado di distinguere il vero dal falso. A livello globale, il report sottolinea come ogni intervistato dichiari una capacità di distinguere news autentiche da quelle fake all’incirca due volte superiore rispetto ai suoi concittadini (59 vs 30 per cento). Gli estensori del report sottolineano tuttavia come questi dati possano essere soggetti all’effetto Dunning-Kruger, un bias cognitivo a causa del quale si tende a sopravvalutare le proprie abilità. I più sicuri delle proprie capacità di discernimento tra vero e falso sono i peruviani, i turchi e i sauditi (con percentuali superiori al 70 per cento), mentre cinesi e indiani sono quelli che credono meno nelle capacità dei propri concittadini. I dati per l’Italia sono in linea con la media globale: con un 57 per cento che si dichiara abile nel cogliere le differenze tra notizie vere e false, contro un 26 per cento che non pensa che tale abilità sia anche dei propri concittadini.
Il tema delle fake news ha anche un forte riscontro di natura politica sulle percezioni degli intervistati. Negli Stati Uniti, in Turchia, nel Regno Unito e India c’è infatti l’alta convinzione (con percentuali del 58, 57, 55 e 55 per cento) che il proprio Paese sia soggetto a campagne di disinformazione da parte di un Paese estero. I meno preoccupati sono gli ungheresi, i malesiani e i giapponesi. In Europa i più allarmati sono gli svedesi (56 per cento) e gli italiani (54 per cento). In Italia è molto alta anche la percentuale di chi non ha un’opinione (il 40 per cento degli intervistati), mentre altri Paesi europei come Germania, Francia, Belgio, Spagna sembrano essere meno preoccupati dall’eventualità di subire campagne esterne di fake news (le percentuali sono sempre sotto la media globale, 42, 39, 38, 43 per cento).
La stragrande maggioranza degli intervistati (83 per cento) – ma anche in questo caso è forte il peso dell’effetto Dunning-Kruger – afferma di assicurarsi che le notizie che leggono, guardano o ascoltano provengano da fonti affidabili. Con la sola esclusione del Brasile, nel blocco dei Paesi del Sud America (Colombia, Cile, Perù e Argentina) si registrano le percentuali più alte (96, 94, 93, 91 per cento), mentre i più autocritici sono i giapponesi e i sudcoreani (63 e 64 per cento). Tra i Paesi europei l’Italia sembra essere la più attenta nel valutare le fonti di informazione (85 per cento), seguita dalla Spagna, dalla Polonia e dalla Germania (83, 78, 77 per cento).
A livello globale, infine, il 67 per cento degli intervistati dichiara di leggere solo notizie a cui possono accedere gratuitamente, mentre solo il 27 per cento è disposto a farlo a pagamento. Ungheresi, russi e argentini sono coloro che accedono più ampiamente a informazioni gratuite (con percentuali rispettivamente del 79, 79 e 76 per cento), mentre cinesi, malesiani e sudafricani sono i più disposti a pagare (in tutti e tre i Paesi le percentuali superano il 50 per cento). L’Italia, assieme ad altri Paesi europei come Francia, Belgio, Spagna e Polonia, è in linea con la media globale, mentre in Germania è più radicata la tendenza a leggere notizie a pagamento (42 per cento).