La crescita dei distretti industriali negli Stati Uniti

REInnovation Lab Webinar Series - Enrico Moretti

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“I distretti industriali sono un fattore cruciale di crescita economica negli Stati Uniti e in altri paesi. I distretti italiani sono un esempio studiato dall’accademia internazionale e rappresentano un ottimo esempio dei vantaggi forniti dalla produzione a rete interconnessa. Il punto debole di tanti distretti italiani è però costituito dalla ridotta dimensione di molte imprese, che impedisce serie attività di ricerca e sviluppo e rende più difficile l’entrata nei mercati a maggior crescita. Sarebbe però sbagliato pensare di importare senza adattamenti il modello americano all’Italia, dato che ogni paese ha le sue peculiarità”. Questa la riflessione che Enrico Moretti, Ph.D. in Economia a UC Berkeley e Michael Peevey and Donald Vial Professor of Economics presso la stessa Università ha lanciato ai partecipanti alla REInnovation Lab Webinar Series, una serie di Forum finalizzata a comprendere le implicazioni economiche di breve e medio periodo della pandemia. 

Il REInnovation Lab, una piattaforma di ricerca e formazione nata per iniziativa di SDA Bocconi School of Management e Assoimmobiliare, finanziata dai principali player internazionali dell’industria del real estate come BNP Paribas RE Italy, CBRE, Colliers International, Cushman&Wakefield, Deloitte, Duff&Phelps, Generali Real Estate, GVA Redilco, JLL, PWC, e Sigest, ha l’obiettivo di contribuire all’evoluzione del settore creando un «laboratorio» di conoscenza indipendente in grado di rielaborare i dati primari e le esperienze dei diversi player dell’industria trasformandoli in strumenti operativi. La serie su “gli impatti della pandemia nel breve e medio periodo” ha l’obiettivo di raccogliere e dibattere ”in tempo reale”  le opinioni di accademici, policy-maker e Chief in merito alle dinamiche e alle interrelazioni dal punto di vista economico, strategico e finanziario con particolare focus sugli impatti nel real estate. La formula di discussione moderata con l’obiettivo di trattare precisi pilastri dello specifico special seminar, prevede una struttura fortemente interattiva di dibattito. 

Sollecitato da Andrea Beltratti, Full Professor nel Dipartimento di Finanza dell’Università Bocconi, Ph.D. a Yale, e Direttore assieme ad Alessia Bezzecchi, Associate Professor of Practice Corporate Finance e Real Estate SDA Bocconi,  del REInnovation Lab, il Prof. Moretti, recentemente nominato dal Presidente Conte nella task force per la Fase 2, ha avanzato argomenti, rigorosamente basati sulla sua ricerca scientifica, che avvalorano il ruolo delle esternalità produttive, che si concretizzano nei benefici monetari goduti da altre imprese o da altri ricercatori, specialmente di coloro che fanno parte di un network. “Anche il real estate beneficia dei vantaggi privati e pubblici creati dai distretti industriali” ha affermato Moretti in chiusura dell’incontro. Il guest speaker conosce tra l’altro bene le attività di ricerca del REInnovation Lab per la sua appartenenza al Comitato Scientifico dello stesso.

 

Le agglomerazioni urbane: the dark side and the bright side

Viviamo in un’epoca di crescente agglomerazione planetaria: un numero limitato di mega-city attrae una quota crescente di popolazione. “Nonostante i vantaggi offerti dalle comunicazioni a distanza, di cui tutti abbiamo imparato a beneficiare anche a livello di smart-working in questo triste episodio causato dalla pandemia, una gran parte della popolazione preferisce vivere in agglomerati urbani. Nel 2005 Thomas Friedman pubblicò un famoso libro dal titolo The world is flat: a brief history of the twenty-first century, che vinse il premio Financial Times and Goldman Sachs Book of the Year Award nello stesso anno, in cui sosteneva che proprio grazie ad Internet le opportunità si sarebbero moltiplicate ovunque nel mondo rendendo meno convenienti le economie di agglomerazione” afferma Moretti.

