#ValorePubblico

Valore che vieni, valore che vai

Recentemente, Mark Zuckerberg, CEO di Meta, ha annunciato un cambiamento significativo nelle politiche di moderazione dei contenuti sulle piattaforme Facebook e Instagram. In un video pubblicato sui suoi profili, Zuckerberg spiega che le “Community Notes”, un sistema simile a quello implementato da Elon Musk su X (precedentemente Twitter) basato su una forma di controllo volontaristica e più blanda, sostituiranno i facts checkers, l’attuale sistema di filtro centralizzato e standardizzato. Nel merito, anche i più attenti al politicamente corretto avevano già mosso critiche al sistema di moderazione di Meta e che una qualche loro riforma fosse necessaria era opinione condivisa. A sorprendere è la natura della riforma, che sembra un netto cambio di rotta, più che un miglioramento incrementale. E spiazza anche l’argomento che usa Zuckerberg per motivare questa decisione: al precedente sistema di moderazione sono imputati non solo errori eccessivi, ma un vero rischio di censura che al pubblico non piace più, come si evince dalle recenti elezioni americane.

Questo caso appare paradigmatico di come alcune misure messe in campo da grandi corporation a tutela di valori collettivi possano subire improvvisi e repentini cambi di rotta, quando il vento politico diventa meno favorevole.

Secondo alcuni, come Lionel Barber, ex direttore del Financial Times, quella di Zuckerberg sarebbe una scelta di allineamento al sentiment del nuovo corso politico. Se così fosse, altre corporation potrebbero seguire la stessa direzione su temi come le politiche DEI (Diversity, Equity, and Inclusion). In effetti, alcune grandi aziende avevano già cominciato, prima della più recente congiuntura politica, a ridimensionare i dipartimenti e i budget dedicati al tema, giustificando tali decisioni con più generali politiche di austerità, come nel caso di Google e del suo indotto tech da metà 2023. Ma certo il nuovo vento sembra non soffiare da questa parte.

 

Similmente, il voto in Europa dello scorso anno è stato letto come una manifestazione – tra le altre cose – di una crescente insofferenza verso le politiche di sostenibilità o i loro costi sociali ed economici. Questo risultato è stato collegato alla riduzione dell’interesse per temi ambientali da parte di alcuni grandi investitori.

 

Questi casi sollevano diverse questioni, ma due sembrano più coerenti col tema di questo blog:

1. Il privato è sempre più politico?

Se i valori sottesi alle politiche ESG smettono di essere considerati trasversali o universali e diventano oggetto della contesa politica, come si trasforma il campo di gioco aziendale e il dibattito pubblico? Da un lato, aziende come Spotify rivendicano apertamente il valore politico delle proprie strategie di gestione del personale: mentre Trump minaccia di licenziare tutti i dipendenti federali in lavoro da remoto che non torneranno in presenza, Spotify lancia una campagna di segno opposto, che ha fatto il giro del mondo. Dall’altro, emergono fenomeni come il “greenhushing” – un atteggiamento di silenzio sulle proprie politiche green per evitare rischi di politicizzazione e collegate controversie.

2. E la burocrazia sempre meno?

Se da un lato investitori e grandi corporation si adattano rapidamente al nuovo vento politico, dall’altro le burocrazie pubbliche impiegano tempi più lunghi per tradurre indirizzi politici in azioni concrete. Questo avviene non solo per l’inerzia amministrativa, ma anche per i numerosi passaggi necessari a contemperare interessi e valori contrastanti. Un esempio è il Green Deal europeo: considerato a rischio dopo le elezioni europee dello scorso anno, sembra ora destinato a essere rinegoziato e corretto – forse snaturato, forse invece migliorato – ma senza scomparire dall’agenda. Questo processo potrebbe essere visto come un limite della burocrazia, che non è abbastanza elastica alla volontà democratica. 

Oppure come un punto di forza delle istituzioni, chiamate a bilanciare valori assoluti e interessi contrastanti per garantire nel tempo il funzionamento delle nostre società complesse e plurali.

Un tema centrale per il management pubblico (e non solo) è che la definizione di cosa costituisca un impatto positivo è fisiologicamente oggetto di dibattito politico. In un contesto di crescente polarizzazione del discorso pubblico sui valori, diventa sempre più essenziale individuare e sostenere luoghi e contesti che promuovano la ricomposizione e il confronto costruttivo.

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