Il Meglio del Piccolo

La Signora Rosita

Oggi a Milano verrà celebrato il funerale di Rosita Missoni, una imprenditrice che, assieme a suo marito Ottavio e ai suoi figli, ha contribuito a costruire, partendo da un piccolo laboratorio, un pezzo di quel fenomeno conosciuto come “Made in Italy” che ha portato la nostra manifattura e il nostro stile nel mondo. 

Voglio ricordarla da un punto di vista professionale, provando a sottolineare alcuni tratti del suo modo di condurre l’azienda che possono essere d’ispirazione per altri uomini e donne impegnate quotidianamente nello sviluppo di un' impresa

Tre gli spunti sui quali riflettere.

1. La gestione dei collaboratori. Non ho avuto l'occasione di lavorare per Lei ma vivo in una piccola frazione a meno di un chilometro dalla sede della Missoni SpA a Sumirago, in provincia di Varese, dove in molti l'hanno conosciuta. Cosa interessante da ribadire, la piccola impresa italiana nasce e si sviluppa quasi sempre in provincia: il marchio Missoni arriva alla vetrine delle capitali di tutto il mondo ma è prodotto in un paesino di poche migliaia di abitanti in un territorio - quello del varesotto - che vanta una tradizione secolare nella tessitura. In quel Comune può capitare, nella Santa Messa della domenica o in giro nelle poche botteghe ancora aperte, di incontrare persone vestite Missoni, con quei capi di maglieria colorata inconfondibili anche a distanza di anni. Ovviamente non si tratta di gente della moda o del jet set, sono semplicemente dipendenti o ex, ormai in pensione, che hanno lavorato per una vita per  "la Signora Rosita", così la chiamano. Nel citarla i loro visi si riempiono di gratitudine e di stima. In quell’appellativo “Signora” seguito dal nome proprio “Rosita” si ha un riscontro del suo modus operandi: un modo di gestire i collaboratori centrato sul rapporto diretto, sulla relazione, sulla conoscenza personale dei singoli, dei loro caratteri. Marilena, Maria Rosa, Enza, Lorenza, Annalisa e tante altre. In quel “Signora” c’è molto più del titolo scritto sul biglietto da visita, c'è il riconoscimento di un carisma e di una leadership innata che non ha mai temuto il confronto, men che meno quello di genere. Non Amministratore delegato, CEO o Presidente. Niente di tutto ciò che è arrivato molti anni dopo, quanto la finanza è subentrata in modo prepotente alla passione e all’imprenditorialità, quando il fine prioritario è diventato soprattutto la crescita dell’Ebitda come condizione necessaria per coprire i costi di una struttura articolata e per soddisfare i nuovi azionisti. Non so quanto la fondatrice, nel frattempo uscita dalla guida operativa, riuscisse a identificarsi nelle modalità di gestione spersonalizzata dei nuovi venuti. Mi immagino le difficoltà nell'accettare - seppure da una posizione ormai distanziata - il passaggio da una gestione familiare ad una manageriale e la sua fatica nel comprendere scelte che rompevano senza mediazioni col passato. Chissà cosa pensava in cuor suo dei cambiamenti tipici di una certa cultura da fondo d'investimento che seguono dei passaggi necessari ma tengono poco conto delle peculiarità del modello organzzativo pre-esistente? 

