Il lavoro dopo il Coronavirus

REInnovation Lab Webinar Series - Tito Boeri

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“La gestione dell’emergenza causata dal Coronavirus è la storia di due curve, quella del contagio e quella del lavoro. Siamo ora concentrati completamente sulla prima, ma dovremmo pensare con più intensità alla seconda. Il Covid19 non è “il grande livellatore” che aumenta le uguaglianze sociali, anzi, colpisce soprattutto i più deboli. Nel contesto dell’ulteriore impulso all’applicazione della tecnologia al mercato del lavoro, dovremo cercare di proteggere i lavoratori e non i posti di lavoro, con un uso più intensivo del lavoro agile” questa l’estrema sintesi del pensiero che il Professor Tito Boeri, ordinario presso il Dipartimento di Economia dell’Università Bocconi ed ex Presidente dell’INPS, con un Ph.D. in Economics da New York University, ha espresso nel suo intervento alla REInnovation Lab Webinar Series, una serie di Forum finalizzata a comprendere le implicazioni economiche di breve e medio periodo della pandemia.

 

Il REInnovation Lab, una piattaforma di ricerca e formazione nata per iniziativa di SDA Bocconi School of Management e Assoimmobiliare, finanziata dai principali player internazionali dell’industria del real estate come BNP Paribas RE Italy, CBRE, Colliers International, Cushman&Wakefield, Deloitte, Duff&Phelps, Generali Real Estate, GVA Redilco, JLL, PWC, e Sigest, ha l’obiettivo di contribuire all’evoluzione del settore creando un «laboratorio» di conoscenza indipendente in grado di rielaborare i dati primari e le esperienze dei diversi player dell’industry trasformandoli in strumenti operativi. La serie su “Gli impatti della pandemia nel breve e medio periodo” ha l’obiettivo di raccogliere e dibattere “in tempo reale” le opinioni di accademici, policy-maker e Chief in merito alle dinamiche e alle interrelazioni dal punto di vista economico, strategico e finanziario, con particolare focus sugli impatti nel real estate. La formula di discussione moderata con l’obiettivo di trattare precisi pilastri dello specifico special seminar, prevede una struttura fortemente interattiva di dibattito.

 

Sollecitato da Andrea Beltratti, Full Professor nel Dipartimento di Finanza dell’Università Bocconi, Ph.D. a Yale, e Direttore assieme ad Alessia Bezzecchi, Associate Professor of Practice Corporate Finance e Real Estate SDA Bocconi School of Management, del REInnovation Lab, il Professore ha presentato argomenti e risposto a varie domande dei partecipanti sulle trasformazioni macroeconomiche e settoriali scatenate, o forse semplicemente enfatizzate, dalla crisi del Covid19 e sulle loro potenziali implicazioni per il settore del real estate e per il nostro paese. “La crisi economica è molto rilevante e in Italia colpisce un paese già provato dal punto di vista dei fondamentali. Il mercato del lavoro è lo snodo cruciale per consentire alle aziende e ai lavoratori di produrre le risorse che in futuro saranno necessarie per ripagare i debiti che si stanno creando per la gestione dell’emergenza”. In effetti l’economia italiana ormai da vent’anni ha uno dei tassi di crescita medi più bassi al mondo, 0,33% medio annuo dal 1999 al 2019, e potenzialmente una discesa del Prodotto Interno Lordo del 10% potrebbe riportare il paese indietro di 25 anni, annullando completamente i benefici legati all’entrata nell’area dell’euro. È quindi urgente discutere e comprendere qualsiasi leva che possa essere utilizzata per far ripartire il tasso di crescita, in quanto se l’economia italiana continuasse a crescere allo 0,33% medio annuo in futuro si dovrebbe aspettare sino al 2032 solo per recuperare le perdite del Covid19.

 

La storia di due curve

 

“Questa prima parte del 2020 è per l’Italia la storia di due curve, quella dei malati e quella dei lavoratori. La prima curva descrive i contagi da coronavirus. La seconda curva descrive la distruzione di posti di lavoro.” spiega Boeri. “Le misure di distanziamento sociale hanno avuto l’obiettivo di impedire che il numero di malati fosse incompatibile con le possibilità di ricezione degli ospedali italiani, in particolare per quello che riguarda i reparti di terapia intensiva. Le decisioni sono state prese sulla base di modelli epidemiologici applicati a condizioni di estrema incertezza. Ci siamo riusciti? I dati sono favorevoli. Siamo riusciti ad appiattire la curva dei contagi evitando il worse case scenario: il numero dei posti in terapia intensiva è stato sufficiente, anche grazie ad alcune misure di emergenza che hanno implicato la riconversione di reparti ospedalieri originariamente dedicati ad altri problemi alla cura dei malati di Covid19. È interessante notare che le misure prese, sintetizzate nel temine di distanziamento sociale, sono state molto simili a quelle prese un secolo fa durante l’epidemia spagnola. La seconda curva diventa adesso più importante. Come sintetizzato nella figura successiva, senza politiche anticicliche il numero dei posti di lavoro persi potrebbe essere molto rilevante, e possiamo sperare che la politica economica sia in grado di attenuare le perdite:

