F. Acerbis intervistato da M. Mosconi sull’impatto di BEPS Action 7 sui gruppi internazionali

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Intervista a Fabrizio Acerbis a cura di Marco Mosconi, SDA Fellow di Amministrazione, Controllo, Finanza Aziendale e Immobiliare.

Non è stato facile organizzare l’intervista con Fabrizio Acerbis, managing partner di TLS, lo Studio che rappresenta in Italia il network PwC Tax and Legal Services. La riservatezza – ci dice – dovrebbe essere la cifra degli studi professionali, in maniera direttamente proporzionale alla loro dimensione e influenza. E se lo sostiene uno che siede al vertice di uno studio che fa parte del ristrettissimo gruppo dei top 100+ – i pochissimi studi legali e tributari italiani che superano i 100 milioni di fatturato annuo – e rappresenta in Italia una realtà leader mondiale del settore con quasi 10 miliardi di dollari di fatturato all’anno, c’è da credergli. Cogliamo l’occasione preziosa, allora, per parlare con lui di scenari post BEPS.

Leggiamo sulla stampa economica specializzata che negli ultimi decenni la maggior parte dei gruppi multinazionali avrebbe portato a termine una serie di riorganizzazioni, passando da modelli operativi decentralizzati, ove numerose funzioni erano replicate nei diversi Stati, a modelli in cui alcune funzioni sono centralizzate in un solo paese per una regione o a livello globale. Nella sua esperienza professionale, ha avuto occasione di constatare la reale esistenza e consistenza di tale fenomeno?

Le operazioni di riorganizzazione aziendale degli ultimi decenni, guidate da una review della tradizionale catena del valore, in effetti si sono spesso caratterizzate per il passaggio da modelli decentralizzati a modelli che prevedono che determinate funzioni core per il business vengano svolte da un cosiddetto principal. Sono diverse le ragioni di questo processo, basti pensare ai vantaggi in termini di sinergie realizzabili con le conseguenti economie di scopo e di scala o al cosiddetto “efficientamento” dei costi di struttura e dei processi aziendali. Quello che è emerso chiaramente negli ultimi anni, direi in tutti Paesi ma con un’ovvia prevalenza laddove le funzioni sono “uscite” dalla singola giurisdizione, è la necessità di presidiare tali cambiamenti con prudenza, valutando il trade off costi/benefici e coadiuvando tali valutazioni con uno studio di fattibilità che tenga conto non solo degli obiettivi del business ma anche degli eventuali rischi fiscali connessi all’operazione di restructuring. Al riguardo, anche per effetto dei recenti lavori dell’OCSE (e in particolare i lavori BEPS), riceviamo sempre maggiori richieste di assistenza nella valutazione degli impatti fiscali derivanti da un cambio di modello di business (es. da un modello decentralizzato a centralizzato) e degli eventuali rischi connessi. Non raramente queste valutazioni vengono chieste anche rispetto ad operazioni già realizzate in passato.

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Il passaggio a un modello centralizzato comporta inevitabilmente l’incremento dei flussi di transazioni infragruppo transnazionali. In letteratura si afferma che spesso l’introduzione di tali modelli ha avuto un impatto negativo sulla redditività delle società residenti nei paesi ai quali tali funzioni sono state tolte o significativamente ridotte. Nella sua esperienza professionale ha effettivamente riscontrato un significativo impatto sulla redditività delle società che hanno “subito” tali processi di riorganizzazione? E da un punto di vista occupazionale?

Come definita dalle Linee Guida OCSE la riorganizzazione aziendale e in particolare la centralizzazione delle funzioni e dei rischi potrebbe comportare una diversa distribuzione dei profitti tra le società del gruppo (es. spostamento del profitto verso il Paese in cui tali funzioni vengono riallocate). Tale aspetto e le implicazioni che ne derivano vengono di regola valutati attentamente da parte dei gruppi multinazionali in quanto il cosiddetto “stripping of functions”, laddove comporti una perdita di redditività per una o più delle società coinvolte (dovuta ad esempio alla risoluzione o rinegoziazione di contratti o semplicemente alla chiusura di linee di attività o al trasferimento di assets), potrebbe dover essere compensata, secondo il principio dell’arm’s lenght (es. mediante pagamento di un indennizzo o la cosiddetta exit tax). Infatti la riallocazione di funzioni e/o rischi tra le diverse entità coinvolte nella riorganizzazione aziendale può (e di regola deve) comportare una diversa allocazione dei profili di remunerazione nell’ambito di gruppo.
Venendo alla sua seconda domanda, la riallocazione cross-border di funzioni e rischi da parte di un’impresa multinazionale quasi sempre ha un impatto in termini di occupazione la cui entità varia a seconda dei casi. È però importante dire che per il singolo Paese ciò può rappresentare una minaccia ma anche un’opportunità, in base a dove la riorganizzazione porta ad accentrare le funzioni. Come è noto, siamo in anni di crescente cooperazione fra Stati per il contrasto all’evasione e alle pratiche aggressive, ma anche di crescente tax competition, cioè di guerra fra i singoli sistemi-Paese per creare le condizioni migliori per attrarre investimenti e attraverso di essi generare posti di lavoro. A questa competizione partecipa anche l’Italia e deve partecipare con sempre maggiore vigore e lucidità.

