Mai come oggi, il brand e la catena di fornitura sono collegati l’uno all’altra. L’evoluzione del primo da simbolo culturale ad agente del cambiamento sociale coinvolge direttamente la supply chain, sempre più esposta all’attenzione degli stakeholder interessati a ottenere informazioni sulle aziende. La catena di fornitura diventa in tal modo una vera e propria estensione del marchio e uno strumento indispensabile che le aziende dovrebbero adoperare per una narrazione di sé unica e originale.
Abbiamo chiesto a Stefania Saviolo di raccontarci alcuni degli aspetti centrali del suo ultimo lavoro, The Branded Supply Chain. A New Perspective in Sustainable Branding, curato assieme a Gianmario Borney.
Perché il brand e la propria catena di fornitura sono oggi così collegati tra di loro tanto da aver bisogno di una trattazione comune?
Il brand è reputazione e lo è sempre di più oggi in un contesto dove tutti gli stakeholder chiedono autenticità, rilevanza e trasparenza. Questa reputazione è il risultato di come il brand si presenta ma anche di come questo opera «dietro le quinte» nel relazionarsi con i fornitori, nel disegnare i processi produttivi, nel promuovere il benessere dei territori e delle comunità con cui si relaziona.
Nel libro una grande attenzione è dedicata ai criteri ESG, al tema della sostenibilità e al purpose aziendale. Ci può raccontare qualcosa in tal senso?
Condividiamo la prospettiva secondo cui un brand non è solo una promessa di valore a un cliente finale ma è ispirato da un purpose più ampio che definisce come l’azienda intende creare e distribuire valore per tutti gli stakeholder. All’interno del proprio purpose ogni brand troverà il modo per essere sostenibile, cioè per minimizzare gli impatti negativi e massimizzare quelli positivi su ambiente, persone, modalità di creazione e distribuzione del valore, cioè su quelli che sono i criteri ESG.
Un capitolo del libro è dedicato al tema della trasparenza. In che modo questo è essenziale per la supply chain?
La trasparenza di una catena di fornitura implica visibilità e disclosure, cioè capacità di tracciare a monte tutta la catena di fornitura e la successiva volontà di comunicare i risultati di questo tracciamento ai vari pubblici aziendali. Tracciare i passaggi a monte non è sempre facile così come non tutte le aziende sono disponibili a raccontare il proprio «dietro le quinte». Se da un lato è difficile avere supply chain completamente trasparenti, è comunque possibile avviare un processo che nel libro abbiamo definito di «care & check» per sviluppare maggiore consapevolezza e offrire una narrazione su un’area, quella della supply chain, rimasta spesso oscura e poco considerata in termini di comunicazione.
Gli ultimi capitoli sono dedicati a due eccellenze del made in Italy: Salvatore Ferragamo e Loro Piana. Quali sono gli aspetti più interessanti di questi casi aziendali?
Le due aziende esprimono due modelli di supply chain diversi ma entrambi eccellenti e tipici del made in Italy: l’integrazione verticale fino alla materia prima nel caso Loro Piana; una catena di fornitura in buona parte esternalizzata (in Italia) ma basata su relazioni forti e di lungo periodo nel caso Ferragamo. Queste aziende hanno saputo creare valore per fornitori e territori, costruendo una reputazione di marca forte e sostenibile che pone le persone al centro.
SDA Bocconi School of Management.