 

 

La sfida economica è tanto difficile quanto quella sanitaria. Dobbiamo anche in questo caso riuscire ad appiattire la curva. Le imprese stanno riducendo il numero di assunzioni, e sfruttano tutti i margini di flessibilità associati ai contratti a tempo determinato per contenere i costi a fronte della riduzione della domanda. Il lockdown ha avuto un impatto più forte in Italia che altrove. I dati provenienti dal “progetto Repeat” (REpresentations, PErceptions, and ATtitudes on the Covid-19) mostrano che in Italia il 46% di coloro che erano occupati prima del lockdown ha smesso di lavorare dal 9 marzo, data di inizio del lockdown. In altri paesi europei i dati sono molto inferiori: 29% in Austria, 28% in Francia, 23% in Germania, 32% nel Regno Unito e 38% negli Stati Uniti. Coerentemente con questa evidenza, in Italia solo il 18% continua a lavorare dal posto di lavoro, mentre le percentuali per gli altri paesi sono 33% per l’Austria, 38% per la Francia, 53% per la Germania, 22% nel Regno Unito e 28% negli Stati Uniti.“

 

Chi soffre di più?

 

Covid-19 non è un equalizzatore sociale. Come spesso accade in questi casi, a soffrire maggiormente sono le persone con basso reddito che per lavorare sono costrette a spostarsi su mezzi pubblici e che hanno frequenti contatti con altre persone sia sul lavoro che a casa e che dunque sono a maggior rischio sia di contagio che di non poter conseguire alcun reddito durante il lockdown. Ugualmente colpite sono spesso le persone con bassa 4 istruzione, che difficilmente possono lavorare da casa. Le distruzioni di posti di lavoro si sono concentrate sin qui su lavoratori con contratti a tempo determinato. Hanno sofferto anche gli operai, costretti alla Cassa Integrazione (che per molti significa un reddito netto di 800 euro al mese) perché il lavoro alla catena di montaggio non garantiva condizioni di sicurezza. Altri elementi rilevanti sono meno esplorati, ad esempio le condizioni abitative sfavorevoli: la crescente richiesta di smart working è difficile da soddisfare per chi abita in appartamenti piccoli ed affollati, e deve magari accudire persone malate che vivono nello stesso spazio.”

 

Il moderatore elabora su questa importante considerazione per formulare una domanda: “Quest’ultima osservazione è molto importante per chi si occupa di real estate, come le aziende Partner Lab. Tali aziende si trovano infatti ad intercettare la domanda di imprese e consumatori che desiderano soluzioni per le loro necessità abitative. La mia impressione è che le condizioni abitative siano un elemento di difficoltà a sua volta eterogeneo, che non colpisce allo stesso modo tutte le persone in età lavorativa, ma può penalizzare ulteriormente categorie già discriminate. Pensiamo ad esempio alle donne, che in Italia più che in altri paesi, dedicano una parte rilevante del loro tempo alla cura dei figli, sia a causa dell’impostazione culturale di molte famiglie italiane sia a causa dell’assenza di servizi pubblici che consentano alle donne di mantenere una attività professionale indipendente. In questi due mesi, molto spesso le donne in casa hanno dovuto occuparsi dei loro figli più degli uomini e hanno quindi potuto seguire con maggiore difficoltà di altri le attività in formato smart working. Aldilà di chi sia stato più o meno colpito, questa considerazione è importante per le aziende di real estate e invita due considerazioni. La prima riguarda la possibilità che le misure di policy atte a contenere gli effetti peggiori della crisi possano fare riferimento proprio alla condizione abitativa, ad esempio dirottando maggior risorse verso chi si trova in una situazione di oggettiva difficoltà. La seconda, di particolare interesse per le aziende impegnate in progetti di sviluppo immobiliare, è relativa alle nuove modalità di progettare e realizzare gli uffici e le case del futuro. Forse ci vorranno case più grandi, e un numero minore di uffici caratterizzati da dimensioni più piccole o almeno adeguati alle esigenze di frequente rotazione degli impiegati. Ritieni che queste considerazioni possano essere utili per il dibattito?”