La crescente diffusione di tali strategie di riorganizzazione dei gruppi è stata progressivamente interpretata dalle autorità fiscali come una manovra finalizzata prevalentemente alla riduzione delle basi imponibili. Non stupisce pertanto che nell’ambito del progetto BEPS siano presenti diverse contromisure volte ad arginare tale fenomeno. Tra i 15 Action Plan BEPS, risulta di particolare rilevanza per la tematica in esame l’Action Plan n. 7 (Preventing the Artificial Avoidance of Permanent Establishment Status). Secondo lei vi è una correlazione tra queste strategie di riorganizzazione dei gruppi e l’implementazione di contromisure da parte delle autorità fiscali dei Paesi che hanno “subito” tali fenomeni? Quali sono le misure già adottate dai verificatori fiscali che ha avuto occasione di riscontrare nella sua esperienza? E ritiene che l’Action 7 del progetto BEPS si inserisca in tale contesto?

Nel tempo l’attenzione delle autorità fiscali nei confronti delle operazioni di riorganizzazione aziendale è grandemente cresciuta così come le loro tecniche di indagine e di accertamento. A ciò ha contribuito anche il lavoro dell’OCSE sul business restructuring culminato nel 2010 con l’introduzione nelle “Guidelines” in materia di prezzi di trasferimento del “Chapter IX” appositamente dedicato a tali operazioni. Molte delle tecniche di accertamento oggi utilizzate dai verificatori, infatti, sono ispirate ai principi contenuti in questo capitolo delle Linee guida.
Discorso a parte merita il tema della cosiddetta “stabile organizzazione occulta”, così battezzato dalla Corte di Cassazione nel 2002 con la sentenza Philip Morris, divenuta famosa in tutto il mondo a causa delle posizioni assunte dalla Suprema Corte italiana e ritenute non in linea con gli standard internazionali.
Per quanto riguarda il Progetto BEPS è necessario premettere che in termini generali, al di là delle specifiche actions, esso è finalizzato ad assicurare che i profitti siano tassati ove si svolgono effettivamente le attività economiche che li originano (è il principio “aligning taxation with value creation”). Il tutto cementato dalla trasparenza informativa derivante dalla imminente implementazione a livello globale del Country by Country reporting (CbCR) che fornirà alle amministrazioni fiscali un potente strumento di analisi.
L’azione 7 riguarda specificamente i presupposti di esistenza della stabile organizzazione (requisito necessario per la tassazione di imprese estere da parte dello Stato) sia per quanto riguarda i processi di vendita (agente dipendente) che i cosiddetti processi “brick and mortar” (stabile organizzazione materiale) e, in sostanza, ne allarga l’ambito di applicazione. Sul punto, tuttavia, anche in base alla giurisprudenza italiana prima citata, l’impatto in Italia potrebbe essere limitato. Se mi permette la battuta, pare che sia il mondo ad “italianizzarsi” in merito, in quanto alcune delle soluzioni proposte dall’OCSE erano già state anticipate dalla Corte di Cassazione.

È possibile identificare un applicazione dell’Action 7 BEPS in tali contesti ma è in particolare l’Action 9 ad essere interamente dedicata ai fenomeni di riorganizzazione aziendale.
Alla luce dell’Action 7, ritiene che l’Agenzia delle Entrate muterà in qualche modo il suo approccio nelle verifiche fiscali in capo alle società facenti parte di gruppi multinazionali? Se sì, in che modo?