 

“Le mega-city sono spesso note per la cattiva qualità della vita, le pessime condizioni sanitarie e ambientali in cui viva una larga parte della popolazione, e il deterioramento ambientale. Ma un tuo recentissimo paper analizza gli aspetti virtuosi dell’agglomerazione, facendo riferimento ad alcune città americane e alle attività di innovazione che hanno luogo” osserva Beltratti.

“Il mio paper studia le superstar-cities, intese come zone urbane che ruotano attorno a uno o più centri di riferimento. L’esempio più noto è quello della Silicon Valley, in cui sono presenti aziende in grado di pagare i salari più alti al mondo, e in cui i prezzi del real estate, sia residenziale sia non-residenziale, sono cresciuti a dismisura. Ma ci sono tanti altri esempi virtuosi negli Stati Uniti, basta pensare a Seattle e alla presenza di Microsoft e Amazon, a Boston, che ospita l’eccellenza nella ricerca medica e negli ospedali, a Washington DC e al suo legame con le telecomunicazioni. Un esempio ancora più eclatante è Austin nel Texas, che solo negli anni ottanta partiva da una base molto limitata, ma che ha sfruttato al meglio il goodwill fornito da Michael Dell quando localizzò la sua azienda in quella città. Un esempio molto interessante di trasformazione è New York nota tradizionalmente per le attività finanziarie ma oggi in un percorso di diversificazione verso l’high-tech” risponde Moretti.

 

A cosa servono le agglomerazioni?

“Che cosa hanno in comune questi esempi di successo?” chiede il moderatore. “Queste città sono caratterizzate da due elementi. In primo luogo, c’è una elevata presenza di capitale umano, come evidenziato dalla percentuale di professionisti che hanno almeno una Laurea o un Master. Spesso questa percentuale supera il 40%. In secondo luogo, ci sono molti innovatori, persone che aiutano le aziende per cui lavorano a creare nuovi beni e servizi che non possono essere prodotti altrove, almeno nel breve periodo.”

“Le superstar city presentano indicatori di eccellenza, non solo in termini di salario e crescita professionale, ma più in generale per la qualità della vita, descritta da una ricca vita culturale, inquinamento contenuto, salute degli abitanti, scolarità. Del resto, vivere in una di queste città è molto costoso. Perché le aziende e i professionisti di successo preferiscono pagare questi costi e abitare e lavorare lì, invece di spostarsi in zone comunque vicine?” chiede Moretti.

“La mia ricerca, si veda The effect of high-tech clusters on the productivity of top inventors, pubblicato come working paper numero 26270 del national Bureau of Economic Research a settembre del 2019, mira ad approfondire il ruolo delle superstar city nell’ambito delle attività di innovazione, innanzitutto quantificando la loro supremazia nei settori di maggior contenuto di ricerca, come computer science, biotech, semiconduttori.  Ad esempio, in computer science, il 26% degli innovatori americani vive a nell’area di San Francisco e Oakland, il 9% a new York-Newark-Bridgeport, l’8,4% a Seattle-Tacoma-Olympia. Complessivamente, il 70% degli inventori americani nel campo del computer science è localizzato in 10 città americane. Leggermente più diffusa la localizzazione per quanto riguarda i semi-conduttori (59%) ma ancora più elevata per biologia e chimica (79%), attività in cui la parte del leone è svolta da New York e da San Francisco. I dati dal 1970 mostrano che non si tratta di fenomeni transitori, ma di un trend inarrestabile”

 

 

“Nel paper, uso i dati sulla residenza degli inventori per quantificare i vantaggi dei cluster innovativi. Un inventore appartenente a un cluster geografico gode di un aumento della produttività in termini di numero di brevetti e di citazioni scientifiche dei suoi lavori. Una interessante contro-prova è costituita dallo studio del caso Kodak, il colosso della fotografia localizzato a Rochester, che collassò nel 1996 perché incapace di cavalcare l’onda rivoluzionaria della fotografia digitale, affossando anche il 49% del valore del distretto high-tech della città. Nel paper, dimostro che la produttività degli inventori che non lavoravano per Kodak, nel periodo 1996-2007 scese del 20% relativamente alla produttività degli inventori localizzati in altri distretti.”

