Venti non più venti: dagli albori alle nuove frontiere del digital business

Digital for non Digital Managers

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a cura di Alessandro Arbore, Direttore di Digital for non Digital Manager

“Sono passati più di 20 anni da quando in Bocconi si organizzò il primo convengo sulla digital transformation. Quali sono state le tappe principali di questa rivoluzione?”

Quando a metà degli anni 90 organizzammo i primi eventi sul nuovo paradigma, un best seller nelle librerie era “Being Digital” (“Essere Digitali”), di Nicholas Negroponte. Menzionare oggi Negroponte è un po’ come ricordare Sandy Marton nelle serate nostalgiche con gli amici. Per quanto gli scenari descritti in quel libro non si siano mai pienamente realizzati, il professore americano fu il primo di una lunga serie di guru e profeti della trasformazione digitale. Per molti anni venne spontaneo pensare che gli unici ad arricchirsi col digitale fossero quelli che raccontavano agli altri come arricchirsi col digitale.

Ma tutto scorre e venti anni dopo quella rivoluzione è ormai compiuta e prosegue inarrestabile. Nessun manager oggi può permettersi di ignorare le logiche e gli strumenti di base dell’economia digitale, indipendentemente dal ruolo o dal settore in cui opera.

La trasformazione che stiamo osservando ha attraversato almeno quattro fasi, prima di entrare in quella attuale:

  • Prima fase: tra ignoranza e curiosità. Questo stadio, in Italia, dura fino al 1998 circa (negli Stati Uniti fino alla metà degli anni 90). Molte aziende ancora non sanno dei cambiamenti in atto. Quelle che sanno, osservavano con curiosità. Partono i primi progetti pionieristici, quasi tutti destinati a fallire. Fra quelli che decollano vi sono Amazon, eBay, Expedia. Gli italiani che hanno accesso a Internet nel 1998 sono meno di un milione. E’ l’era di Netscape, Real Player, Lycos e IOL.

  • Seconda fase: tra “hype” e negazionismo. Alla fine degli anni 90, in Italia si raggiunge il cosiddetto tipping-point, o salto dell’abisso, ovvero il decollo della domanda presso il grande pubblico (in Usa dal 1996). In questo stadio, si contrappongono i visionari più fanatici, pronti a giurare che anche la nostra anima diventerà digitale, e gli scettici conservatori, ancora convinti che tutto si sgonfierà come in una moda passeggera. Molte aziende osservano ancora con curiosità, sempre più provano e sperimentano, spesso in modo rudimentale, generalmente senza grossi risultati. E’ l’era di Yahoo e di Virgilio. E’ la fase dei primi siti aziendali e dei primi tentativi di e-commerce. I mercati finanziari, in ottica speculativa, volano sulle ali dell’entusiasmo. Ma passano gli anni e i profitti non arrivano: questa fase durerà fino allo scoppio della prima bolla Internet, nel 2001.

  • Terza fase: si riparte dal web 2.0. Lo scoppio della bolla aiuta tutti a tornare con i piedi per terra. Gli scettici radicali, tuttavia, sono sempre meno, poiché il cambiamento è ormai tangibile, costante e inesorabili. E’ la fase in cui cresce la partecipazione attiva degli utenti, crescono le community (da Ducati a Nutella), i blog, i cosiddetti “user genereted contents” (UGC) e la wikinomics, la collaboazione di massa: per descrivere tutto ciò, l’espressione web 2.0 è coniata nel 2004. Emergono, tra gli altri, mySpace, Blogger e Second Life. Molte aziende continuano a sperimentare e ad apprendere. Alcune sono ancora scottate dalle prime esperienze, ma gli investimenti sono complessivamente crescenti. I profitti, tuttavia, sono ancora per pochi. Qualcuno inizia a parlare di “big data”, di “analytics”, SEM e SEO. Nel frattempo, i profeti e i fanatici per questa o quella nuova tendenza digitale non mancano mai (sempre –rigorosamente– qualcosa di diverso dalla tendenza del giorno prima).

  • Quarta fase: social media, mobile e geolocalizzazione. L’avvento di Facebook, degli smartphone e dei tablet accelera la rivoluzione. Arrivano le app e gli “ecosistemi digitali” di Apple, Google, Microsoft e Amazon. Nel 2009 Mark Zuckerberg pubblica un celebre post: “If Facebook were a country, it would be the fifth largest country in the world”. Dopo solo pochi mesi sarebbe diventata la terza nazione al mondo (oggi la prima). Da Facebook a Twitter, da Airbnb a Uber, con le loro piattaforme basate sulla sharing economy, il cambiamento è ormai radicale e attiene tanto alla sfera sociale quanto a quella di business. Gli sforzi imprenditoriali accelerano. Quasi tutte le aziende, ormai, investono nel paradigma digitale con convinzione crescente. “Omnicanalità”, “Engagement” e “Collaborative Economy” sono i nuovi mantra in questo stadio evolutivo, che precede e si affianca a quello attuale.

 

“E oggi? Come sta cambiando il modo di fare business? Quali sono le frontiere più recenti?”

Oggi siamo entrati in una nuova fase, forse più dirompente delle altre. E’ quella dell’intelligenza artificiale (IA) e degli agenti intelligenti (IAT), del machine learning e del business abduttivo: big data, analytics, software e algoritmi sempre più sofisticati vengono utilizzati dalle aziende a fini descrittivi, diagnostici, predittive e prescrittivi per affinare al meglio la propria azione commerciale.

L’attività di management, in molte aziende sulla frontiera, non è più il risultato di un’analisi ex ante, secondo il tradizionale approccio deduttivo. Emerge un approccio più liquido, induttivo e iterativo, in cui la strategia e le decisioni operative prendono forma man mano, in funzione dei feedback ricevuti in tempo reale dal mercato, con una logica cosiddetta di apprendimento continuo: try, learn, adjust. Test, learn, scale-up.

In un recente lavoro, ad esempio, la collega Andreina Mandelli ricorda come il gigante dell’online shopping Alibaba non potrebbe offrire i servizi personalizzati di cui oggi godono i propri clienti senza l’utilizzo di sofisticati software basati sull’intelligenza artificiale. Tali sistemi, stando a quanto riportano alcuni studiosi, gli consentono di analizzare in tempo reale dati relativi a 175.000 transazioni al secondo per i suoi 500 milioni di clienti. Simili algoritmi sono progettati con lo scopo di trovare relazioni fra i dati senza ipotesi di partenza. Ciò è possibile utilizzando, appunto, tecniche di machine learning, ovvero metodologie di analisi statistica basate su modelli matematici avanzati che permettono l’individuazione di pattern e regolarità in bacini di dati apparentemente caotici.

Per alcune imprese e per alcuni settori, dunque, le nuove strade del valore si fanno pian piano più chiare. Per molte, tuttavia, il digitale rimane una fonte certa di minacce e una sorgente incerta di opportunità ancora da esplorare.

 

SDA Bocconi School of Management

 

 

 

 

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