In questi ultimi anni, come ho accennato prima, l’Agenzia delle Entrate già applicava le soluzioni BEPS in tema di stabile organizzazione e pertanto l’impatto dell’Azione 7 potrebbe essere di rifinitura per quanto riguarda l’esistenza della stabile organizzazione, mentre l’impatto del BEPS potrebbe riguardare la determinazione del reddito ad essa attribuibile. Inoltre, se è vero che le riorganizzazioni aziendali, nel caso in cui comportino uno spostamento dei profitti al di fuori dei confini nazionali, sono già soggette ad un’approfondita analisi da parte dell’Agenzia delle Entrate, c’è da attendersi che, in un mondo post-BEPS, siano sempre più analizzate sotto il profilo di economic substance.
In particolare le Azioni 8, 9 e 10 sui prezzi di trasferimento si basano sull’effettiva condotta delle parti, sulla proprietà sostanziale dei beni e sulle effettive attività di assunzione e gestione dei rischi (“real substance”) piuttosto che sulla forma contrattuale (“paper profits”).

Ha già assistito ad operazioni di ulteriori riorganizzazione finalizzate a ridurre il rischio di accertamenti fiscali influenzate dai contenuti del progetto BEPS in generale e dall’Action 7 in particolare? Che tipo di riorganizzazioni sono state fatte o sono in corso di svolgimento? Le sembrano corrette, idonee a ridurre il rischio?

Come PwC TLS abbiamo assistito numerosi gruppi multinazionali che, dopo aver deliberato un progetto di riorganizzazione aziendale, hanno richiesto assistenza per valutare i rischi fiscali connessi alle operazioni di riorganizzazione. Ci aspettiamo che tali attività vengano sempre di più richieste alla luce dei principi delineati nel BEPS dall’OECD. e che i principi BEPS e la loro declinazione da parte delle autorità fiscali al caso specifico influenzeranno sempre di più le scelte organizzative dei gruppi multinazionali.

Ritiene che le società appartenenti a gruppi multinazionali debbano porre in essere delle “contromisure” e, se sì, quali? Ci dia qualche idea o suggerimento.

Suggeriamo ai gruppi multinazionali che intendano attuare riorganizzazioni aziendali di apportare modifiche al proprio modello di business e organizzativo che effettivamente siano riscontrabili nella realtà aziendale. In altri termini, consigliamo vivamente di basare le operazioni sulla real substance di cui ho parlato prima.
Inoltre, suggeriamo di redigere un’appropriata documentazione a supporto del processo di riorganizzazione, che ne indichi chiaramente le motivazioni commerciali e di business, oltre alla descrizione di tutti i mutamenti in termini di funzioni, asset e rischi, pianificati (in via preventiva) e effettivamente intervenuti (post-riorganizzazione).
Infine, spesso consigliamo di aprire anticipatamente un dialogo con l’amministrazione finanziaria, anche degli altri Paesi, per condividere le soluzioni ed evitare future contestazioni. Si pensi ai casi relativi alla sussistenza o meno di un stabile organizzazione in territorio italiano (e la possibile allocazione di redditi a questa) o al tema della valorizzazione del trasferimento di funzioni, asset e rischi. Riprendendo un tema già toccato, va da sé che queste discussioni sono assai più semplici nei Paesi di localizzazione delle nuove funzioni piuttosto che nei Paesi dove si realizza lo “stripping of functions”.

In conclusione, dall’alto della sua esperienza, quali scenari evolutivi prevede su queste tematiche?

Gli scenari evolutivi in Italia dipenderanno anche dalle scelte di politica fiscale che verranno compiute nel prossimo futuro. Mi riferisco in particolare al tema della competitività su cui potrebbe impattare l’integrale implementazione delle misure BEPS, con alterazione delle regole del gioco fra Paesi “BEPS compliant” e Paesi con approcci più tolleranti. Anche fra Paesi “BEPS compliant” la competizione avverrà su basi diverse rispetto al passato.
Al di là di questo, un tema fondamentale attiene al necessario miglioramento degli strumenti per la risoluzione delle controversie internazionali in campo fiscale, in assenza del quale molti prevedono un incremento della doppia imposizione.
Infine penso che anche in Italia siano maturi i tempi perché la funzione fiscale dei gruppi faccia un salto in avanti passando da un atteggiamento di mero adempimento dell’obbligo fiscale ad uno di gestione consapevole e proattiva del rischio fiscale, possibilmente in costante dialogo con l’Agenzia della Entrate. Alla base di questo mi aspetto un crescente ricorso alla “tax technology” per la raccolta, l’elaborazione e l’analisi delle informazioni, vera materia prima per una efficiente gestione dei processi fiscali d’azienda e dei relativi rischi. Molti gruppi con presenza multinazionale hanno avviato, alcuni da tempo, questo processo, per quanto certamente faticoso. Altri seguiranno.

fine cassetto

SDA Bocconi School of Management

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