2. Essere imprenditori forti. Come nasce il fenomeno Missoni? Come hanno fatto Ottavio e Rosita, partendo dal piccolo laboratorio di Gallarate, dove ancor prima facevano tute e felpe sportive, a dar vita ad un marchio conosciuto in tutto il mondo? Qual è stato il ruolo della moglie in azienda rispetto a quello del marito, più scanzonato ed esuberante? Ne ho parlato spesso con la nipote Margherita  che ha sempre visto nei nonni una grande fonte di ispirazione. Quando si ripercorre la loro storia, ovviamente riconoscendo il "pedigree" di Rosita, nata nella famiglia dei tessitori Jelmini e Torrani e cresciuta dunque a "pane e telai", viene logico coniugarla, da un punto di vista teorico, al concetto di impresa “forte”. I due, insieme, hanno saputo realizzare un’azienda che prima di essere grande (dimensionalmente) è stata forte, caratterizzata da una identità peculiare alla base di un vantaggio competitivo non facilmente riproducibile. L’impresa forte è guidata da imprenditori forti (non è solo una tautologia) ovvero da persone che riescono direttamente o tramite altri a presidiare i tre processi cruciali nella definizione della strategia: la produzione, il commerciale e la ricerca&sviluppo che, nel settore della moda, si declina nello stile. Ottavio e Rosita insieme hanno garantito il presidio puntuale e la combinazione sinergica di queste tre attività fondamentali. Non basta essere stilisti per dar vita ad una impresa forte. Il settore della moda è ricco di casi di creativi eccellenti che, in assenza di competenze commerciali e produttive, sono spariti presto dalla scena ed è pieno di coppie, di trii e di quartetti dove questi tre elementi si fondono in un mix insuperabile (Giorgio Armani e Sergio Galeotti, Gianni, Donatella e Santo Versace, Stefano Gabbana, Domenico, Dorotea e Alfonso Dolce,  per citare solo alcuni esempi). Non può essere impresa forte quella dell’imprenditore terzista, eccellente nel processo produttivo ma privo di visione stilistica e della capacità commerciale di creare un marchio e di gestire un portafoglio clienti. L’industria del fashion è piena di storie di terzisti cresciuti a dismisura in scia a marchi importanti, quasi monoclienti, detonati poi improvvisamente a causa di crisi di varia natura nel mercato di sbocco. Non può essere, infine, impresa forte quella imperniata su un imprenditore con una grande vis commerciale, capace di vendere ma incapace di immaginare una collezione e di realizzarla in modo efficiente negli anni. La fortuna di Ottavio e Rosita non è stata casuale ma l’esito dell'unione e della combinazione di competenze importanti, la crescita aziendale è stata una conseguenza della loro forza, non un fine dettato a priori solo dalla smania di fare grandi numeri.

 

 

3. La capacità di ripartire. Concludo con una terza e ultima suggestione. Solo un breve flash. Come ho già detto, non conoscevo personalmente la signora Missoni ma mi e’ capitato di incrociarla in una occasione apparentemente insignificante. Una mattina presto di qualche anno fa, poco distante da casa mia, stava appoggiata ad un muretto, probabilmente aspettava qualcuno. Nell’attesa prendeva appunti su un piccolo taccuino. Faceva freddo quella mattina e mi aveva colpito la sua concentrazione, incurante delle condizioni esterne come se l’attesa dovesse essere necessariamente riempita, come se non bisognasse sprecare quel momento. In quel periodo aveva già lasciato la direzione dell’azienda per dedicarsi allo sviluppo di una collezione tessile e di arredamento per la casa. Mi piace pensare che su quel quadernetto stesse mettendo nero su bianco delle nuove idee per la Missoni Home, sfidando, con la forza della volontà, l'avanzare del'età, per trovarsi, dopo i settant'anni, un suo nuovo spazio di azione, una nuova partenza.

Una imprenditrice che sapeva stare al tavolo delle élite della moda ma non perdeva il senso di gratitudine per le sue maestranze, muovendosi con disinvoltura dalle passerelle delle capitali al piccolo paese di provincia, una moglie/socia complementare al marito in grado di presidiare con lui i tre processi che rendono forte un’impresa, una donna capace di ripartire, dotata fino all’ultimo di una volontà ferrea: questi i tratti di Rosita Missoni che possono restare come fonte di ispirazione per coloro che si stanno cimentando a fare impresa e ne vogliono fare tesoro. 

SHARE SU