- Data inizio
- Durata
- Formato
- Lingua
- 5 Mag 2025
- 9 giorni
- Class
- Italiano
Affrontare le sfide attuali della funzione HR a 360 gradi, grazie a strumenti metodologici per attrarre, scegliere e trattenere in azienda i migliori talenti.
Cercare di capire cosa fare per attrarre giovani talenti nelle PMI è fondamentale ma altresì utile è cercare di capire le ragioni per cui oggi (come ben evidenziato da una recente ricerca di Adecco) ci sono delle carenze così importanti.
Prima di provare a suggerire delle modalità concrete di avvicinamento vi propongo una riflessione sul perché dell’allontanamento dei giovani dalle PMI, ovviamente dal mio personale osservatorio, di docente universitaria e di consulente di molte realtà imprenditoriali italiane. Negli ultimi 30 anni, di “piccola impresa” si è parlato poco e male. Il problema è innanzitutto culturale. L’offerta e la domanda formativa si sono progressivamente allontanate dalla realtà del nostro tessuto economico, disarcionate da ciò che serve. Lo hanno fatto per di più in un periodo di drammatico calo demografico ovvero in un momento in cui la “materia prima” scarseggia già di per sé. Sul versante dell’offerta universitaria, tralascio di commentare lo stato di declino in cui versano molte scuole superiori tecniche e professionali, bastano pochi dati per inquadrare la situazione attuale. Guardando alle prime 20 facoltà di Economia (classifica del Censis del 2023) sul totale dei 1600 insegnamenti proposti in quegli atenei, solo 4 sono specificatamente rivolti alle piccole imprese. Ci rendiamo conto del paradosso? Nel paese del capitalismo pulviscolare, essendo questi 4 corsi per giunta opzionali, può succedere che un brillante studente arrivi al termine della sua laurea senza mai aver sentito parlare di quelle aziende che costituiscono l’ossatura e (fin qui) la ricchezza dell’economia italiana. Può invece accadere che il suddetto giovane possa aver udito, da autorevoli professori, la solita “cantera” sui limiti dimensionali del modello italiano o sul familismo amorale o sulla scarsa managerializzazione. La virata dell’offerta ha trovato anche pieno riscontro dal lato della domanda. Le famiglie di artigiani e piccoli imprenditori in molti casi hanno voluto indirizzare i figli prima verso studi liceali e non tecnici e, soprattutto poi, hanno apprezzato la possibilità di percorsi universitari all’estero o in Italia ma in lingua inglese, tenuti da docenti stranieri. Così, negli ultimi dieci anni, la domanda ha risposto all’offerta e viceversa, producendo una massa importante di laureati preparati soprattutto per fare i manager o i consulenti nelle grandi realtà multinazionali ma completamente all’oscuro di piccola impresa. Non vorrei essere fraintesa. L’internazionalizzazione non è negativa, anzi. Non sono per il ritorno al localismo ma mi chiedo se non può aver senso mantenere una proposta formativa che in parte, in piccola parte, possa offrire a chi si affaccia sul mercato del lavoro una visione lucida su come sono fatte oggi le PMI italiane, sui loro veri bisogni, sulle opportunità reali che possono offrire. Ecco quello che chiederei a chi ha potere e visione: un presidio da parte delle scuole e delle università, come servizio al Paese, su questo tema per farle conoscere e, magari, da qualcuno, apprezzare.
Rispetto al cosa dovrebbero fare le piccole imprese per attirare i giovani talenti, bisogna partire da un dato di realtà. Le piccole imprese non possono piacere a tutti. Sono speciali. Sono farfalle non caterpillar come diceva l’economista Edith Penrose tanti anni fa. Va detto con convinzione. Grande non è sempre meglio di piccolo ma nemmeno viceversa. Basta, con l’innamoramento a senso unico per la dimensione. Esistono imprese forti e deboli, belle e bruttissime, contesti interessanti e, purtroppo, ambienti tossici a prescindere dalla loro grandezza.
Bisogna capire fin dal primo colloquio qual è il progetto di vita che il giovane candidato ha in mente. Se gli interessa soprattutto la carriera verticale, il titolo scritto sul proprio biglietto da visita, il marchio altisonante, se è disposto a passare da un’azienda all’altra in poco tempo per crescere, se ama le strade predefinite, il metodo e la forma non potrà essere attratto da una piccola impresa. Se invece capisce che ci può essere anche una carriera orizzontale caratterizzata dall’andare spesso oltre il proprio compito e fare tante cose diverse, fatta da percorsi che si costruiscono man mano e non sono predefiniti, se valorizza l’esperienza di lavorare a stretto contatto con l’imprenditore, con i suoi vezzi e le sue ossessioni, in una nicchia che rende l’impresa nota solo agli addetti ai lavori, allora la piccola azienda può essere il posto ideale dove stare. Se capisce il valore del rapporto diretto e personale rispetto a quello del potere formale è pronto per iniziare il suo percorso in una piccola impresa. Ribadisco: occorre capire prima possibile cosa il giovane vuole per il suo progetto di vita. Preferisce vivere al ventesimo piano di un grattacielo in una grande metropoli o in un casale in campagna? Cos’è meglio per quel giovane? Se disposto ad apprezzare la qualità di vita della provincia italiana, quella dei circa 7.000 comuni sotto i 5.000 abitanti in cui sono tipicamente insediate le piccole imprese, se riconosce le positività di quella provincia - che non è periferia, anzi - rispetto ai plus di una grande metropoli, la piccola impresa acquisisce punti.
Le migliori PMI sono già attive su vari fronti e proprio agendo bene modificano, in positivo, le difficoltà del periodo. Molte le soluzioni trovate dagli imprenditori per superare questo problema. Per esempio, stabiliscono dei legami forti con le scuole del territorio, si costruiscono accademie interne, oppure attivano percorsi duali con gli istituti scolastici: la mattina i ragazzi stanno dietro il banco di scuola e il pomeriggio sulla macchina utensile robottizzata. Altre, non trovando facilmente personale italiano, hanno lavorato per farsi conoscere da determinate etnie di immigrati, investendo in modo importante nel loro inserimento sociale. Altre ancora offrono strumenti articolati di welfare aziendale, flessibilità degli orari, smart working, dando fiducia, creando contesti lavorativi piacevoli e coinvolgendo anche i più giovani in progetti interessanti e di responsabilità. Seguono, neanche a farlo apposta, l’insegnamento di Sant’Ambrogio patrono di una città molto laboriosa come Milano: “Voi pensate: i tempi sono cattivi, i tempi sono pesanti, i tempi sono difficili. Vivete bene e muterete i tempi”.