Il Meglio del Piccolo

Il più giovane Ammistratore Delegato d'Italia

Sabato scorso ho fatto una cosa per alcuni versi un po’ folle. Varese - Savona (Quiliano per l’esattezza) e ritorno per fare un intervento e parlare ad una cerimonia pubblica per una decina di minuti scarsi. Si trattava dell’inaugurazione del secondo punto vendita di materiali per l’edilizia di una piccola azienda situata in Val Bormida che opera nel settore della costruzione di edifici e coperture in legno. Qualcuno potrebbe pensare ad una spinta dettata da un interesse specifico o ad uno scambio di natura economica ma non è stato propriamente così.  Mi sono inserita al volo dopo i discorsi del sindaco e dei rappresentanti istituzionali delle principali associazioni del territorio come Ance e Confindustria alla presenza dei collaboratori, dei clienti e dei fornitori del Gruppo Pirotto.

L’ho fatto perché ci tenevo a celebrare, partendo da un singolo caso, la piccola impresa.

Volevo far risaltare le positività di questo modello e non solo i limiti di quella che molti autorevoli professori o professionisti definirebbero solo “un’aziendina”. Conosco il Gruppo e il suo leader, Samuele Pirotto, da quando nel 2021 ha frequentato il mio corso in SDA Bocconi General Management per le PMI. In questi anni ne ho seguito l’evoluzione (dai 3 milioni di euro di fatturato agli oltre 12 di oggi impiegando una sessantina di persone). Soprattutto ho visto crescere il più giovane Amministrato Delegato che mi fosse mai capitato d’incontrare, venteduenne quando nominato e venticinquenne adesso. Volevo sottolineare e così ho fatto che ci sono micro realtà familiari, come quella dei Pirotto, che sconfessano tutti gli stereotipi negativi sulla piccola impresa italiana. Ve ne cito alcuni, i principali.

 

Il primo: quello sulla debolezza della terza generazione secondo cui la prima costruisce, la seconda sviluppa e la terza distrugge. Nel caso del Gruppo Pirotto, a Bruno - che con la moglie Alda - ha avviato nel 1970 a Pallare una attività di falegnameria, è subentrato negli anni '90 il figlio Massimo che l’ha trasformata in segheria. L’impulso importante è arrivato però più di recente, a partire dal 2018 con l’ingresso del nipote del fondatore. Samuele non ha nessuna delle caratteristiche che spesso si attribuiscono agli esponenti della famigerata terza progenie. Non è succube del padre o del nonno, non vive perennemente con l’ansia di non essere all’altezza di chi lo ha preceduto, non lavora con la fatica esistenziale e le insicurezze di chi si sente in dovere di dimostrare agli altri di essere qualcuno in azienda, in un eterno - quasi sempre perdente - confronto. Ha preso dal nonno (ormai ultra novantenne) e dal papà cinquantenne tutto il meglio di ciò che gli potevano trasmettere; ha messo in discussione alcune loro scelte e le ha riformulate iniziando a tracciare una sua rotta e a dare un suo imprinting ben preciso al Gruppo. Non è nemmeno il giovane dinasta viziato, capriccioso e paralizzato dall’eccesso di benessere costruito dalle generazioni precedenti a cui le troppe opzioni hanno finito con lo spegnere i desideri e la motivazione. Si è tolto, per quel che so, un unico sfizio: una macchina sportiva, per tenere accesa la sua grandissima passione giovanile (le gare in go-kart e i rally) che ha dovuto lasciare per l’impegno che tali sport richiedevano, in tutti i sensi.

 