  

I vantaggi delle agglomerazioni sono limitati alla ricerca?

Il prof. Moretti risponde in maniera negativa. “In un altro mio paper, Identifying Agglomeration Spillovers: Evidence from Million Dollar Plants, pubblicato nel 2010 sul Journal of Political Economy, analizzo l’impatto delle decisioni di localizzazione delle aziende per quanto riguarda gli stabilimenti produttivi. Anche in questo caso è necessario coniugare l’utilizzo di un dataset dettagliato ed interessante con una rigorosa ed innovativa metodologia econometrica. I dati di riferimento sono quelli pubblicati dal periodico Site Selection in una rubrica che riporta in maniera periodica la contea in cui un importante stabilimento ha deciso di localizzarsi (la contea winner) e la o le contee che sono state in lizza sino alla fine nella gara per ospitare gli impianti (la contea loser).”  

Ma come quantificare l’impatto per la collettività delle decisioni di localizzazione? “Ho considerato le conseguenze sui salari e sui prezzi del real estate. Dal momento della localizzazione, i salari nella contea di riferimento e nelle contee vicine crescono dell’1,5% più della crescita salariale media, mentre i prezzi del real estate battono la media di una percentuale annua compresa tra 1,1% e 1,7%”.

 

La gara per l’attrazione e i risultati aggregati

Che tipo di reazione è sollevato da un impatto così forte delle decisioni di localizzazione delle imprese, e delle attività di ricerca condotte dagli inventori, quantificabili in termini di grandezze, facilmente comprensibili dalla collettività e dai politici? “Le gare tra contee e città sono durissime, e combattute a suon di miliardi di dollari di trasferimenti e sussidi” risponde Moretti “come evidente dalla competizione internazionale che ha visto oltre 120 città mondiali concorrere per attirare la seconda sede di Amazon, con offerte sino a 6 miliardi di dollari. Situazione simile per la decisione dello stabilimento produttivo di Tesla, attirato in Nevada anche grazie ad una offerta economica quantificabile in 3-4 miliardi di dollari, e per Foxcom, che ha aperto nel Midwest grazie ad un contributo di 3 miliardi di dollari pagato dallo Stato del Wisconsin.”

Sappiamo però che non necessariamente tutti gli effetti dell’agglomerazione sono positivi, come ricordato all’inizio del webinar: l’aumento del costo della vita, degli affitti e del valore del real estate è benefico per i proprietari ma danneggia chi si deve trasferire nel luogo. Il traffico può mettere a dura prova il sistema dei trasporti urbani, e l’inquinamento può danneggiare la salute. Abbiamo recentemente letto degli sforzi di Google nell’ambito dei  

 

 

progetti di rigenerazione urbana, con l’idea di rendere più sopportabili alcuni aspetti della vita a San Francisco. Come possiamo valutare in maniera più ampia, dal punto di vista sociale ed economico, l’esistenza delle agglomerazioni?

“Per quanto riguarda gli aspetti sociali, ci vuole molta prudenza, e capacità da parte degli amministratori locali di intervenire con efficienza. Dal punto di vista economico, il mio paper sull’innovazione effettua un esperimento contro-fattuale proprio finalizzato ad esaminare l’impatto economico aggregato. Cosa succederebbe se per magia potessimo ridurre le concentrazioni, spostando innovatori ed imprese da New York e San Francisco ad altre città meno note? L’effetto complessivo sul tasso di crescita medio sarebbe negativo. I vantaggi dell’agglomerazione sono più elevati degli svantaggi della esclusione. Si tratta di un caso classico del trade-off tra efficienza ed equità. In linea di principio, la politica pubblica potrebbe intervenire per trasferire risorse dai vincenti ai perdenti, senza annullare i vantaggi aggregati prodotti dal libero mercato.”