 

“Assolutamente si” risponde il Professor Boeri. “Occorre considerare anche la condizione abitativa tra gli elementi rilevanti per le scelte di policy, per aiutare la produttività di chi lavora da spazi poco adeguati. E soprattutto, occorre pensare ad un uso originale dello spazio esistente, ad esempio creando aree di uso comune dedicato al lavoro, il più possibile vicino a casa. Questo avrebbe l’ulteriore beneficio di ridurre gli spostamenti e quindi il traffico, e di aiutare a contenere l’inquinamento generato dai trasporti. Inoltre, forse non è molto noto che una parte rilevante degli infortuni sul lavoro avvengono proprio nelle fasi di trasferimento tra l’abitazione e il posto di lavoro, e quindi la riduzione dei viaggi avrebbe anche effetti benefici sulla mortalità.”

 

I cambiamenti strutturali nel mercato del lavoro

 

“Lo smart working è un elemento sempre più importante nelle nostre economie” prosegue il Professor Boeri “Uno studio condotto in un team di ricerca di cui faccio parte ha stimato le percentuali di lavori che possono essere più facilmente condotti in modalità agile. L’Italia purtroppo è un fanalino di coda, con il 23,95%, preceduta da Spagna con il 25,44% Francia con il 28,22%, Germania con il 28,7%, Svezia con il 30,74% e Regno Unito con il 31,38%. Inoltre, la percentuale di posti di lavoro meno esposti al Covid19 sono in Italia il 31,27% del totale degli occupati se si usa una definizione stringente di possibilità di spostamento ma assenza di contatto personale e il 5 46,23% se si usa una definizione più accomodante che lascia aperta la possibilità a contatti sporadici. In ogni caso, più del 50% dei posti di lavoro è a rischio in Italia, ma anche negli altri paesi precedentemente citati.”

 

“Cosa fanno le aziende in questa situazione?”. “Ci può aiutare una indagine di Astra Ricerche per Manager Italia. Il 60% dei manager pensano che la situazione pandemica richieda una intensificazione degli investimenti in nuove tecnologie, soprattutto digitalizzazione e automazione, con associata necessità di migliorare la formazione digital della forza lavoro. I manager si rendono conto del grande ammontare di investimenti che sarà necessario sia per rendere i posti di lavoro più sicuri sia per migliorare la produttività che, tra l’altro, dovrà essere misurata con attenzione e in modalità nuove rispetto al passato.”

 

“Puoi elaborare meglio questo punto per favore?” chiede Beltratti. “Molte persone temono che il monitoraggio della produttività possa comportare una perdita di privacy, in uno scenario simile a quello ipotizzato dal Grande Fratello nel famoso romanzo 1984 di George Orwell”.

 

“Occorre prestare attenzione a questo aspetto” risponde Boeri “Non bisogna confondere il telelavoro con lo smart working. In quest’ultimo caso la misurazione della performance avviene tramite la realizzazione di obiettivi che vengono dati ex ante, e che lasciano la possibilità di lavorare quando si vuole nel corso della giornata e della settimana. Inoltre, esiste la possibilità di verifica dei risultati collettivi del lavoro, non solo di quelli individuali”. Il moderatore nota che in effetti si tratta di una tecnica spesso usata nei grandi gruppi industriali e finanziari in cui la determinazione degli incentivi pagati al vertice aziendale dipende dal risultato collettivo, al fine di perseguire il duplice obiettivo di assegnare responsabilità individuali e un giusto senso di competizione tra unità, ma allo stesso tempo di stimolare il senso di appartenenza aziendale e la collaborazione.”

 

Un’ultima sollecitazione viene proposta dal moderatore: “In passato l’Italia ha purtroppo mostrato un insufficiente grado di flessibilità, specialmente nelle situazioni di cambiamento strutturale che richiedono la disponibilità e la capacità di cambiare azienda e anche mansione. Inoltre, il quadro macroeconomico non aiuta. È più facile per un ingegnere californiano cambiare mansione ed azienda piuttosto che per un lavoratore italiano, probabilmente impiegato in un settore a minore contenuto di conoscenza e inserito in un contesto di bassa crescita economica. Se tu potessi cambiare una cosa, da dove partiresti’” Il Professor Boeri risponde sorridendo e dicendo che si tratta di una domanda che presuppone una risposta lunga. Ma se dovesse cambiare una cosa, partirebbe probabilmente da uno snellimento della macchina statale.

 

Beltratti conclude il webinar, ringraziando Tito Boeri per avere portato un contributo di grande rilievo alla webinar series sulla pandemia. Riflettere sui trend di cambiamento strutturale accelerati dalla pandemia è un compito cruciale anche per determinare le nuove strategie delle aziende attive nel real estate.

 

Parte integrante del Real Estate Innovation Lab è la REInnovation Academy, programma di formazione manageriale ed economico-finanziaria per creare professionisti junior in grado di essere direttamente inseriti dalle Aziende Partner del progetto didattico.

 

SDA Bocconi School of Management

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