Marinella: stile, passione e strategia “made in Naples”

Due generazioni dell’azienda incontrano il MISA

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“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Strano sentir citare il famoso aforisma del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa per indicare una strategia innovativa e vincente. Tanto più se a farlo è un giovane con un Master in Business Innovation al suo attivo che ha la fortuna e la responsabilità di portare avanti il successo dell’impresa di famiglia. Ma l’azienda in questo caso non è un’azienda qualsiasi e la citazione è fatta da Alessandro Marinella, quarta generazione dello storico brand E. Marinella, famoso in tutto il mondo per le sue cravatte e uno dei principali ambasciatori dell’eleganza italiana all’estero.

Classe 1995, inserito nella classifica dei 100 Under-30 più influenti d’Italia stilata ogni anno dall’edizione italiana di Forbes, Alessandro, ora brand manager dell’azienda, sa bene che ogni marchio, anche il più blasonato, deve puntare sull’innovazione per seguire le trasformazioni del mercato, dei canali distributivi e della comunicazione; ma sa anche che un marchio come Marinella può farlo solo confermando l’eccellenza del suo prodotto, dei materiali e della manifattura artigianale, nonché del suo rapporto con i clienti. In una parola, la sua tradizione secolare.

Sono cento anni – 108 per l’esattezza – di impegno e passione che sprizzano dalle parole di Alessandro, ultimo in ordine di tempo degli imprenditori della famiglia Marinella e presente, insieme al padre Maurizio, a un incontro con gli studenti e le studentesse del MISA - Master in Imprenditorialità e Strategia Aziendale di SDA Bocconi. La responsabilità dell’avvenire di un marchio di questo peso non scalfisce, anzi alimenta l’entusiasmo del giovane imprenditore che parla di “miracolo napoletano”: “La nostra azienda è indissolubilmente legata alla città. Anche oggi che abbiamo negozi a Roma, Milano, Londra, Parigi, New York e Tokyo, abbiamo scelto di tenere il nostro ‘quartier generale’ nel vecchio negozio di 20 metri quadrati nel centro di Napoli, dove accogliamo e serviamo personalmente i clienti per 12 ore al giorno con la cura e la cordialità di sempre”. Un “made in Naples” in cui la creatività e il fattore umano vanno a braccetto con la dedizione e lo spirito imprenditoriale.

“Il mio bisnonno Eugenio fondò l’azienda nel 1914 con l’intenzione di portare ‘un piccolo angolo di Inghilterra a Napoli’ e cominciò importando i prodotti iconici dell’eleganza inglese dell’epoca”, racconta Alessandro. Ma non passò molto prima che Marinella cominciasse a confezionare in casa i propri capi – camicie e cravatte – dando la propria impronta all’eleganza ‘inglese’. Da allora le cravatte Marinella sono andate “al collo dei personaggi più famosi del mondo”, come ama dire Alessandro, “dai reali di Inghilterra, a molti presidenti americani, dai grandi industriali alle star del cinema, senza dimenticare i nostri presidenti della Repubblica”. Internazionali per fama ma assolutamente italiani nella produzione: “Importiamo seta di altissima qualità stampata a mano e creiamo i nostri capi ancora a Napoli nel laboratorio storico”. Per la famiglia “delocalizzazione” è una parola destinata a rimanere sconosciuta.

La figura di un brand manager in un’azienda come questa può sembrare quasi superflua. Per Alessandro è stata una sfida da superare: “All’inizio il nostro era un ‘marketing inconsapevole’, il marchio Marinella si è costruito la sua fama spontaneamente, nel tempo. Ma oggi i tempi sono cambiati. Fino a prima del Covid non avevamo un sito di e-commerce, per scelta. Abbiamo sempre venduto in negozio o al massimo per telefono, privilegiando la relazione diretta col cliente. Ho lavorato molto per approdare ai canali digitali, ma la scelta si è rivelata vincente e non ha cambiato la nostra brand identity né la dimensione esperienziale del cliente, che è un nostro punto di forza”. E i numeri lo confermano: “In un’epoca in cui prevale lo stile casual e si usa meno la cravatta (il 40% in meno a livello mondiale), le nostre vendite sono cresciute del 7%. Se la cravatta non è più una ‘divisa’ ma diventa un oggetto del desiderio, la qualità e l’eleganza fanno la differenza”.

Un’altra sfida emergente che anche un’azienda di forte tradizione come questa deve affrontare è quella della sostenibilità. “È una questione di responsabilità per tutte le aziende, ma ha a che fare anche col valore: le nuove generazioni di consumatori sono disposte a pagare anche il 15% in più per un prodotto sostenibile”, ricorda Alessandro Marinella. E anche qui sostenibilità fa rima con innovazione. “Dall’incontro con un’azienda catanese che ha brevettato un rivoluzionario sistema per ricavare fibre tessili di alta qualità dagli scarti di lavorazione delle arance è nata la nostra linea di prodotto Orange Fiber”.

In presenza di due generazioni di imprenditori è inevitabile toccare il tema del passaggio generazionale e del futuro dell’azienda. Alla passione per l’eccellenza che ne ha decretato il successo fino a ieri si affianca oggi la strategia. “L’importante”, dice Alessandro, “è avere un obiettivo condiviso, poi ciascuno porta nel lavoro le sue attitudini, le sue competenze e il suo stile”. A prendere la parola poi è Maurizio, il padre: “Siamo riusciti a tramandare l’amore per questa attività di padre in figlio, non è una cosa scontata. In cento anni siamo cresciuti tanto, la crescita è importante ma di crescita si può anche morire se non è una crescita sana, se si perdono le radici. Anche ora che ci conoscono in tutto il mondo, io passo ancora tutta la mia giornata in negozio, conosco i clienti, rispondo al telefono. Dietro al bancone sono cresciuto, ho studiato, mi sono laureato, ma soprattutto ho capito il valore di quello che facciamo e di come lo facciamo. Alessandro, come me, ha respirato fin da piccolo quest’aria e ha imparato la stessa dedizione. Ha capito ciò che andava mantenuto intatto e ciò che andava cambiato per continuare la storia del nostro marchio. Oggi io mi considero la ‘pancia’ dell’azienda, lui è la ‘testa’, e in questo lavoro sono fondamentali entrambe”. E a chi gli chiede come ha reagito alle diverse proposte di acquisizione risponde: “Questo lavoro ci dà ancora grandi emozioni, come si fa a vendere un’emozione?”.

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