Più di una business school, una scuola per il paese

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Fin dalla sua fondazione la School of management della Bocconi si è posta l’obiettivo di stare al fianco degli individui e delle organizzazioni, pubbliche e private, per accompagnarle nel loro processo di crescita e sviluppo delle competenze durante tutto l’arco della loro vita adulta. A 50 anni dalla fondazione, nel periodo più cruciale per la ripartenza dell’Italia e dell’Europa nel post pandemia, mai la missione della scuola è stata così importante. Come ci racconta il suo direttore, Giuseppe Soda, esperto di dinamica dei network. E proprio la rete di persone resta la grande forza della scuola

di Emanuele Elli

Giuseppe Soda, che in ateneo tutti conoscono come Beppe, in Bocconi è stato studente, dottorando, ricercatore, docente, responsabile di dipartimenti. Oggi è professore di Organization Theory & Social Network Analysis e dal 2016 guida, in qualità di Dean, la SDA Bocconi, la scuola di direzione aziendale, che quest’anno celebra i suoi primi 50 anni e che, con lui al timone, ha raggiunto i risultati migliori di sempre, almeno guardando le classifiche internazionali.

Con tutti questi ranking non si sente sempre sotto esame?

Fortunatamente no, anche perché non mi attribuisco tutti questi meriti. Ho ereditato una macchina che funzionava, con un gruppo di persone, faculty e staff, straordinarie. Con questa squadra abbiamo solo premuto un po’ più sul pedale dell’innovazione per accelerare la trasformazione e raccogliere le grandi sfide globali che il lifelong learning si trova ad affrontare. E poi non tutte le classifiche sono uguali.

Quale considera il vostro “scudetto”?

Il terzo posto in Europa ottenuto nel 2019 nel “ranking dei ranking” del Financial Times. Lo considero l'apogeo della lunga marcia cominciata nel 1989, quando la SDA decise, prima in Italia, di trasformare in lingua inglese il Master in Business Administration così da poter competere sui mercati internazionali e abbracciare la globalizzazione che a quel tempo cominciava ad interessare anche il settore dell’alta educazione. A rileggere oggi quella decisione, fu davvero un punto di svolta che ci ha indotto a una trasformazione culturale, a una disciplina e a una costanza che forse altrimenti non avremmo avuto. Misurarsi con i migliori è un gioco difficile, a volte frustrante, ma induce ad avere una visione di lungo termine e a capire che i grandi risultati arrivano con la costanza e la determinazione. Oggi, anche grazie al nuovo campus, siamo impegnati a potenziare ancor più la reputazione internazionale della scuola, consapevoli che più forte è la SDA più forte è la Bocconi tutta.

Come può rispondere oggi una scuola di management alle esigenze di upskilling o di reskilling che emergono in tutti i settori?

La SDA fu immaginata e fondata da un gruppo di giovanissimi professori con l’obiettivo di dare all’Italia, al mondo produttivo, alle imprese e alle istituzioni un luogo in cui formare una classe capace di guidare lo sviluppo e di affrontare le grandi sfide della società e dell’economia. Nacque come una School of management e non una Business School. È un indirizzo preciso, significa che la nostra missione è formare buon management anche per il pubblico e per tutti gli ambiti nei quali occorra una classe dirigente aperta e competente. Oggi, di fronte alle sfide della ripartenza, questa responsabilità si fa sentire in modo ancora più forte e ci sprona a fare della SDA un’esperienza davvero trasformativa, per le persone come per le organizzazioni che si rivolgono a noi.

Al di là delle classifiche, quali sono i segnali, secondo lei, del buon funzionamento di una scuola di management?

Una scuola di management compete su molti mercati, ci sono i corsi custom (quelli realizzati ad hoc per imprese e istituzioni), gli open, i master, la ricerca applicata. Difficile dunque che ci sia un solo dato significativo; è come essere al comando di un aereo, bisogna tenere d’occhio molti parametri, la quota, la velocità, la rotta, l’inclinazione, e tutti devono essere corretti con prontezza perché i nostri mercati cambiano continuamente. Al di là degli indicatori, ci sono però dei momenti che, sul piano simbolico, hanno un grande valore. Per fare un esempio, l’altro giorno alla fine della cerimonia di Graduation della classe 2017 dell’Executive MBA, un nostro alumnus mi ha detto: “ringrazio la SDA per avermi aiutato a compiere la trasformazione professionale e personale di cui sentivo il bisogno”. Ecco, questa frase da senso al nostro lavoro molto più che tutti i ranking e gli indicatori con cui siamo misurati tutti i giorni perché racchiude il senso della missione della scuola: guidare la trasformazione professionale e personale per incidere sul futuro.