 

I distretti italiani

Qualche ulteriore considerazione può essere svolta per i distretti industriali italiani. Le analisi dimostrano che le aziende appartenenti ai distretti sono più produttive delle altre, sia dal punto di vista della creazione del valore sia d quello della crescita, tanto da essere le uniche ad avere superato, alla fine del 2019, i livelli precedenti la crisi del 2008-2009. “Purtroppo” osserva Moretti “molte aziende italiane, anche quelle collocate nei distretti, soffrono di una dimensione ridotta, e sono quindi svantaggiate da almeno due punti di vista. In primo luogo, la ridotta dimensione rende meno conveniente la spesa in ricerca & sviluppo, che ha soglie sempre più elevate. In secondo luogo, per una piccola impresa è più difficile aggredire i mercati esteri perché è più difficile entrare in contatto con i sistemi locali di distribuzione”. Beltratti afferma che la presenza di grandi aziende all’interno dei distretti, noti in letteratura economica come “knowledege integrator” può parzialmente supplire a questa mancanza dimensionale. Il knowledge integrator è infatti a costante contatto con i mercati internazionali e può portare a livello locale le sollecitazioni provenienti dal mondo, ad esempio per quanto riguarda le caratteristiche dei beni e servizi o relativamente alle soluzioni ingegneristiche adottate altrove, che possono essere importate localmente aumentando la produttività globale di tutto il distretto.  

 

I dati e il real estate

E’ Silvia Rovere, Presidente di Assoimmobiliare e Amministratore Delegato di Morgan Stanley Real Estate SGR, a lanciare con una domanda provocatoria il tema che anima l’ultima parte del webinar: “Gli effetti positivi dell’agglomerazione e dei distretti sulla crescita economica e sul real estate, possono essere quantificati?”.

“Assolutamente si” risponde il prof. Moretti, ricordando una serie di paper accademici che guardano primariamente all’impatto sul real estate. Si aggancia al dibattito il Prof. Beltratti osservando come sarebbe molto interessante disporre di uno studio internazionale che incroci informazioni provenienti dal real estate, dai settori industriali e dai distretti? E’ presumibile che un dataset che includesse anche Asia ed Europa potrebbe consentire segnali ancora più forti di quelli provenienti dai dati americani. 

Beltratti conclude il webinar, ringraziando il Professor Moretti per le osservazioni illuminanti e le informazioni condivise con i partecipanti, provenienti da una ricerca rigorosa e allo stesso tempo spiegata e comunicata in  maniera comprensibile come pochi sanno fare, ritornando sulle osservazioni inizialmente formulate sulla ricerca del REInnovation Lab, il cui progetto principale di ricerca consiste sia nell’analisi congiunta dei dati disponibili per real estate, la struttura produttiva italiana e i distretti sia nella interazione coni Partner Lab per la creazione di nuove ed ulteriori evidenze empiriche. “Più in generale, la ricerca e i risultati del Prof. Moretti ricordano a tutti noi quanto sono importanti i dati. Misurare i fenomeni è il primo passo per la loro comprensione, ed è la miglior guida per le decisioni aziendali e di policy che ci possono consentire di migliorare la qualità della vita ed aumentare la crescita economica, un tema particolarmente rilevante in Italia per gestire il post-COVD19”.

 

Parte integrante del Real Estate Innovation Lab è la REInnovation Academy, programma di formazione manageriale ed economico-finanziaria per creare professionisti junior in grado di essere direttamente inseriti dalle Aziende Partner del progetto didattico.

 

SDA Bocconi School of Management

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