Il secondo: le piccole imprese sono indebolite da un totale accentramento decisionale, con “l’uomo solo al comando” che non lascia spazio e che invecchia nella sua posizione monarchica senza far crescere i figli e la prima linea manageriale. Mi spiace per i malpensanti ma anche rispetto a questo secondo limite, nel microcosmo dei Pirotto, le cose sono andate diversamente. Il padre di Samuele, rendendosi conto del talento del figlio, gli ha delegato il ruolo più importante in azienda, quello imprenditoriale, quello di colui che ha il potere di decidere dove indirizzare l’azienda, investimenti compresi. Ha fatto un passo indietro, con molto buon senso, concentrandosi sul controllo di aspetti operativi, attività dove riesce davvero a fare la differenza. Così a dispetto della solita litania negativa, siamo di fronte ad un Amministratore Delegato poco più che ventenne, al quale è venuto naturale avviare un processo di delega. Formandosi e preparandosi sul tema, senza mai improvvisare, Samuele ha saputo e si sta circondando di responsabili - più grandi di lui per età - che lo aiutano a seguire un impetuoso processo di crescita senza perdere il controllo del mezzo (mi pare che “guidi” l’azienda con lo sprint di quando da ragazzino, vincendo nei rally, imboccava le curve a 120 km all’ora). E’ riuscito ad attrarre alcuni profili manageriali anche da aziende più strutturate e molto più grandi, chiamandoli per nome - tra loro Davide, Giuseppe, Matteo - andando a pranzo e a correre con loro, dandogli uno spazio di azione, ed in questo un riconoscimento, che difficilmente avrebbero avuto altrove.

 

Il terzo: nelle piccole imprese i giovani non crescono professionalmente e non ricevono una formazione che li possa aiutare nei passaggi successivi della loro carriera, anche perché esiste una sorta di “soffitto di vetro” occupato dai familiari  che impedisce una ulteriore salita. Così non è per il Gruppo Pirotto che, dal 2022, ha dato vita ad una Accademia interna in partenariato con gli istituti tecnici della zona. Si tratta di un percorso formativo in azienda, completo di un esame finale che porta al migliore alunno la garanzia dell’assunzione al termine del programma. Non solo. Il Gruppo è aperto alla collaborazione con consulenti su vari temi compresa la progettazione del legno lamellare per la quale è stato coinvolto, organizzando delle vere e proprie lezioni dirette al team dell’ufficio tecnico, uno dei massimi esperti austriaci. In azienda è presente anche la mamma di Samuele e nei periodi estivi anche la sorella Lucrezia ma l'idea, chiara per tutti, è che debba prevalere il merito e non il nepotismo.

 

Il quarto stereotipo superato è quello della chiusura della piccola impresa, prigioniera spesso in luoghi dove le scarse infrastrutture esistenti rendono difficile gli scambi e l’espansione in altre aree. Niente di più falsificato nel caso del Gruppo Pirotto, basato in effetti in un luogo molto isolato ma non per questo incapace di uscire dal territorio di appartenenza. Da esso sa prendere tutti i vantaggi, in primis quello di occupare una zona reputata poco interessante dai potenziali concorrenti, creando, attraverso un meticoloso presidio, forti barriere all’entrata. Dall’altra parte non subisce i limiti della clausura, è disinvolto ed è pronto a muoversi per progetti interessanti fuori dalla Val Bormida o per trovare competenze laddove sono più diffuse e migliori.

 

Si potrebbe proseguire con l’elenco dei luoghi comuni sconfessati ma preferisco fermarmi per andare rapidamente alle conclusioni.

Qualcuno potrebbe obiettare che sono troppo romantica o retorica,  che sto santificando il Gruppo Pirotto e il suo giovanissimo amministratore e che, soprattutto, si tratta di un caso praticamente unico, una eccezione che conferma la regola delle piccole imprese, retrograde e piene di limiti. Insomma “una rondine non fa primavera” e i problemi restano. E’ vero, lo dico sempre, sono di parte, amo questo tipo di aziende ma, credetemi, ho la fortuna di incontrarne molte così, diverse per storie personali ma tutte più o meno simili: non una, centinaia ogni anno da trenta e più anni. Iniziano ad essere uno stormo, non situazioni isolate. Non voglio però metterla sul piano delle statistiche, non è il mio mestiere. Ritengo invece che, se anche di aziende come il Gruppo Pirotto ce ne fosse una sola in tutta Italia (e non è così), abbiamo il dovere di parlarne, di osservarle e studiarle, di distillare dalle loro azioni comportamenti replicabili, affinché altre (dieci, cento, mille) prendano spunto, migliorino, si rafforzino. Dobbiamo celebrare queste realtà perché sono alla portata di altre micro imprese e potrebbero ispirarle più facilmente rispetto forse a quanto si possa ottenere portando ad esempio solo casi come Amazon, Apple o Open AI. Ecco perché partecipare alla cerimonia che suggellava un ulteriore momento di crescita di questa piccola impresa sconosciuta ai più, per me, ha avuto molto senso.

 

SHARE SU