Come è possibile rendere personale e unica l’offerta formativa di una business school?

All’interno di ogni grande scuola di management ci sono specifiche tradizioni di ricerca e insegnamento che possono rappresentare dei punti di differenziazione. Noi in SDA restiamo generalisti e questo è un punto di forza. Dal punto di vista delle discipline possiamo far leva sul sistema e sul capitale umano Bocconi e sulle sue recenti evoluzioni, per esempio nel campo della scienza dei dati. Abbiamo anche dei punti di eccellenza e di orgoglio, per esempio i programmi di sviluppo manageriale finalizzati a irrobustire le PMI, ma anche quelli per il government pubblico e la sanità. Ci sono poi vocazioni legate più strettamente all’Italia, come la moda, il design e il lusso, ma anche tutta la nostra cultura e le competenze in ambito manufatturiero.

Lei si definisce prima di tutto un ricercatore, che ruolo riveste la ricerca all’interno di una scuola di direzione aziendale?

Io dico sempre che la nostra competenza distintiva non è quella di diffondere conoscenza ma di produrla. È un fatto quasi ontologico: un docente deve anzitutto dedicarsi alla scoperta e poi al trasferimento della conoscenza attraverso l’insegnamento. La creazione di nuova conoscenza, risultato dell’attività di ricerca, è di per sé un atto deviante: l’esercizio di un pensiero alternativo a quello dominante e irrobustito dal rigore nel metodo. Così lo sforzo innovativo nella conoscenza manageriale è sempre quello di andare oltre, di cercare le risposte alla complessità e non di ridurla necessariamente a ricetta fondata sul comune sentire o sull’esperienza passata. Allo stesso tempo, la ricerca svolta in SDA e trasmessa nelle sue aule di formazione è stata sempre immaginata come “influente”, focalizzata su temi rilevanti, sviluppata con il rigore e la qualità tipica delle discipline scientifiche, ma al contempo in grado di produrre conoscenza ad alto impatto sulle comunità di riferimento.

Tra i bonus varati dai governi per far ripartire i consumi non c’è nulla che riguardi la formazione. Come giudica questa mancanza?

La parola formazione nel PNRR è ripetuta ben 206 volte. Nel piano, la formazione rappresenta la principale leva di molte politiche che saranno centrali per la ripartenza come il Piano Nazionale Nuove Competenze. Manca però un’incentivazione specifica per spingere imprese e istituzioni a utilizzare la formazione come acceleratore per la competitività. Tuttavia, mi sembra che l’importanza strategica del capitale umano sia ben compresa e, al di là della leva fiscale, nell’attuazione del PNRR sarà necessario un piano concreto per il reskilling, l’upskilling e la trasformazione digitale del nostro sistema produttivo e della Pubblica Amministrazione.

Lei è considerato tra i principali esperti di Dinamica dei Network, come definirebbe in questo senso l’esperienza in una scuola come la Sda?

Le istituzioni universitarie, le Scuole, sono sistemi debolmente connessi, nel senso che la loro essenza è proprio quella di una rete di connessioni e interazioni, piuttosto che quella di organizzazioni verticali e gerarchiche. La produzione di conoscenza si fonda in larga parte sulla rete di relazioni di scambio e condivisione di conoscenze e idee in cui tutti noi siamo immersi. Sebbene fondata da leader molto carismatici, come Claudio Dematté, la SDA è sempre stata una grande di rete di persone molto diverse tra loro, alcuni di derivazione accademica, altre più legate alla pratica manageriale. Ma questa “diversità connessa” è stata ed è una grande forza. La mia responsabilità come Dean è proprio quello di rendere questa rete sempre più dinamica, moltiplicando le occasioni di scambio e interazione per poter essere più veloci e innovativi nel rispondere a un contesto, quello dell’alta educazione, in profonda trasformazione.



SDA Bocconi School of Management

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