#ValorePubblico

Fare (o no) il segretario comunale?

M. ha 36 anni e sta per diventare Segretario Comunale.

Come molti suoi colleghi di questa edizione del Co.A (corso-concorso di accesso alla carriera) e di quelle precedenti, M. aveva altre ambizioni. Voleva fare il magistrato, ma le cose non sono andate come immaginava. Nel frattempo ha intrapreso la carriera accademica: dottorato, sfilza di borse e altre forme di collaborazione precaria, ma senza prospettive certe davanti. A 32 anni, esce dai mesi di isolamento del Covid con l’idea di voler dare una svolta. “Fai l’avvocato” sente ripetersi da familiari e amici. Ma il praticantato subito dopo l’università non lo aveva convinto per nulla. Decide di approfittare del momento: si aprono molti concorsi e ne prova qualcuno. Risponde al bando del 2021 per Segretati Comunali e Provinciali: non sa molto della carriera, solo che è più o meno l’unico corso-concorso oltre a quello della SNA che apre l’accesso ad una carriera dirigenziale. Ma i tempi tra le prove si dilatano e nel frattempo vince un altro concorso come funzionario in una grande amministrazione centrale, dove prende servizio in fretta: un’altra vita rispetto al precariato universitario sottopagato, ma il lavoro è rutinario e qualunque tentativo di proporre innovazioni è soffocato dai funzionari più anziani che hanno ruoli di coordinamento, alcuni di loro nemmeno laureati.

Quando, scopre di avere passato il concorso da segretario non sa cosa fare: restare dove ha già preso servizio e mettersi in fila, aspettando che prima o poi qualche opportunità di crescita si apra, oppure tentare la carriera poco nota del segretario comunale?

Questa la storia che mi racconta, in una chiacchierata in cerca di qualche spunto di riflessione per decidere.

 

Ciò che lo fa propendere per cambiare è lo stipendio da segretario: all’inizio il tabellare è sostanzialmente identico, ma la dinamica di carriera sembra un po’ più veloce e l’accesso alle fasce successive con meno colli di bottiglia di quelli per l’accesso ai ruoli dirigenziali rispetto a dove è ora. Ciò che, invece, lo trattiene sono i racconti che serpeggiano tra alcuni colleghi di corso: la prospettiva di lavorare per anni in comunelli sperduti sui monti, dove assistere ai consigli comunali in orari quasi notturni, in balia della politica.

 

E i contenuti di lavoro?

Durante il tirocinio obbligatorio, in effetti, ha apprezzato il fatto che è tutto decisamente poco routinario, ogni giorno le questioni da affrontare sono nuove e lì la competenza giuridica serve davvero, per trovare la via più adatta. Ma le occasioni per confrontarsi in modo strutturato su questa esperienza sono mancate. Alcuni colleghi hanno avuto tirocini meno fortunati e la sensazione di affrontare questo nuovo mestiere in solitudine è un po’ angosciante.

 

Lo ascolto e sento arrivare un po’ rabbia. Non certo per lui, che ammiro per la responsabilità con cui prova a orientarsi in un momento di scelta professionale critica, cercando confronti esterni per avere maggiori informazioni e opinioni diverse. Mi arrabbio per il fatto che questa è la generazione accusata di cercare solo il posto fisso. Difficile da trattenere negli enti locali, perché all’inseguimento del nuovo concorso per un posto più comodo o meglio pagato. Ma nessuno è pronto ad ammettere che forse questo è anche il prodotto della mancanza di percorsi strutturati che aiutino i nuovi professionisti in ingresso a costruirsi una rappresentazione più ricca ed interessante dell’esperienza che stanno per fare.

La formazione all’ingresso si riduce quasi solo all’esposizione passiva ad una carrellata di lezioni online di esperti di materie tecniche, professori che parlano dall’iperuranio, segretari anziani pieni di aneddoti, ciascuno prodigo nel dire la propria, salutare e andare, senza nessuno ad accompagnare il percorso, se non sul piano amministrativo.

 

Quanto alle cose più salienti del mestiere – come quello di essere sostanzialmente il principale vettore di abilitazione e tutela del funzionamento delle istituzioni democratiche locali – queste rischiano di essere sotterrate sotto infinite conversazioni sugli oneri che incombono in punto trasparenza e anti-corruzione e dei correlati rischi in caso di inadempienza.

Non c’è da stupirsi se questi corsi, invece di accendere il fuoco della passione per il ruolo, rischino di favorire la coesione del gruppo dei neofiti contro i suoi pericoli.

 

Ricaccio la rabbia e gli dico quello che penso: che gli enti locali… sì è verso sono un po’ in crisi, sì le risorse sono poche, sì si lavora di più che in altri enti pubblici e sovente per meno soldi. Ma sono uno dei pezzi più belli del nostro sistema amministrativo: sono la porta di ingresso per il godimento delle funzioni di cittadinanza, sia a tutela dei diritti civili, sia di quelli sociali, come recitano i commi 1 e 2 dell’art. 3 della nostra Costituzione. Nei tanti anni di lavoro con il mondo dei segretari comunali, ho visto un universo molto ampio del modo di intendere il ruolo. E, certo, anche la fatica del mestiere. Ma soprattutto tanta bellezza e mille opportunità. Fare funzionare bene un comune, non è solo un fatto di efficienza, efficacia e legalità: significa contribuire a costruire la fiducia dei cittadini verso le nostre istituzioni. Perché, a differenze di praticamente ogni altra amministrazione pubblica del nostro ordinamento, ogni comune d’Italia, metropolitano o microscopico, dei suoi cittadini si prende cura dall’iscrizione all’anagrafe al cimitero, passando per i servizi all’infanzia, educazione, sport, cultura. Dalla mobilità alle infrastrutture cittadine. Dalla risposta ai bisogni sociali a quelli di sviluppo del territorio e di impresa. E no, certo non fa tutto il Segretario, ma lui è lì ad abilitare il tutto, attraverso tre cose fondamentali:

consentire agli eletti, a partire dal sindaco, di poter tradurre il proprio mandato in risposte concrete, col supporto costante alla loro azione; garantire che queste risposte restino sempre entro il perimetro delle leggi; coordinare il funzionamento dell’ente, attraverso la leva del management pubblico.

In più, in pochi enti pubblici come in quelli locali, il feedback sull’operato arriva in fretta, dal territorio, ogni giorno. E quando si fa bene, si può fare la differenza.

 

Mi rendo conto che il mio può sembrare un racconto romantico e lo metto in contatto con un segretario professionalmente più senior, perché possa avere da lui un racconto più autentico.

 

Auguro a M. di abbracciare la sfida. Non solo per la promessa di uno stipendio, a tendere, migliore. Ma perché consapevole di aver trovato un posto decisamente poco fisso, ma davvero (non me ne si voglia, cito solo Orietta Berti) figo. A saperlo interpretare con responsabilità, fiducia e competenza.

Si dice che i giovani nella PA sono poco motivati, ma la motivazione è nei significati. E la loro costruzione, a partire dall’identità di ruolo, non può essere lasciata al singolo. O è un processo collettivo, guidato e organizzato, o il rischio di disperdere risorse (umane) è alto. E la colpa non sarà dei giovani.

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