#ValorePubblico

Misurare il valore pubblico si può

Poteva mancare in un blog dedicato al valore pubblico il racconto di una ricerca che ha applicato un metodo per misurarlo? No. Anche perché ci siamo arrivati lungo una strada che è stato molto bello percorrere.

 

Quando quasi dieci anni fa abbiamo cominciato ad occuparci delle aziende di gestione dell’edilizia abitativa abbiamo scoperto un campo di studio straordinario, che aveva dentro tutti i grandi temi del public management: un processo di riforma che aveva ‘aziendalizzato’ il comparto su presupposti manageriale discutibili, un’utenza che nel tempo si è trasformata rapidamente nei bisogni e nelle caratteristiche, un patrimonio immobiliare eterogeneo e senescente e poche risorse per occuparsene. Il tutto nelle mani di una classe dirigente selezionata per fare un mestiere (costruire case pubbliche) che si trovava senza preavviso a farne un altro: gestire servizi abitativi per i più fragili, nei quartieri più difficili di città in rapida evoluzione.

 

Accompagnare negli anni una parte di questa classe dirigente nel ripensare la missione delle loro aziende e i conseguenti modelli di gestione, attraverso la ricerca e l’executive education, è stato un viaggio molto bello di cui la scorsa settimana è stata una nuova tappa importante (insieme ad Eleonora Perobelli, Eugenia Miraglia e Alessandro Furnari).

Quando abbiamo criticato che l’equilibrio finanziario venisse talvolta considerato un fine, piuttosto che un mezzo per rispondere alla missione pubblica, abbiamo anche proposto un metodo

per riformulare la missione di queste aziende (qui). Il passo successivo è stato studiarne le condizioni di sostenibilità finanziaria e la coerenza di modelli di business con il sistema di vincoli: ne abbiamo concluso che la natura economica di queste aziende non deve essere confusa con natura commerciale e che la ricerca dell’efficienza ha senso solo se oltre a contabilizzare i costi, si ha una nozione chiara del valore effettivamente generato (qui). Per questa ragione abbiamo deciso di esplorare il valore pubblico generato dalle aziende, studiando quella a noi più vicina, Aler Milano: intervistare oltre 100 inquilini in alcuni quartieri della città ci ha permesso di mettere a fuoco in che modo vivere in una casa popolare può essere un vettore di inclusione ed emancipazione sociale (qui). Ma, ancora, la descrizione di valore restava a livello di utenza del servizio e in chiave qualitativa.

 

Per questa ragione la ricerca condotta in Ater Umbria (sintesi qui) rappresenta un punto di arrivo di un percorso durato anni, ma anche un nuovo inizio: insieme al management dell’azienda e agli stakeholders abbiamo disegnato un modello di misurazione che – in coerenza con la più recente letteratura internazionale sul tema (qui) – considera il valore generato per tutto l’ecosistema in cui l’azienda opera: non solo per gli inquilini, ma anche per la rete di istituzioni pubbliche e private direttamente e indirettamente coinvolte e, infine, per la collettività nel suo insieme.

 

Ad esempio, nel solo 2023, l’ente ha bandito lavori per 50 milioni di euro, il 63% dei quali finanziati da PINQUA o PNRR, ovvero risorse attratte grazie alla capacità di rispondere a bandi competitivi, che si sono tradotti in domanda pubblica per le imprese del territorio. Inoltre, si favorisce l’azione del terzo settore e mettendo a disposizione il patrimonio immobiliare come leva di promozione sociale.

Anche per gli attori istituzionali, il valore è evidente: abbiamo stimato un risparmio di almeno 2,4 milioni di euro di spesa di welfare comunale nel caso di un aumento degli sfratti, in luogo dell’attivazione dei piani di rientro per i nuclei morosi.

Sul piano degli inquilini, i benefici più significativi riguardano la sicurezza abitativa e l’inclusione sociale, con canoni inferiori dell’80% rispetto al mercato privato.

 

Più dei numeri, il primo esito di questa ricerca è nel metodo. In primo luogo, emerge con forza la necessità di adottare sistemi di rilevazione del valore pubblico, affinché la componente non finanziaria dell’abitare pubblico venga riconosciuta e valorizzata. Inoltre, lo sforzo di misurazione consente di osservare i cambiamenti nel tempo, di comparare con altri contesti e di rendere conto – intanto allo shareholder regionale – della qualità del proprio operato.

 

Nel merito, lo studio sottolinea l’importanza di superare gli steccati organizzativi e ragionare in un’ottica di filiera dell’abitare, trasversalmente alle politiche. Solo attraverso una maggiore integrazione tra i diversi attori coinvolti – aziende casa, Comuni, Regioni, terzo settore – si può garantire una risposta efficace al bisogno abitativo, evitando che azioni frammentate ne erodano la capacità complessiva di incidere sul problema (sintesi della giornata di presentazione qui).

 

Questa ricerca è quindi un tassello in più nel percorso di evoluzione del settore ma anche oltre: misurare il valore sociale dell’abitare pubblico significa non solo riconoscere il ruolo delle aziende casa, ma anche offrire strumenti concreti per migliorare l’efficacia e la sostenibilità nel lungo periodo di tutte le aziende pubbliche. E non solo.

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